Quale miglior mese di quello degli innamorati per l’uscita di una serie che di innamorati si nutre, studiandoli e tratteggiandone i contorni puntata dopo puntata? Il 14 febbraio il catalogo Netflix si è arricchito di un nuovo prodotto di qualità, l’attesissimo adattamento del romanzo omonimo di Marco Missiroli, “Fedeltà”. Una mini-serie in 6 puntate ambientata a Milano, che affronta il tema della devozione, del tradimento, del dubbio e dell’evoluzione del sentimento nelle relazioni amorose.
Nella tranquilla e sana quotidianità di Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Ludovica Guidoni), si insinua la Tentazione e, con lei, la messa in discussione dell’esclusività del loro amore reciproco. Leonardo Pazzagli è la goccia che fa traboccare il vaso: in “Fedeltà” interpreta il giovane fisioterapista Andrea, un personaggio col mistero e il fascino dalla sua, che con Margherita trova una pericolosa intesa.
Leonardo ci ha raccontato della sua esperienza sul set, delle sfumature che il concetto di fedeltà può assumere nelle vite di ognuno, e del valore che ha nella sua. Tra storiche passioni e radici, progetti futuri e una fiducia quasi sconfinata nelle domande difficili che ci aiutano a conoscerci, in cammino verso la conquista dell’autenticità.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Una domanda difficile a cui avrei una risposta come quella che avrebbero in tanti: l’illuminazione del primo film al cinema. L’immagine che mi viene è “Nuovo Cinema Paradiso”, ma non perché sia stato il primo film che ho visto, ma perché è stato il primo film metacinematografico. Forse, come film in sé, il primo di cui ho memoria è “Bambi”. Io neanche me lo ricordo, ma mia madre mi ha raccontato dei pianti disperati che mi facevo tutte le volte che lo vedevo [ride].
Sei tra i protagonisti della nuova miniserie Netflix “Fedeltà”, disponibile a partire dal 14 febbraio. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura e metabolizzato il ruolo che avresti dovuto interpretare? E qual è stata la prima domanda che hai rivolto ai registi e a te stesso?
Appena mi hanno confermato che sarei stato io ad ottenere la parte, ho provato euforia, ero veramente tanto contento, e questa euforia è rimasta anche dopo aver letto le sceneggiature. Il mio personaggio nel libro e quello della serie sono lo stesso personaggio, ma raccontato in maniera diversa, e di base i registi mi hanno dato molta libertà; io cercavo informazioni precise da loro su cosa volessero, e mi hanno dato delle indicazioni, pur lasciandomi sempre piuttosto libero.
La domanda che mi faccio sempre è: cosa c’è di me in questo personaggio e cosa non c’è in me di questo personaggio che devo conquistarmi e magari mantenere anche una volta tornato in me stesso e tolti i suoi panni? La caratteristica che mi ha subito colpito di questo personaggio è che è un osservatore, è in grado di ascoltare, ed è molto essenziale: non è per niente verboso, è diretto ed essenziale. Anche io sono un osservatore e un grande ascoltatore; magari sono meno essenziale di lui, quindi la prima domanda che mi sono fatto è stata: “Okay, devo conquistare un’essenzialità maggiore; cosa ho e cosa mi manca, e cosa mi manca che voglio mantenere?”.
Per ogni attore funziona in maniera diversa, ovviamente, ma per me l’occasione di interpretare un personaggio è sempre un modo per conoscermi meglio e per conoscere meglio parti di me che magari non ho mai esplorato e che posso far emergere, perché credo che in tutti noi ci sia una gran varietà di colori che questo mestiere consenta di conoscere meglio, di esplorare e di acquisire.
“…cosa c’è di me in questo personaggio e cosa non c’è in me di questo personaggio che devo conquistarmi…”
Hai menzionato il romanzo di Marco Missiroli da cui è liberamente tratta la serie: lo conoscevi, l’avevi già letto anche prima di interessarti al progetto di adattamento?
Lo conoscevo perché me ne aveva parlato un amico, ma l’ho letto dopo il primo provino: me ne aveva parlato poche settimane prima e la coincidenza è stata che mi è arrivato questo provino quando avevo da poco iniziato a leggere il libro. Quindi, insomma, mi sono approcciato al libro quando ho avuto le prime avvisaglie del progetto di adattamento, ma quando poi ho avuto la parte, l’avevo già letto e lavorato.
