Nata e cresciuta a pane e intrattenimento, Sharon Duncan-Brewster sa di cosa parla quando si tratta di libertà di espressione, emancipazione femminile e dell’importanza del più piccolo dei cambiamenti. Tutti argomenti di cui abbiamo discusso con passione durante la nostra intervista, sotto il sole di una bellissima mattinata veneziana, girando intorno ad uno specifico argomento: il suo ultimo progetto, il film “Dune”, e il personaggio rivoluzionario che ha interpretato, il Dottor Liet Kynes.
Come i fan del libro ben sanno, Kynes era stato originariamente immaginato come un uomo, ma il regista Denis Villeneuve ha coraggiosamente deciso di cambiare le carta in tavola portandolo sul grande schermo. Con Sharon, abbiamo parlato di questo, delle sfide che implica adattare un personaggio maschile su una figura femminile e delle speranze e dei messaggi che quest’operazione cinematografica sottintende, il tutto dalla prospettiva della “novellina in questo grande campo”, come si è definita lei stessa, anche se ormai non è di certo più una novellina (in nessun campo).
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Ricordo la mia prima volta al cinema, ero con la mia mamma e il mio papà, in un cinema ad Hackney, nella parte est di Londra, che è dove sono nata, e volevamo entrare in sala per vedere un film, non ricordo quale perché ero molto piccola, ma finimmo per andare a vedere “Superman” invece, anche se era già iniziato. Lo schermo mi sembrava enorme, era la prima volta che vedevo una cosa del genere e non me lo dimenticherò mai, perché sono andata al cinema con entrambi i miei genitori solo due volte nella vita. Mio padre mi portava al cinema più o meno ogni weekend, quindi immagino che quello abbia contribuito ad alimentare la mia passione. In quei momenti, in realtà, guardando lo schermo non pensavo che volevo essere lì, era più la magia della narrazione che mi incantava. Quando ero piccola, andavamo a vedere gli spettacoli doppi, quindi ti ritrovavi davanti due mondi completamente diversi in cui potevi immergerti e lasciarti andare, e molti erano film Disney, come “Pomi d’ottone e manici di scopa” o “Gli Aristogatti”, e tutti quei cartoni più vecchiotti, perché io ho una certa età, quindi ai miei tempi non c’erano “Aladdin” e “La Bella e la Bestia”, ma quelli usciti prima [ride].
Amavo andare al cinema, l’ho sempre amato, saltavo anche la scuola per andarci, [ride] e da sola, quindi non era nemmeno un atto di ribellione, volevo semplicemente andarci. Era un’occasione per me per vedere film che i miei amici all’epoca non volevano vedere, perché, a quell’età, tutti vogliono vedere i film d’azione o quelli romantici, mentre a me piacevano altri tipi di film, magari quelli stranieri, o che parlavano di altri argomenti.
Io adoro andare al cinema da sola.
Sì! Non hai nessuno che ti parla! [ride] Sai, quando ci vai con i tuoi amici, è un’esperienza completamente diversa. Non mi dispiace, ma devi scegliere bene il film da vedere se devi andarci con loro, perché ci sarà sempre quell’amico del gruppo che parlerà per tutto il film. Non dimenticherò mai la volta in cui sono andata a vedere “A Beautiful Mind”, all’epoca stavo recitando in una serie, e una mia amica ad un certo punto inizia a sussurrarmi, “Ho capito, so cosa significa” e io le faccio, “NON DIRMELO!”, ma lei mi rovinò il finale del film; quindi, da allora, basta cinema con gli amici.
“…basta cinema con gli amici”.
Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura di “Dune”? E qual è stata la prima domanda che hai rivolto al regista o allo sceneggiatore?
La prima domanda che ho rivolto a Denis [Villeneuve] quando l’ho incontrato di persona per la prima volta è stata: “Monsieur, perché io?” [ride] E lui mi diede una risposta estremamente chiara e sincera, ovvero: “Madame, ho visto il tuo self tape”; mi disse che gli era piaciuta la mia interpretazione, sentiva che ero l’incarnazione di Kynes e, dopo aver visto altri showreel e cose simili, aveva pensato, “Sì, lei è perfetta per la parte”, quindi è stato semplice per lui, una volta capito che ero io la persona che cercava.
All’inizio, non facevo altro che pensare, “Oddio, questa è roba grossa, è un progetto da tanti milioni di dollari con nomi molto, molto grossi, molto famosi, e volti molto conosciuti a livello mondiale”, nonostante anche io abbia partecipato a molti progetti, e dovrei metterlo in chiaro, perché continuo a definirmi una novellina, ma quando lo faccio, intendo una novellina in questo campo. Recito ormai da molti anni, ho partecipato a molte produzioni teatrali, serie britanniche e altri progetti internazionali, ma in scala ridotta. Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta, mi sono subito chiesta come avrebbero fatto ad adattare tutte quelle informazioni, perché, e chi ha letto il romanzo lo sa bene, è enorme, è denso, ma per degli ottimi motivi; il mondo che Frank Herbert ha creato è complesso, dietro ogni snodo che ha deciso di inserire nella storia c’è una ragione precisa e, secondo me, era un genio, perché nessuno crea più storie del genere ormai, nemmeno ci prova, sarebbe un’impresa titanica per chiunque ideare una storia così, e prenderla e portarla sul grande schermo è una sfida enorme.
