La sua performance nella serie Netflix “Luna Park” non poteva che attirare la nostra attenzione; “puro di cuore” tanto quanto il suo personaggio Matteo, Edoardo Coen ci ha raccontato sé stesso senza risparmiarsi su niente, osservando le gioie e sfide che un approccio profondo al proprio mestiere non può che comportare.
Edoardo ci ha parlato della sua esperienza sul set dell’originale serie in costume, con illustri riferimenti e ispirazioni (il re delle rom-com Hugh Grant, per citarne uno) e la sana paura di mettersi in gioco sul suo “primo set importante”. Col supporto di una squadra che si è fatta famiglia, Edoardo ha scoperto il fascino e il divertimento del “rubare” dalla Roma anni ’60, riflettendo sulle relazioni affettive e quanto cambino col mutare dei tempi.
Tra desideri di viaggi nel passato e confessioni sul ruolo della musica nella sua vita, Edoardo ci ha parlato di cinema, teatro, arte evasiva…e di audaci, memorabili servizi di tennis.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
I miei genitori sono grandi amanti di Federico Fellini. Nel salone di casa mia, sotto al mobile del televisore, era esposta una collezione di videocassette De Agostini dei suoi film. Ce ne erano a decine. Forse, esclusi i cartoni animati, questo è uno dei miei primissimi ricordi legati al cinema.
Dopo una carriera nel teatro, sei approdato su Netflix con la serie “Luna Park”, creata e scritta da Isabella Aguilar, con la regia di Leonardo D’Agostini e Anna Negri (regista di “Baby”). Qual è stata la prima domanda che hai rivolto ai registi e a te stesso, quando hai letto la sceneggiatura?
A Isabella ricordo che chiesi di parlarmi di Matteo, il mio personaggio. Eravamo alla prova costume e fu una chiacchierata semplice ma edificante, mi dette subito delle reference molto utili (una su tutte quella di Hugh Grant). Ad Anna e Leo probabilmente chiesi qualcosa di inerente alle scene che abbiamo girato, direttamente sul set.
Com’è stata la tua esperienza sul set, con un cast corale che dev’essere un po’ diventato la tua famiglia?
È stata senza dubbio la mia esperienza lavorativa più bella. Era il mio primo set importante, con un personaggio consistente, quindi avevo una certa (sana) paura. Tuttavia dopo il primo ciak è stato tutto semplice e, si, cast e troupe sono stati la mia famiglia per i quattro mesi di riprese ed oltre. In un momento in cui non si poteva uscire di casa e non si potevano avere rapporti diretti con le persone, noi abbiamo vissuto da privilegiati, per cui secondo me abbiamo legato ancor più che in un contesto “normale”.
“…avevo una certa (sana) paura”.
Gli intrecci sono ambientati nella Roma degli anni ’60: ti è piaciuto catapultarti in questo periodo storico e ricostruirlo? Hai fatto ricerche, interrogato tuoi conoscenti?
È stato il punto di forza di “Luna Park” ed una fortuna per tutti noi. Girare film o serie d’epoca è divertentissimo, c’è sempre qualcosa da scoprire, da imparare, da rubare da chi ci ha preceduto. Abbiamo guardato film di quegli anni, interviste, letto libri. In casa conservo ancora le registrazioni del Geloso dei miei nonni, è stato un materiale utilissimo per me.
Il tuo personaggio, Matteo Baldi, è un ragazzo timido e molto innamorato, alla ricerca della propria identità al di là delle differenze sociali e individuali. Calarsi nei panni di qualcun altro ci fa vedere il mondo da nuove prospettive, oltre a lasciare sempre una traccia dentro di noi: cosa ti ha lasciato Matteo, e quanto c’è di te in lui?
Matteo mi ha fatto riflettere su tante cose, principalmente su quanto siano cambiate le relazioni affettive. Nella società di oggi è impensabile che un ragazzo di venticinque anni non abbia ancora dato il suo primo bacio, o che comunque sia così difficile per lui sbloccarsi; in quegli anni invece, forse, non era poi così inusuale. Sicuramente abbiamo in comune una certa purezza di cuore, siamo entrambi un po’ ingenui e, soprattutto, siamo due inguaribili romantici.
“…siamo entrambi un po’ ingenui e, soprattutto, siamo due inguaribili romantici”.
Se potessi viaggiare indietro nel tempo, in quale epoca ti rifugeresti e perché?
