I lacci che imprigionano, i nodi da slegare, le relazioni da preservare: come distinguere un legame sano, con sé stessi e con gli altri, da un vincolo, un laccio intrecciato nel modo sbagliato? Di questo, e di tanto altro, ci ha parlato l’attrice Linda Caridi, raccontandoci uno dei suoi ultimi progetti, “Lacci” di Daniele Lucchetti, un film che racconta proprio il “laccio d’amore” e tutti i possibili sviluppi che comporta. In una chiacchierata su progetti passati (“Ricordi?”, “Antonia.”) e nuovi (“Supereroi” e “Il Cacciatore”), sui superpoteri del cinema, e sulla forza trasformativa della paura, abbiamo intercettato la bellissima anima di Linda e riconosciuto, nella sua mente e cuore, l’origine di un talento raro.
In un momento storico in cui la mancanza del cinema, come luogo fisico ed esperienza collettiva, si sente più che mai, qual è il tuo primo ricordo legato a quell’universo?
Il cinema all’aperto del mio paesino, nel cortile della Biblioteca. Si sistemavano le sedie in più che qualcuno prestava dalle case attorno, e mentre il film partiva, piano piano le voci si abbassavano e sentivo una bolla magica di respiro sospeso, più grande di me, perché era quello di tutti.
Sei una delle attrici italiane più richieste e apprezzate degli ultimi tempi: hai incantato pubblico e critica con le tue interpretazioni in film come “Antonia.”, “Ricordi?”, “Lacci”, e speriamo di rivederti presto al cinema in “Supereroi” di Paolo Genovese. Nel momento in cui leggi la sceneggiatura del nuovo progetto in cui sei coinvolta, qual è, di solito, la tua prima reazione? Com’è andata con “Lacci”, per esempio? Qual è stata la prima domanda che hai rivolto al regista, Daniele Lucchetti, e a te stessa?
Ogni storia porta la sua atmosfera, come un microclima, un vento, un orizzonte. Allora leggere è un po’ come immergermi in quell’aria, con la testa ma anche col corpo, che si scalda, che si paralizza, che cambia velocità interiore. Di “Lacci” lessi come prima cosa le scene del provino e una era quel dialogo che c’è anche nel film, con il personaggio interpretato da Luigi Lo Cascio, in cui Lidia prende una decisione importante per entrambi. Mi sono chiesta subito, e con Daniele [Luchetti] poi ne parlammo molto, se la natura di quella giovane donna potesse essere davvero così equilibrata e luminosa persino nel dolore e nella rabbia, con quella sensazione di armonia che mi aveva pervasa immaginandola.
“Ogni storia porta la sua atmosfera, come un microclima, un vento, un orizzonte. Allora leggere è un po’ come immergermi in quell’aria, con la testa ma anche col corpo, che si scalda, che si paralizza, che cambia velocità interiore”.
Lidia, il tuo personaggio, è l’amante del protagonista, colei che porta scompiglio nell’equilibrio di una famiglia e slaccia i lacci delle abitudini e dei valori convenzionali. Quali sono state le difficoltà e le sfide nell’interpretare Lidia, e come le hai affrontate e superate?
La sfida che ci siamo dati con Daniele era appunto trovare la misura per cui, pur rendendo Lidia “umana”, lei dovesse essere sempre una finestra aperta, una fonte di freschezza, di primavera. Daniele e i reparti mi hanno aiutata a ricreare questa idea attraverso i costumi, i colori, il trucco, la luce, perché Lidia fosse, come diceva Daniele, “sempre bella”. Io ho lavorato su una centratura interiore forte: Lidia sta perfettamente sui suoi due piedi, non si appoggia mai a qualcosa o qualcuno al punto da sbilanciarsi, da rimanere zoppa. È sua la responsabilità di se stessa. E in un certo senso porta una versione soltanto sana – ideale forse – del “laccio d’amore”.