“Monsieur, perché io?”
“Madame, ho visto il tuo self-tape”
Il tuo personaggio nel romanzo è un uomo, ma nel film, è una delle cazzute protagoniste femminili. Come hai lavorato con il regista e gli sceneggiatori per modellare il personaggio su una figura femminile?
È una domanda super interessante, perché, in quanto attore, o attrice, qualunque sia il modo in cui vogliamo dirlo – dipende da con chi sto parlando e da quale sia il contesto, perché io mi definisco un “attore”, ma continuo a chiamarmi “attrice” perché mi fa sentire più forte – mi sono chiesta la stessa cosa, “Che cosa posso dare di mio a questo ruolo, in quanto donna che interpreta una parte originariamente scritta per un uomo?”. La vera risposta è che non cambia niente, devi solo recitare quello che dicono la sceneggiatura e la storia, l’unica differenza è che il corpo che la gente ha davanti, o che vede sullo schermo, ha un’anatomia leggermente diversa.
Dal punto di vista sociale, psicologico, ci potrebbero essere alcune differenze, ma trovo sia molto interessante per gli spettatori che sanno che nel libro il Dottor Kynes era un uomo: ora, vedendo una donna, non devono far altro che stare a guardare, e gli verranno in mente mille domande, e si renderanno conto di come le cose siano cambiate dai tempi in cui il libro è stato scritto. È un’occasione per la gente di rendersi conto che l’energia del Dottor Kynes non cambia, ma, man mano che la storia va avanti e inizia a svilupparsi, ti accorgi della complessità di questo mondo, di come ci siano diversi aspetti sociali, così tante differenze tra i più anziani, i saggi, gli spirituali, i lavoratori, e che c’è ancor più divertimento nell’aggiungere la questione di genere al “mix Kynes”, a mio parere.
Ci penso e mi dico, “Se non fossi una donna che interpreta un uomo, la gente si soffermerebbe sul fatto che le cose non sono cambiate poi così tanto in quanto a patriarchia e sul ruolo delle donne in una società patriarcale?”. La storia in sé è ambientata nel futuro, ma dall’epoca in cui Frank l’ha scritta, gli anni ’60, ad oggi, quanto è cambiato effettivamente? Secondo me, se ci fosse stato un uomo ad interpretare Kynes – e parlo in quanto donna considerando, col senno di poi, ciò che abbiamo realizzato – molte meno persone si sarebbero soffermate su questi aspetti della storia. Oggi, essendo la nostra una società molto più libera di affrontare questioni di genere, sessualità, nonostante gli anni ’60 siano stati pieni di progressi, è il momento perfetto per Kynes per essere donna, perché possiamo mettere da parte tutti gli altri aspetti della trama e della storia e chiederci, “È una questione importante, perché non ne parliamo? Affrontiamo la conversazione in questa società!”.
Le cose sono cambiate, ma possono cambiare ancora. Se teniamo conto dei 60 anni trascorsi da quando il libro è stato scritto, e poi consideriamo il mondo in cui ci troviamo catapultati con questa storia, c’è un’enorme quantità di tempo a disposizione perché i cambiamenti si verifichino, e allora non ci preoccuperemmo nemmeno più del fatto che Kynes sia una donna, perché saremmo già in un mondo in cui ci verrebbe spontaneo chiederci: “Perché facevamo tante storie?”.
Secondo me, se pensiamo al periodo in cui Frank scriveva e a come si sviluppò la sua narrativa intorno alle donne, ci rendiamo conto che, se scrivesse il romanzo oggi, non si farebbe nessun problema a scegliere una donna per il personaggio di Kynes, perché i suoi personaggi femminili sono sempre stati forti, prima di tutto, e stratificati. Alla società viene offerta una grande opportunità per aprire un dibattito sulle cose che devono cambiare. È per questo che ritengo che la mia presenza nel film sia una gran cosa. Se i fan saranno d’accordo con la scelta? È interessante assistere alle loro discussioni, scoprire come si sentono, perché anche loro sono combattuti a proposito di Kynes e se dovrebbe o non dovrebbe essere una donna e su come questa cosa influisca sul personaggio, e per me è stupendo che affrontino questo tipo di discorso.
“Che cosa posso dare di mio a questo ruolo, in quanto donna che interpreta una parte originariamente scritta per un uomo?”.
“È una questione importante, perché non ne parliamo? Affrontiamo la conversazione in questa società!”.
Il libro “Dune” ha esercitato un’influenza enorme su cinema, arte, musica e sull’intero universo sci-fi. Come hai lavorato con il resto del cast per costruire il vostro rapporto sullo schermo e adattare un’opera letteraria così importante?