Gli anni ‘60 non mi dispiacerebbero affatto. Sono stati anni di fermento culturale ed artistico di altissimo livello. Se potessi tornare a quegli anni diventerei lo stalker di almeno una decina di personaggi fra attori, musicisti e scrittori.
Da piccolo, volevi fare il musicista, e sei tutt’ora un chitarrista di talento. Cosa ti ha fatto scegliere, alla fine, la carriera di attore? Pensi ci sia spazio, nel tuo futuro, per una carriera musicale?
Cito una frase di Rustin Cohle, interpretato da Matthew Mcconaughey in “True Detective”: “Una vita basta a malapena per diventare bravo in una cosa”. Il mestiere dell’attore e quello del musicista sono entrambi difficilissimi se si vogliono affrontare seriamente, con una certa profondità. La mia vita mi ha portato naturalmente a scegliere la professione dell’attore, anche se la musica rimane centrale per me, ogni giorno. Poi tutto può succedere, ne riparliamo tra qualche anno magari!
Cosa rappresentano, rispettivamente, musica e cinema nella tua quotidianità?
La musica rappresenta un’evasione e al contempo una presa di coscienza. Credo che lo stesso valga per il cinema. Sono due modi che l’essere umano ha per staccare e per riflettere, per tornare bambino e per crescere.
“…per staccare e per riflettere, per tornare bambino e per crescere”.
Cinema e teatro: sotto quali riflettori ti senti più a tuo agio e come cambia il tuo approccio da un’esperienza all’altra?
Fino a poco tempo fa avrei detto che mi sentivo più a mio agio sul palco. La maggior parte della mia esperienza si è svolta lì. Ora, dopo l’esperienza del set, posso dire di sentirmi a casa in entrambi i luoghi. Ho scoperto che il teatro e il cinema sono due mestieri completamente diversi, non l’avrei mai detto. Mi auguro di portare avanti entrambi al meglio.
La colonna sonora della tua vita comincia e finisce con quale brano?
La colonna sonora della mia vita inizia con “Circle of Life” de “Il Re Leone” e finisce con “The Jackson Song” di Patti Smith.
Quale canzone descrive alla perfezione questo momento della tua vita, invece?
“Coloratura” dei Coldplay.
“Circle of Life”, “The Jackson Song”, “Coloratura”
Qual è stato l’incontro professionale più significativo della tua carriera, finora?
L’incontro con Carlo Cecchi. Siamo stati in tournée con “Enrico IV” di Luigi Pirandello. Dividere il palco con lui è stata l’esperienza più formativa per me, come attore.
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
I rapporti con le persone. Che siano d’amicizia, familiari o d’amore. Senza gli altri non siamo niente.
Il film con la colonna sonora più bella?
“Hook” di Steven Spielberg, con le musiche meravigliose di John Williams.
Il tuo ultimo binge-watch?
“Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare.
Il libro sul tuo comodino?
“Le ceneri di Gramsci” di Pasolini.
Un personaggio di un film o serie TV che ti piacerebbe avere come amico?
Eric di “Sex Education”.
Il musicista che ti piacerebbe interpretare in un biopic?
Domenico Modugno.
Un epic fail sul set e/o sul palcoscenico?
Non ce sono stati di clamorosi finora, per fortuna. Però ricordo che mentre giravamo una scena di “Luna Park”, io dovevo provare dei servizi di tennis. Per questioni di inquadratura ero in una posizione molto innaturale con il corpo e dovevo battere fuori dal campo. Ad un certo punto ho schiacciato una palla in faccia alla nostra fonica. Ma forte eh. Mi sono sentito in colpa tutta la sera.
“…MENTRE GIRAVAMO UNA SCENA DI ‘LUNA PARK’, IO DOVEVO PROVARE DEI SERVIZI DI TENNIS…”
Il tuo must haves sul set?
Maglietta termica e coperta.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Scegliere di fare l’attore.
Di cosa hai paura?
Di perdere di vista le cose importanti.
La tua isola felice?
La mia casa in campagna, nelle Marche.
Photos by Johnny Carrano.
Makeup by Adelaide Fiani.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Thanks to Others srl.
Thanks to Abitart Hotel.
Location manager Luisa Berio.
LOOK 1
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LOOK 2
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Sweater and hat: Impure
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LOOK 3
Total Look: Sandro Paris
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