Come un legame che pur intrecciandoci all’altro, non limita l’autonomia e il pieno potenziale di realizzazione che ognuno dovrebbe preservare sempre – anche in coppia – per sé e per l’altro. È evidente che essere una famiglia, crescere dei bimbi, come fanno Vanda e Aldo, indubbiamente complica le cose, a prescindere, ma non dimenticare di curarsi di se stessi anche quando ci si prende cura degli altri e non accettare compromessi che chiudano gli occhi davanti alla verità dei fatti, è per me la chiave che Lidia porta nella storia.
“…non dimenticare di curarsi di se stessi anche quando ci si prende cura degli altri e non accettare compromessi che chiudano gli occhi davanti alla verità dei fatti, è per me la chiave che Lidia porta nella storia”.
I lacci possono imprigionarti, ma anche tenerti saldamente ancorata. Quali sono i “lacci” della tua vita, cose o persone a cui sei legata e/o che ti imprigionano?
L’immagine dei lacci, che sta anche sulla copertina di del libro di Starnone, con due scarpe allacciate -ma tra di loro!- porta il paradosso sul quale ho tanto riflettuto facendo questo film: i lacci di per sé ci servirebbero a tenere ogni scarpa salda sul suo piede, per camminare protetti da una suola e senza inciampare. Ma a volte, nei rapporti, come dicevo prima, ci allacciamo in modo sbagliato, all’altro, a una convenzione, a una menzogna. E allora le due scarpe si trovano intrappolate una nei lacci dell’altra, e non si può fare neanche un passo che già si è sull’orlo della caduta. Allo stesso tempo lasciare le scarpe coi lacci sciolti ti può far inciampare in te stesso, come a dire che i legami servono, che senza l’altro comunque andiamo poco lontano. È vero che esistono anche le ballerine e i mocassini eh, però, è una bella metafora per ragionare su cosa siano le relazioni!
Io ho piano piano imparato a slacciare i nodi sbagliati liberandomi e liberando gli altri. Facendomi forza laddove quei nodi erano stati magari imposti, talvolta anche violentemente.
Ma mi piace anche molto quell’altra idea di “lacci” che il film racconta: che ti ritrovi a sapere allacciare le scarpe in quel modo strano che solo tuo papà sa come te. E anche se non te lo ha mai direttamente insegnato, tu lo hai assorbito e fa parte di come ti muovi, di quello che sai. Avere tracce, più o meno consapevoli, di mia madre e mio padre o mio fratello e delle persone con cui mi sono scambiata un amore fortissimo, anche questo fa parte dei legami.
“Io ho piano piano imparato a slacciare i nodi sbagliati liberandomi…”
“Ma mi piace anche molto quell’altra idea di ‘lacci’ che il film racconta […] Avere tracce, più o meno consapevoli, di mia madre e mio padre o mio fratello e delle persone con cui mi sono scambiata un amore fortissimo, anche questo fa parte dei legami”.
#Supereroi”, la nuova commedia amara di Paolo Genovese: cosa puoi dirci sul tuo personaggio e sul film?
Nel film io interpreto Tullia, che è la migliore amica di Anna (Jasmine Trinca), e la accompagna attraverso gli anni di questo lunghissimo amore che la storia racconta. Anche Tullia a modo suo lotta per trovare quei superpoteri senza i quali l’amore vero, forse lo si può sfiorare, ma non lo si può “far durare per sempre”.
Il film ha un cast corale: hai condiviso il set con colleghi illustri tra cui Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Greta Scarano, Vinicio Marchioni, Elena Sofia Ricci. In che modo e da cosa è nata la chimica tra tutti voi? Hai adottato una tecnica particolare per rendere gesti, sguardi, azioni e relazioni reali sullo schermo?