Il tuo personaggio, Andrea, è un fisioterapista che seduce la protagonista (Lucrezia Guidone), portandola a mettere in discussione le certezze che aveva sul desiderio indiscusso di suo marito (Michele Riondino) e nessun altro. Quali sono state le difficoltà e le sfide dell’interpretare il tuo personaggio e come le hai affrontate e superate?
Il primo ostacolo è stata la grande preparazione fisica che ho dovuto fare per questo ruolo. Ho passato due mesi intensissimi in cui la Bibi Film, la produzione, mi ha supportato tantissimo affiancandomi grandi professionisti, uno fra tutti un campione del mondo nella sua disciplina, che mi piacerebbe tanto ringraziare pubblicamente.
Come mai nella vita, sono stato veramente un monaco nella preparazione fisica, a livello di alimentazione e allenamento, sono stati due mesi consacrati a quello, anche perché arrivavo dal Natale, quindi quando ho saputo del ruolo ero con la decima fetta di panettone sullo stomaco [ride], avevo bisogno di darmi da fare. È stata una fase molto intensa, e quando fai cose “estreme”, preparazioni fisiche così coinvolgenti, anche la psiche, in qualche modo, ne risente, e per me era la prima volta. Sia il rigore degli allenamenti, sia il rigore della dieta mi hanno dato una prospettiva nuova. La prima sfida è stata questa, e poi il fatto che il mio personaggio è presente, ma di lui sappiamo poco, in scena viene mostrato poco: la sfida è stata cercare di lavorare su quello che non si vede, quindi la sua provenienza, il suo contesto, la sua famiglia, che sono tutte cose che rimangono fuori dalla storia e che, però, possono rendere vivo o meno il personaggio. Poi, recuperare quell’essenzialità di cui parlavo, quell’istinto viscerale che non ti fa fare qualcosa a meno che non sia un’esigenza.
Rispetto a quello che dicevi tu, che Andrea è ciò che fa mettere in discussione alla protagonista alcune sue certezze, io penso che il personaggio abbia già chiaro quello che vuole, ma che abbia anche un profondo sguardo su di lei e senta che è qualcosa che vuole anche lei, quindi si offre per assecondare una sua volontà, ma non si offre per lei, anche se già capisce che lei prova attrazione: è un personaggio che non ragiona, ma che sente.
Queste, in maniera molto variegata, sono le principali sfide di questo personaggio: rispetto al libro, c’è una grande condensazione della sua storia.
La serie rappresenta le sfaccettature dell’amore, ma, in particolare, esplora il concetto di desiderio e la realtà del tradimento che spesso si insinuano nella vita di coppia. Che approccio hai adottato nei confronti di queste tematiche delicate? Cosa o chi ti ha ispirato, ogni giorno sul set, e a casa, durante il processo di preparazione?
Stando anche a ciò che ha detto l’autore stesso, Missiroli, nelle interviste, la sostanza del libro è che non c’è solo un tipo di fedeltà, ci sono tanti tipi di fedeltà. Il primo tipo di fedeltà che ci dobbiamo è quella a noi stessi, a quello che vogliamo, a quello che sentiamo e a quello che desideriamo: questa è stata una cosa che mi è risuonata molto. Mi sono subito sentito molto vicino a quest’argomento: sono d’accordo che in una coppia ci sia un tipo di fedeltà che sostanzialmente è una fedeltà sessuale, perché poi con la mente tradiamo continuamente. Però credo che la prima fedeltà che dobbiamo sia quella a noi stessi, e questo messaggio della storia rimanda a un discorso che poi si espande a tanti altri campi, ad esempio all’adesione o meno a un gruppo. Io, quando andavo al liceo, nella mia cameretta avevo il vizio di scrivere frasi sul muro, e ho ritrovato una frase di Fernando Savater, un filosofo di cui ero appassionato al liceo, che diceva qualcosa del tipo: “È più importante tradire gli altri rimanendo fedeli a sé stessi”, a proposito dell’appartenenza o meno ai gruppi.
Quindi, anche quando si affronta una tematica sessuale/sentimentale, il discorso della fedeltà a sé stessi prima di tutto resta valido e si può espandere anche a tantissimi altri ambiti. Non è una questione di egoismo, anzi, perché se si è fedeli a sé stessi, si stabiliscono delle fondamenta, delle basi solide per poter essere autenticamente generosi e fedeli agli altri: se non si è fedeli a sé stessi, è come costruire un edificio senza fondamenta. Questo aspetto del romanzo e anche della serie mi ha dato tanti spunti interessanti a livello concettuale.
