Ve li ricordate i vostri sogni?
Quante volte ci hanno fatto questa domanda… E se il vostro paese iniziasse a interrogarvi sui vostri sogni sotto il falso pretesto che sia per la vostra sicurezza? E se i sogni fossero l’ultimo brandello di libertà che ci resta?
“Land of Dreams”, diretto da Shirin Neshat e Shoja Azari, pone interrogativi e lascia al pubblico libera interpretazione. Abbiamo parlato di questo e molto altro con la protagonista Sheila Vand, del modo insolito in cui ha costruito il suo personaggio Simin, partendo da immagini, senza dialoghi o sceneggiatura.
E ricordate… dobbiamo tutti imparare ad essere “full C.U.N.T.”.
Qual è stata la tua reazione dopo aver letto la sceneggiatura per la prima volta? E qual è stata la prima domanda che hai rivolto alla regista?
Come prima cosa, ne ho girato una versione in cortometraggio con Shirin [Neshat]; abbiamo iniziato ad esplorare la storia tramite le immagini, il che è stato molto diverso dalla mia solita esperienza con i film, e il background di Shirin è arte e videografica, quindi prima ho avuto l’occasione di familiarizzare con quel mondo, e all’inizio non c’era sceneggiatura, lei mi ha semplicemente contattata, aveva visto i miei lavori precedenti, ed è una leggenda, sono una grande fan delle sue opere da molti anni, quindi ero emozionata sin dall’inizio. Poi, Jean-Claude Carrière si è aggiunto alla squadra e ha creato nuovi personaggi, ha aggiunto alla storia ancora più assurditismo e satira, e io ero entusiasta perché il mio personaggio fa un sacco di cose strane e il pubblico ha l’occasione di conoscere molti lati della sua personalità, io stessa ho avuto l’occasione di interpretare diverse sfumature in questo film.
Qual è stato il tuo approccio al personaggio, considerando che è stato creato in modo così insolito?
Sì, il personaggio è una combinazione della mia esperienza da iraniano-americana di prima generazione, e quella di Shirin, che appartiene alla generazione precedente alla mia, e di come ci si sente a vivere in un Paese che non è il tuo Paese natio, e a vivere in esilio, ad avere quest’identità fatta di più elementi. Ho dato molto di me stessa al personaggio, ho anche approfittato del fatto che fosse un film artistico, e che quindi potevo fare cose che di solito non posso fare, dunque volevo proprio divertirmi. I sogni mi hanno sempre affascinata, adoro sognare e pensare al significato dell’atto, quando un pezzo della nostra mente resta attivo e sveglio mentre il resto del nostro organismo si spegne, ciò che i sogni possono dirti è così interessante. È stato un processo fatto di tanto dialogo e tanta collaborazione.
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stessa durante il processo di creazione del personaggio, anche dal punto di vista delle tue origini, o dal confronto con Shirin a proposito delle diverse generazioni che popolano gli Stati Uniti?
Sì, ho la sensazione che in ogni progetto che faccio, soprattutto quelli vicini alla mia identità, esplori parti sempre più profonde di me stessa. È bello quando sei un artista e un attore, perché ti trovi in una sorta di ambiente sicuro in cui esplorare e immergerti in zone oscure e difficili di te stesso. Il film affronta molte tematiche pesanti, ma non si prende nemmeno troppo sul serio, ci sono molti momenti giocosi, cose che non per forza hanno un senso perché l’atmosfera è molto onirica. Il mio personaggio progredisce e si trasforma da persona passiva, all’inizio, che si limita ad osservare da lontano e a fidarsi di tutto, in una persona che non si fida di niente, quasi confusa su cosa è reale e cosa non lo è.
“Adoro sognare e pensare al significato dell’atto, quando un pezzo della nostra mente resta attivo e sveglio mentre il resto del nostro organismo si spegne”
Come hai detto tu stessa, il film è divertente e alcune scene sono addirittura assurde, ma poi, se ci pensi bene, il modo in cui il controllo sulle persone è rappresentato fa un po’ paura. Cosa ne pensi, cosa speri che il pubblico porti a casa con sé dopo aver visto questo film?
Sfortunatamente, ho la sensazione che la privacy non esista più e, in un certo senso, la gente pensa, “Oh, questo film è un avvertimento per il futuro”, ma io credo che quello che racconta sia già successo, esponiamo già così tanto di noi sui social, ci sono così tanti mezzi tecnologici che si appropriano delle nostre informazioni e dati personali senza che noi lo sappiamo; ma una cosa che amo del film è che ti spiega che i sogni non possono essere controllati, i sogni sono forse l’ultima cosa che ci appartiene. Il mio personaggio ha questa bellissima battuta nel film: “I sogni sono molto potenti, ma nessuno sarà mai in grado di controllarli”. Spero che questo film faccia meditare gli spettatori sul tema dei sogni, dell’identità americana, dell’identità dell’immigrato, ma adoro anche il fatto che lasci libera interpretazione, non ha un piano tutto suo, non ti dice cosa pensare o provare, è proprio come un sogno. Ogni spettatore è libero di interpretarlo a modo proprio e proiettarvi la propria singolare esperienza.