Sono entrata in corsa in questo film partito come un superman i primissimi giorni di settembre del 2019, subito imbarcati per Ponza, per qualche giorno di prove lì, prima di rubare all’isola l’ultima coda dell’estate. La chimica con gli illustri colleghi è stata semplicemente un regalo della loro umanità, hanno subito accorciato le distanze con me che forse ero l’unica che, di persona, non aveva mai conosciuto nessuno di loro. Jasmine e Alessandro, che pure portavano il grande peso del film, sono stati da subito molto inclusivi, anche nei momenti più complicati, anche in quella iniziale corsa contro il tempo. E Paolo non mancava di metterci appena poteva attorno a un tavolo tutti insieme, anche con un buon piatto al posto del copione.
“E Paolo non mancava di metterci appena poteva attorno a un tavolo tutti insieme, anche con un buon piatto al posto del copione.”
Hai portato a casa qualche nuovo insegnamento o segreto una volta finite le riprese?
Ho avuto la conferma di qualcosa che avevo già imparato: che il lavoro di squadra è l’unico lavoro possibile, che è… il superpotere del cinema.
Come descriveresti “Supereroi” in una sola parola?
Io, come voi, il film non l’ho ancora visto, ma lasciandomi ispirare dalla copertina del libro di Paolo direi… “spazzolino”!
Che è quello che lasciamo nel bagno di una casa non nostra, decretando la nascita di un’intimità o l’inizio di una convivenza. Ma che è anche il simbolo di un gesto di cura quotidiano, ed è nella cura e nella quotidianità che ci si impegna a far durare un amore.
Le tue Lei in “Ricordi?”, di Valerio Mieli, e Antonia Pozzi in “Antonia.”, di Ferdinando Cito Filomarino, sono alcuni tra i personaggi femminili del cinema che, personalmente, ho più amato a livello di scrittura e interpretazione. Credo che le loro siano storie “necessarie”, quella sulla fragilità e pieghevolezza della memoria raccontata in “Ricordi?”, e le vicende e i pensieri della poetessa Pozzi in “Antonia.”; in nome di molti, vi ringrazio per aver offerto al grande pubblico importanti spunti di riflessione e introspezione sulla nostra stessa esperienza di vita. A te cosa ha regalato interpretare quei ruoli? Ti hanno insegnato qualcosa di nuovo su te stessa?
Grazie a te di queste parole, toccare un animo è per noi sinonimo di missione compiuta! Antonia è stata la mia prima grande esperienza cinematografica e nell’incontro con la sua poesia e il suo bruciante approccio ad ogni minuzia della vita e delle cose che l’ha portata a “consumarsi” giovane, io ho imparato a decifrare e conoscere quel modo- che spesso avevo e che crescendo sto imparando a mitigare con la leggerezza- di vivere sempre ad altissime intensità interiori. Non una scelta, ma una sorta di destino di natura (“per troppa vita che ho nel sangue tremo”).
La Lei di “Ricordi?” invece, e tutto il film in sé, sono stati uno spazio per riflettere sul rapporto con il tempo: io vivo tanto nel passato, nella ri-vivificazione di certi istanti, nelle memorie dei cinque sensi e tanto nel futuro, nelle proiezioni, nelle preoccupazioni, nelle fantasticherie. “Ricordi?” mi ha dato il desiderio di cercare un po’ di più il presente, di cui tanto i personaggi parlano nel film, anche da bambini. Che cos’è? Esiste? E forse un trucco per toccarlo è accorgerci che respiriamo. Proprio mentre lo facciamo.
“Io vivo tanto nel passato, nella ri-vivificazione di certi istanti, nelle memorie dei cinque sensi e tanto nel futuro, nelle proiezioni, nelle preoccupazioni, nelle fantasticherie. ‘Ricordi?’ mi ha dato il desiderio di cercare un po’ di più il presente, di cui tanto i personaggi parlano nel film, anche da bambini. Che cos’è? Esiste? E forse un trucco per toccarlo è accorgerci che respiriamo. Proprio mentre lo facciamo”.
