C’è una via d’uscita? Siamo tutti complici? C’è speranza se uniamo le forze? Il sistema ci sta distruggendo? Ma il sistema siamo noi?
“7 Prisoneiros” diretto da Alexandre Moratto è un ritratto crudo e (putroppo) reale del traffico di esseri umani e della schiavizzazione che ha luogo in Brasile (e in molti altri Paesi) e che trasforma una discarica in una prigione in cui i crimini sembrano l’unica scelta.
Con il protagonista Rodrigo Santoro abbiamo parlato della sfida emotiva dell’interpretare un personaggio spregevole come il suo, che era, come lui stesso ha detto, difficile non giudicare, e della ricerca e il lavoro che ha fatto per dargli vita sullo schermo.
Il film ti fa sentire intrappolato, mi ha trasmesso una sensazione di angoscia, di non avere una vera e propria scelta. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura per la prima volta? E la prima domanda che hai rivolto al regista?
Come prima reazione, mi sono sentito mortificato, perché sapevo che si trattava di una storia vera, ne ero consapevole, ma non avevo mai approfondito prima che il progetto mi venisse proposto. Mi sono sentito profondamente commosso, spaventato, curioso. La prima domanda che ho rivolto ad Alex è stata “è tutto vero?” e lui mi ha risposto: “Ogni singola cosa e anche di più. Ti faccio vedere”.
Questo progetto è il risultato di 4 anni di grandi ricerche: ha intervistato delle vere vittime, ed è di lì che è nato il tutto; così facendo, ha iniziato a mettersi in contatto con quel mondo, e io non riuscivo a smettere di pensarci, non pensavo ad altro, soprattutto facendo ricerche sui numeri, sulle condizioni di vita, c’è gente – e stiamo parlando di circa 40 mila persone nel mondo – che, mentre noi parliamo, vive in quelle condizioni, attualmente, in Brasile, e stiamo parlando di migliaia di persone.
Che ricerche hai fatto per il film?
Ho iniziato a fare ricerche su Internet, a vedere video di gente che testimoniava, ed è stato devastante. Mi sono sentito subito connesso con l’importanza, l’urgenza del problema in questione. Poi, con Alexandre [Moratto], ho discusso del personaggio: non era stato scritto specificamente per me, fisicamente era stato pensato diverso da me, ma Alex mi ha detto: “Credo tu sia l’opzione migliore, non sei una scelta ovvia, ma sono convinto che tu possa fare un gran lavoro su questo ruolo. E credo anche che sarà una bella sfida per te”. Io volevo davvero aiutare a raccontare questa storia.
“Non riuscivo a smettere di pensarci, non pensavo ad altro, soprattutto facendo ricerche sui numeri, sulle condizioni di vita, c’è gente – e stiamo parlando di circa 40 mila persone nel mondo – che, mentre noi parliamo, vive in quelle condizioni, attualmente, in Brasile, e stiamo parlando di migliaia di persone”.
Ha fatto un gran lavoro sulla tua fisicità, sui tuoi movimenti. Luca ha questa specie di tic quando si muove, ma, dal punto di vista emotivo, com’è stato interpretare un personaggio del genere? Secondo me, si lascia disprezzare, ma, in fin dei conti, poi ti rendi conto che è come Mateus, probabilmente non aveva altra scelta, come se non ci fosse via d’uscita, come fosse un ciclo infinito.
Sì, è stato molto complicato, è stato un processo doloroso, perché, in quanto attore, devi usare il tuo corpo, le tue emozioni, quindi ciò che fai ti influenza, almeno per me funziona così. Inoltre, io sono cresciuto in una famiglia di classe media privilegiata, mentre Luca, il mio personaggio, viene dalla miseria, non ha avuto opportunità, ha sofferto la fame, praticamente vive negli slum, nelle favelas. Io con quel tipo di realtà ci sono cresciuto perché ho vissuto a Rio, in Brasile, ma non ho mai avuto contatti ravvicinati con quelle situazioni, perciò, per interpretare questa parte, ho dovuto documentarmi e quindi avvicinarmici. Ho visitato alcune comunità nelle favelas, ho parlato con molte persone, con vittime di questo tipo di situazione. Ho fatto tante ricerche, ed è stato doloroso, vedere tutto con i miei occhi e da vicino. Un conto è dire: “oh sì, sono poveri, è triste, sono vittime di questo tipo di situazione”, un altro conto è vivere tutto da vicino e cercare di entrare tu stesso in quella dimensione interiormente, emotivamente, fisicamente, e fa male.