Ho avuto l’impressione che anche l’ambientazione fosse una sorta di personaggio in sé, perché c’è questa particolare tecnologia che registra i sogni, ma poi c’è anche questa macchina e tante vibes anni ’70. Forse è stato girato in New Mexico, la targa della macchina è del New Mexico, la riconosco perché ho vissuto lì ed è bellissimo, è la Terra dell’Incanto, ma allo stesso tempo è anche uno stato che ha vissuto da protagonista tanti momenti di storia americana.
Adoro il New Mexico, è stato il quarto film che ho girato lì e, come hai detto tu, è davvero una terra d’incanto. Una cosa meravigliosa e interessante a proposito del New Mexico, e perfetta per questo film, è che quel paesaggio desertico potrebbe effettivamente trovarsi anche nel mezzo dell’Iran. Si trova nel mezzo dell’America, ma sembra anche uno scenario che potrebbe risultare familiare al personaggio, così nostalgico com’è del deserto dell’Iran. Inoltre, il New Mexico è un posto molto vario, e gli americani che Simin incontra non sono solo i tipici americani, incontra tutti i tipi di americani, immigrati, nativi americani, e ciascuno ha un rapporto diverso con il governo, con i propri sogni, e con questa donna immigrata che bussa alle loro porte. In un certo senso, il New Mexico è stato un posto grandioso in cui girare questo film, perché è molto vario e pregno di energia che prende dalla cultura nativo americana. C’è un gran rispetto diffuso per il territorio, e il territorio è maestoso e cinematografico.
“I sogni non possono essere controllati, i sogni sono forse l’ultima cosa che ci appartiene”
Io ho vissuto in un paese mormone, a circa due ore da Albuquerque, vicino al confine con l’Arizona, un paesino minuscolo in mezzo alla riserva indiana dei Zuni e quella dei Navajo; io, una diciassettenne italiana, mi sentivo un’immigrata, e questo mix di culture, nativi americani, discendenti di europei, gente che veniva dall’america centrale e del sud, era straordinario.
È questo il bello dell’essere americani, sotto molti aspetti, anche se ci troviamo in un momento difficile in quanto nazione, da così tanti punti di vista. Secondo me, molti stanno avendo modo di confrontarsi con la nostra storia e con l’identità americana e il suo significato. L’America è un Paese abbastanza nuovo, in confronto a molti altri, in confronto all’Europa, quindi è ancora alla ricerca di sé, è come un adolescente nel mezzo della pubertà, e mi piace che il film lo rappresenti in questo modo. Le persone che incontra sono gente di ogni tipo, niente di ciò che ti aspetteresti.
La bellezza dell’America consiste anche in questo, secondo me, a volte gli americani dimenticano di apprezzare il fatto che abbiano così tante culture che si mescolano, e ci sono sempre punti in comune tra tutte, come un deserto che ti ricorda del tuo paese natio.
Sì, e poi lei vede questa colonia iraniana nel mezzo del nulla, e questo episodio la scuote, perché si tratta di un pezzo del suo passato. Come hai detto anche tu, sembra che il film sia ambientato negli anni ’70, ma in realtà dovrebbe essere il futuro prossimo, ci sono i social e la tecnologia, ma c’è anche un elemento senza tempo nell’atmosfera del film, nella colonia iraniana, questi rivoluzionari sono rimasti fermi, non sono cambiati col tempo, non si sono mossi, sono stati dimenticati, e penso sia molto realistico il modo in cui l’America viene rappresentata, come un paese che si è dimenticato di questi posti e avvia tutti questi cambiamenti. Sappiamo tutti cosa sta succedendo in Afghanistan, ed è un riflesso del film, ma, al contempo, il film non è affatto politico, parla di sogni, ma anche di queste strane relazioni molto verosimili. Credo che anche i sogni abbiano quel tipo di dinamica, sembrano sempre così verosimili, ripropongono qualcosa che sta succedendo nella tua vita vera, qualcosa che ti mette ansia o che ti fa paura, ma, allo stesso tempo, sono strani ed esistono seguendo una logica tutta loro.
I tuoi sogni influenzano il tuo lavoro? Ti ispirano in qualche modo?
Credo sia più il mio lavoro che influenza i miei sogni [ride]. È buffo, perché viaggio molto per lavoro e c’è questo sogno assurdo, ricorrente, che ho fatto diverse volte, in cui cerco di uscire di casa, e devo proprio andarmene, ma non riesco a trovare le mie cose e nemmeno ad uscire di casa. Credo dipenda dal fatto che viaggio così tanto che vivo di valige, in pratica, la mia vita è un viaggiare continuo, quindi, di sicuro i sogni che facciamo sono un riflesso delle parti più recondite di noi. Una parte di me adora sognare ad occhi aperti, e adora vivere nel mio mondo immaginario, quindi, in quanto artista, tutte quello che faccio, in un certo senso, è influenzato dai sogni, immagino, perché spesso sono il prodotto della mia immaginazione.