Si parla spesso di come il cinema e il teatro possano cambiarti la vita, sia in quanto spettatore sia in quanto interprete. Quando guardiamo film, serie tv o spettacoli teatrali, è un po’ come se facessimo nuove conoscenze, entrando in contatto con nuove realtà che, inevitabilmente, confrontiamo con la nostra; spesso, paragoniamo i personaggi a noi stessi e la loro vita alla nostra esperienza, operazione utile per capirci di più, per conoscerci meglio. C’è stato un ruolo che ti ha particolarmente travolta, e, magari, cambiata?
Forse tutti i personaggi che raccontano una lotta, contro una condizione ingiusta o con i propri limiti. Ti direi, una su tutti, impegnata in una lotta dentro e fuori dalla metafora, la Maggie di “Million Dollar Baby“.
Lavori nel cinema, nella televisione e nel teatro. Cosa cambia nel tuo approccio a questi diversi tipi di produzioni? A quale dei tre mondi senti di appartenere di più?
Sto imparando che sono codici e modi di procedere davvero molto diversi tra loro, direi in particolare tra il teatro e la macchina da presa, cinema o tv che sia.
Questo mestiere a me lo ha insegnato il teatro, con il suo sacro rispetto dello spazio di lavoro e dell’altro, con il suo percorrere più e più volte l’arcata di una storia per intero, prima in prova e poi davanti al pubblico e con il suo miliare fondamento del “qui e ora”, del cogliere quello che accade, sempre, aldilà di quello per cui ci si è preparati e che la scena prevede. Durante una replica puoi inciampare, può spegnersi un faro o non partire una musica o non arrivare una battuta, ma si deve andare avanti, raccogliere l’imprevisto e farne qualcosa, insieme a chi è in scena con te. Cerco di portare tutto questo anche quando sto davanti alla macchina da presa che è uno strumento che sto conoscendo direttamente sul campo e di cui mi affascina soprattutto la possibilità del dettaglio e della selezione di un quadro e di un punto di vista che diventano potentissima parte integrante della narrazione.
“Questo mestiere a me lo ha insegnato il teatro, con il suo sacro rispetto dello spazio di lavoro e dell’altro, con il suo percorrere più e più volte l’arcata di una storia per intero, prima in prova e poi davanti al pubblico e con il suo miliare fondamento del ‘qui e ora’, del cogliere quello che accade, sempre, aldilà di quello per cui ci si è preparati e che la scena prevede”.
“Cerco di portare tutto questo anche quando sto davanti alla macchina da presa […] di cui mi affascina soprattutto la possibilità del dettaglio e della selezione di un quadro e di un punto di vista che diventano potentissima parte integrante della narrazione”.
Se potessi scegliere il prossimo ruolo da interpretare, un personaggio realmente esistito, magari, chi sceglieresti e perché?
Parlando di esistenze reali, vorrei scovare, dietro ai grandi nomi maschili di tutti gli ambiti, le donne invisibili ma operose, quelle che non ebbero modo di esprimersi neppure sotto uno pseudonimo, nelle arti o dietro le quinte politiche. Farne un coro di storie magari, da interpretare insieme ad altre colleghe.
Un personaggio del cinema o della televisione di cui vorresti essere amica?
Avrei voluto conoscere Valentina Pedicini, che ho sfiorato grazie all’esperienza di giuria in un festival la scorsa estate, qualche mese prima della sua scomparsa. Ho appena fatto in tempo, in una chiacchiera in videochiamata per parlare tra le altre cose del suo film in concorso (“Faith”), a percepire il suo modo speciale di approcciarsi senza armi all’incontro, con un immenso ascolto e una vivissima curiosità.
La collaborazione dei tuoi sogni?
Proprio sparando i fuochi d’artificio dell’impossibile, ti direi almeno un breve elenco, già che fantastichiamo: poter vedere all’opera, da vicino, dalla preparazione al set, Frances McDormand, Daniel Day-Lewis, Maryl Streep e il giovane caso Xavier Dolan.