E poi, ho iniziato a farmi tante domande: mi sono sentito in colpa per quello che ho, mi sono sentito spaventato, e all’inizio non riuscivo a fare a meno di giudicare Luca e odiarlo, odiavo il mio ruolo, il personaggio che dovevo interpretare; dunque, ho dovuto mettere da parte quel sentimento, perché, in quanto artista, non posso giudicarlo, posso avere un’opinione, ma il mio obiettivo in quanto artista è quello di rendere umano il personaggio e interpretarlo così com’è. Avevo semplicemente bisogno di comprendere l’essenza totale di lui in quanto essere umano e dei suoi conflitti: da dove viene, che tipo di vita fa, tutto questo per riuscire a comprenderlo e ad interpretarlo con umanità, in maniera tridimensionale, non devo fare altro, perché, come hai detto tu, lo odi ma lo comprendi, in un certo senso. L’importante era comprenderlo, non ha la redenzione, sa esattamente quello che sta facendo, sa che sta sbagliando, ha scelto di farlo perché la vita lo ha deluso, non gli ha mai dato niente. Quindi, ha trovato un modo per andare avanti, per dare una vita migliore alla sua famiglia, a sé stesso, e non gli importa di niente, è disposto a fare qualunque cosa, perché ha sofferto troppo. È stata un’esperienza costruttiva per me, perché ogni giorno visitavo un posto nuovo e, alla fine della fiera, dovevo immedesimarmi in quel sistema, non potevo tornare a giudicare Luca, dovevo essere lui, dovevo mettermi nei suoi panni, ma ci ho messo un po’, forse è stato durante la prima o la seconda settimana di riprese che sono arrivato a dire: “Basta, devo buttarmi e seguire questa pista e provare ogni scena, interpretarla in modo realistico, proprio come farebbe Luca”.
“È stato un processo doloroso…”
“Mi sono sentito in colpa per quello che ho, mi sono sentito spaventato, e all’inizio non riuscivo a fare a meno di giudicare Luca e odiarlo, odiavo il mio ruolo, il personaggio che dovevo interpretare; dunque, ho dovuto mettere da parte quel sentimento, perché, in quanto artista, non posso giudicarlo, posso avere un’opinione, ma il mio obiettivo in quanto artista è quello di rendere umano il personaggio e interpretarlo così com’è”.
Hai accennato al senso di colpa, e c’è la scena dei cavi, quando Luca mostra i cavi a Mateus e gli dice, “Questi sono i cavi su cui stiamo lavorando”, e gli spettatori si sentono un po’ complici. Cosa vorresti che il pubblico porti a casa con sé dopo aver visto questo film e come pensi verrà accolto in Brasile?
Il film arriva in un momento molto importante, secondo me, con tutto ciò che stiamo vivendo a livello mondiale e soprattutto in Brasile. È difficile individuare ciò che dovrebbe arrivare al pubblico, il messaggio del film, secondo me dipende dagli spettatori, ogni persona riuscirà a connettersi con la storia, oppure no, si emozionerà, oppure no, la criticherà, oppure no, è un’esperienza molto individuale. Sono convinto che l’esperienza di un film sia completa quando raggiunge lo spettatore, ha luogo nel corpo dello spettatore, in ogni singolo membro del pubblico. Guarderete il film e il risultato sarà la vostra percezione del film.
Tuttavia, chiaramente, vogliamo aprire un dialogo, il film è una metafora del risultato dei divari sociali, del nostro sistema così ingiusto che non si cura di queste persone, e loro finiscono per non avere la possibilità di essere persone, di avere una vita decente, di possedere le cose basilari, vivono nella miseria. È per questa ragione, dunque, che alla fine ti chiedi: “Che farà Mateus? Cos’è giusto e cos’è sbagliato quando si tratta di sopravvivenza?”. Sono tutti sopravvissuti, anche Luca è un sopravvissuto, Luca è un prodotto di questo sistema, e non come vittima, ma, se racconti la sua storia, è anche un prodotto di tutto ciò, ha fatto delle scelte, e sono un risultato di quel tipo di sistema. Speriamo che il film apra un dibattito a proposito, perché abbiamo bisogno di affrontare la situazione.
“Speriamo che il film apra un dibattito a proposito, perché abbiamo bisogno di affrontare la situazione”.
Photos by Luca Ortolani.