Adoro andare al di là del realismo, perché realismo è già tutto ciò che ci circonda, quindi con il cinema e con l’arte mi piace andare oltre e vedere dove l’immaginazione ci può portare. E poi, i sogni a volte sono meglio della realtà! Il mio personaggio la pensa allo stesso modo, abiterebbe in quel mondo piuttosto che nel mondo reale, e quando interpreta queste personalità strambe, colorate, che viene fuori un lato di lei completamente diverso rispetto alla ragazza timida, che si veste di nero, è silenziosa, sulle sue; e poi, sui social, lei abbassa la guardia, il che è quasi triste, perché sui nostri computer e telefoni, spesso, siamo diversi da chi siamo nella vita vera.
Come descriveresti “Land of Dreams” in una o due parole?
Sogni ed esilio.
“Adoro andare al di là del realismo, perché realismo è già tutto ciò che ci circonda, quindi con il cinema e con l’arte mi piace andare oltre e vedere dove l’immaginazione ci può portare”.
Qual è il tuo must-have sul set?
Oh mio Dio… Un po’ di spazio [ride].
Ho bisogno di spazio. A volte, gli attori vengono criticati se chiedono qualsiasi tipo di cosa per concentrarsi alla perfezione, hanno una strana reputazione; viviamo vite molto fortunate, io mi sento privilegiata perché ho sempre lavoro da fare, ma è strano arrivare sul set e (per quanto possa suonare sdolcinato) portare il tuo umore a lavoro ogni giorno, e sei circondato da centinaia di persone, di solito, di film in film, ed è sempre gente nuova, conosci gente per la prima volta e ti trovi in un ambiente in cui devi bilanciare tutta quell’energia con quel tipo di energia che è difficile da descrivere, quella racchiusa nel momento in cui ti esponi e diventi davvero vulnerabile.
Quindi, ho imparato, andando avanti nella vita, che per me è fondamentale prendermi il mio spazio, a volte, soprattutto se devo girare una scena molto intensa, come la “scena della chiesa”. È brutto dire “Sono qui per lavorare”, ma è necessario per il bene della performance, e a volte hai davvero bisogno di un attimo per te, credo sia molto importante, anche solo 30 secondi in cui ti metti in un angolo e resetti il cervello perché, quando gridano “azione”, devi fingere che nessuno sia lì, devi estraniarti da così tante cose.
Cosa significa per te “sentirti a tuo agio nella tua pelle”?
Lo sto ancora imparando, forse ci metterò tutta la vita per impararlo, ma è un viaggio straordinario, perché più diventi abile, più ti trasformi in te stesso, e più diventi consapevole di quanto sia bello quando non ti sforzi di compiacere tutti o non ti preoccupi di ciò che pensano gli altri.
Questo vale soprattutto per noi donne, è radicata nel nostro essere, da generazioni, la necessità di essere educate, accondiscendenti, di non essere difficili, emotive, mentre quando gli uomini si arrabbiano la gente lo adora, come se la rabbia non fosse un’emozione. Io amo RuPaul, vado matta per “America’s Next Drag Queen” e ho imparato molto da quello show. RuPaul dice: “Per essere una star, per essere te stessa, ci vuole carisma, unicità, coraggio e talento, parole che in inglese formano la sigla C.U.N.T.” (letteralmente “troia”). Per diventare una vera e propria C.U.N.T. hai bisogno di tutte quelle qualità [ride], e dopo aver visto quel programma, mi sono subito detta: “Sai cosa, il carisma credo di avercelo, e anche l’unicità, so di avere talento, ma mi manca il coraggio”.
Quindi, dobbiamo tenere a mente, soprattutto noi donne, che per essere noi stesse, per sentirci a nostro agio nella nostra pelle, dobbiamo essere audaci, dobbiamo avere coraggio. Così tante persone ci fanno credere che dobbiamo contenerci, mitigare la nostra vera personalità, ma quella non sono io: io piango, sono emotiva, sono passionale, e non voglio mitigare questi aspetti di me, quindi sto lavorando sul coraggio, sto imparando ad essere me stessa, ad essere una vera e propria C.U.N.T. [ride]. Abbiamo talento, siamo uniche, ma ho la sensazione che, nel tempo, purtroppo ci siamo abituate a vergognarci di possedere il nostro potere. Inoltre, in quanto attrice, io mi preoccupo che la gente possa pensare che sia troppo egocentrica, che faccia la diva, ma poi mi dico, “Vaffanculo, è tutto un dannato spettacolo, è tutto performance in fin dei conti”.
Io prima ero molto schiva quando mi facevano foto, invece ora il mio atteggiamento è più del tipo: “Sai cosa? Vi faccio un bello spettacolo”, perché alla fine è tutto comunque così assurdo, e poi l’ha detto RuPaul.
Photos by Johnny Carrano.
Look by Comme des Garçons.