Hai una figura di riferimento, una fonte di ispirazione, sia nel lavoro sia nella vita di tutti i giorni?
Direi che col tempo, pur continuando ad ammirare profondamente figure dalle più familiari alle più mitologiche, quello che sto cercando di imparare è far sì che sia il mio stesso inconscio a ispirarmi, a farmi da guida… conosce già tutte le ferite e le cure, sa l’importanza del rispetto gentile e dell’audacia…che sia libero di essermi, lui, maestro.
“…quello che sto cercando di imparare è far sì che sia il mio stesso inconscio a ispirarmi, a farmi da guida…”
Quali storie sogni di raccontare?
Storie che scelgano in modo spregiudicato un punto di vista, che rappresentino senza mezzi termini una condizione reale, che rinuncino all’estetica se serve, che facciano tutto il possibile per toccare un animo, per intercettare l’intelligenza emotiva di chi guarda.
L’ultimo binge-watch?
“Sex education”.
L’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Che anche se amo la carne in tutte le sue versioni culinaire, dai crudi alle interiora dei panini ca meusa, posso sostituirla con un buon hamburger vegetale e sentirmi contenta uguale, o forse di più, avendo fatto uno tra i tanti piccoli sacrifici che abbiamo il dovere di compiere per il nostro pianeta.
Il tuo must-have sul set?
La pizza romana. Per fortuna non tutti i set stanno su Roma.
Un epic fail sul set?
Un fail proprio epic ancora non ce l’ho… Ma spero di accumularne almeno qualcuno negli anni, per lo spasso di raccontarli. Però un episodio recente che mi viene in mente è successo “Sul Cacciatore“, in un giorno lungo, in uno scantinato freddo, stavo raccogliendo da diversi ciak tutte le mie forze per non ridere alla faccia che puntualmente Giorgio (Caputo) mi faceva fuori campo. Uno sforzo sfiancante come recenti show televisivi testimoniano. Comunque, tutta assorbita da questo lavoro muscolare profondo, dico la mia battuta. Francesco (Montanari) perplesso si gira e anziché dire la sua battuta mi risponde con un gerundio. Mah. Io non capisco. E il mio impulso di risata cresce a livelli ingestibili e dopo qualche secondo mentre realizzo di aver detto una frase senza senso, con un gerundio appunto sbagliato, che Francesco tentava di segnalarmi per non dover ripetere un altro ciak, intercetto con la coda dell’occhio Giorgio e… Non reggo più. Proprio più.
Il primo dvd che hai comprato?
Se non mi ricordo male era stato “Shakespeare in love“. O forse “Il Re Leone”. Ah no, “Il Re Leone” lo avevo già in videocassetta.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Io ho paura delle api e ancora di più delle vespe, ma proprio che tipo mi paralizzo e mi tappo gli occhi con le mani per non vederle se mi vengono vicine. Ma quella volta ho scoperto che se c’è qualcuno che ha più paura di me, io divento wonder woman e sono capace di – in pochissimi secondi, con un rapidità che non mi riconosco- afferrare la pezza bagnata dal lavandino e saltare dal piano della cucina – sul quale per paura mi sono rifugiata non avendo altra via – in diagonale alta verso il soffitto schiacciando la vespa in un solo colpo fatale. Non si fa, comunque, terrore permettendo è meglio aprire la finestra, invitare gentilmente l’insetto all’uscita e non privare la natura di nessun anello della sua catena… Ma in quel momento…
Qual è la tua isola felice?
L’amore.
L’ultima cosa/persona che ti ha fatto sorridere?
Tu, che con la domanda sulla cosa più coraggiosa mi hai fatto ricordare l’eroico balzo assassino.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup & Hair by Valeria Iovino.
Styling by Carlotta Borgogna.
Thanks to Agenzia Rubik Comunicazione.
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Body and top: MRZ
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LOOK 6
Costume and trousers: Circus Hotel
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Boots: Cult
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LOOK 7
Total Look: Antonio Marras
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