Ad essere sincera, credo che tutti ci siamo preparati al meglio, tutti eravamo “sul pezzo”, come si suol dire. Non è stato difficile cambiare mood e immergerci nel mondo dei nostri personaggi: il set, le scenografie e i fondali di ogni ambiente in cui ci trovavamo erano mozzafiato, così come i costumi, Jacqueline [West] e Bob [Morgan] sono stati fantastici. Tutti hanno svolto il loro lavoro in relazione a cosa doveva risultare visibile, e nei minimi dettagli, quindi quando eravamo sul set, questo enorme, vasto set che non finiva mai, un grande spazio aperto – uno dei set sembrava quasi un campo da football, era gigantesco – c’è stato un momento, in una scena che ho girato, e che non è nel film, in cui dovevo camminare verso un tavolo molto grande con i membri del cast principale allineati uno di fianco all’altro che mi guardavano, ed è stato un momento intenso, perché c’erano tutti questi volti conosciuti da un lato della stanza e poi c’ero io dall’altro, in questa location enorme, con colonne altissime, tutto curato nei minimi dettagli; le trame sulle pareti, i gioielli, i costumi, i vestiti, le prove costume che dovevamo fare per assicurarci che funzionassero, le tute distillanti: sono assurde da indossare, c’è voluto un po’ per abituarci perché, pur essendo state create apposta per noi, ovviamente, dovevano essere ben aderenti, e quasi servire il loro scopo reale. Quindi, in quei momenti in cui ti sentivi davvero immerso in quel mondo, non era difficile darsi da fare, perché si tratta di una storia di relazioni, in fin dei conti, quindi anche se l’avessimo girata in pantaloncini e t-shirt, avremmo comunque raccontato la stessa identica storia. Il bello è che ci sono tutti quegli sfarzi extra che la rendono sci-fi, futuristica.
“Il bello è che ci sono tutti quegli sfarzi extra che la rendono sci-fi, futuristica”.
“mozzafiato”
“straordinario”
Cos’è per te la libertà, a livello lavorativo? Quando ti senti libera di esprimerti?
Mi sento estremamente libera quando sono sul palcoscenico, perché a teatro abbiamo molto più tempo per prepararci, quindi un periodo di tempo più lungo anche per assorbire informazioni; di conseguenza, puoi memorizzare quelle informazioni, sai che è tutto in ordine, hai capito come muoverti da un capo all’altro. C’è un che di molto liberatorio nel distaccarsi dai registi, loro non sono più lì, ma ci sei solo tu, è un po’ come quando ad un uccello in gabbia viene concesso di volare via e andare per la sua strada, ma con tutte le informazioni e i dettagli di cui ha bisogno per brillare. Il bello del teatro è che ogni sera è diverso; si crea una sorta di vibrazione nell’ambiente teatrale, tra il pubblico e gli attori, l’atmosfera diventa elettrica, quindi non c’è mai una serata uguale ad un’altra, qualcuno potrebbe mettersi a ridere in un punto in cui nessun altro riderà mai più. Devi trasformarti un po’ per adattarti alle varie reazioni, ed è quello che amo, perché sei in costante fase creativa. È come quando scrivi una canzone e poi noti alcuni elementi che non avevi mai notato prima, con cui puoi giocare un po’; è questo che trovo molto liberatorio quando creo e quando recito.
“C’è un che di molto liberatorio nel distaccarsi dai registi, loro non sono più lì, ma ci sei solo tu…”
“…qualcuno potrebbe mettersi a ridere in un punto in cui nessun altro riderà mai più, quindi, devi trasformarti un po’ per adattarti alle varie reazioni…”
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa?
Che va bene dire di no. In quanto donna, è una gran rivelazione.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Sentirsi a proprio agio nella propria pelle significa amarsi, conoscersi, comprendersi, e anche darsi tregua [ride], e sapere che le cose possono cambiare, e che va bene cambiare.
“Dune” è anche la storia di una nuova generazione che riunisce le forze per combattere per un mondo migliore di quello che gli è stato lasciato. Credo che questo sia il momento storico perfetto per raccontare alle persone, e ai giovani in particolare, una storia di questo tipo, che affronta tematiche così delicate, attuali. Cosa speri che il pubblico porti a casa con sé dopo aver visto questo film?
Vorrei che gli spettatori, a prescindere dalla loro età, si rendano conto di quanto importante sia il loro ruolo su questo pianeta, per preservarlo, rispettarlo, praticando stili di vita ecosostenibili, e che capiscano che, unendo le forze, e accettando le nostre differenze sociali ed economiche, possiamo cambiare il mondo, nessuna società singola può riuscirci da sola, è impossibile. Spero davvero che le persone si rendano conto che, a prescindere da quanto si credano insignificanti, sono sempre fondamentali per questo futuro che tutti quanti dobbiamo costruire, e anche con cambiamenti minuscoli che ciascuno può realizzare, le cose potrebbero cambiare drasticamente. Mi auguro che, vedendo questo film, la gente potenzi e incoraggi questi cambiamenti per realizzare qualcosa di costante e che, si spera, ci conduca ad un nuovo stile di vita, individuando anche nuove risorse.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup by Lisa Houghton
Hair by Venner James
Styling by Zadrian Smith and Sarah Edmiston
Location: JW Marriott Venice Resort&Spa