“Il primo tipo di fedeltà che ci dobbiamo è quella a noi stessi…”
E cos’hai portato a casa da questa serie?
Ha risuonato molto in me questo concetto dell’importanza primaria della fedeltà a sé stessi, che spesso viene tradotta in egoismo, ma non è così, perché noi siamo ciò che di più importante abbiamo, ognuno per noi stessi. Ho imparato che se uno riesce a conoscersi, amarsi, darsi valore e capire quello che vuole veramente, allora mette le basi per poter “espatriare” all’esterno, amare veramente qualcun altro, essere veramente generoso, desiderare veramente qualcun altro. Quindi, questo concetto di fedeltà a sé stessi come base fondante di qualunque possibilità di essere veramente autentico all’esterno, altrimenti si agisce per sensi di colpa o per dovere, dimenticandosi di sé stessi, e le nostre azioni sono meschine e sporcate da una mancanza degli autentici noi stessi nelle cose.
Come descriveresti “Fedeltà” in una sola parola?
Domanda pericolossissima… Una sola parola che non sia banale… Mi piacerebbe essere più essenziale come Andrea in questo caso, lui avrebbe la risposta. Io ti dirò “passionale”.
Prossimamente ti vedremo ancora sullo schermo nella fiction “Più forti del destino”, con Giulia Bevilacqua, Laura Chiatti, Sergio Rubini, adattamento della serie-evento francese “Le Bazar de la Charité”. Cosa ci puoi raccontare di questo progetto?
È una serie tratta in maniera piuttosto fedele dall’originale francese, e io interpreto un anarchico di fine Ottocento. La storia è quella del mio personaggio e di una nobile: è una storia d’amore tra classi sociali diverse, in cui io sono un anarchico rivoluzionario senza mezzi e lei invece no. Una cosa che mi è risuonata di quest’altro personaggio è che io ho un lato della famiglia che ha un forte legame con l’anarchismo: ho dei parenti che sono andati a combattere in Spagna nella Guerra Civile del ’36-’39. Mio padre mi ha sempre parlato di alcune figure anche abbastanza conosciute nell’anarchismo italiano del primo Novecento…
…e quando gli antenati ritornano nella nostra vita in forme diverse è sempre una coincidenza ma non lo è mai; questa cosa mi ha incuriosito molto.
Cinema, televisione e teatro. A quale dei tre mondi senti di appartenere di più e sotto quale tipo di riflettore ti senti più “a tuo agio”?
In realtà, nel teatro io ho lavorato sempre e solo in ambito accademico, quindi con finalità di studio. Una volta uscito dal Centro Sperimentale di Cinematografia, non ho mai fatto teatro, quindi quello è un mondo che conosco ma che non ho mai vissuto professionalmente, anche perché è un altro mondo, che conosco molto meno e in cui avrei difficoltà a capire come entrare. Per quanto riguarda cinema e televisione, credo sia la cognizione del pubblico che è differente, oltre ovviamente al fatto che c’è un’unità nel film che nella serie tv non c’è. Tuttavia, non ci vedo una grande differenza nel mio lavoro fra cinema e televisione, quindi mi sento a mio agio in entrambi i mondi; magari può cambiare qualcosa a seconda del prodotto e dell’emittente a livello di cura e di qualità, ma non sento una differenza tra fare cinema e televisione, piuttosto la differenza c’è tra buon cinema e cattivo cinema, buona televisione e cattiva televisione.
Com’è nata la tua passione per la recitazione? Hai sempre voluto fare l’attore, o c’è stato un evento, una persona, una giornata in particolare che te l’ha fatto realizzare?
Non è stato un amore a prima vista. Frequentavo dei laboratori amatoriali di teatro in maniera anche un po’ passiva, ed ero piuttosto introverso, quindi recitare non mi faceva rilassare. Poi, piano piano, dopo aver anche trovato il maestro giusto, ho iniziato a guardare quel mondo con occhi nuovi, e proprio lui mi ha fatto capire che poteva anche essere una prospettiva lavorativa. Quindi, ancora minorenne, su suo suggerimento, mi sono trovato un’agenzia a Roma e ho iniziato a fare i primi provini. È stato un processo lento, non è stato come per tanti altri miei colleghi che invece hanno avuto subito la vocazione per la recitazione.
“…ero piuttosto introverso, quindi recitare non mi faceva rilassare”.
L’ultimo film o serie tv che hai guardato che ti è piaciuto davvero tanto?
Uno dei miei film preferiti è “Le vite degli altri”, oppure gli ultimi film di Ken Loach che ho visto al cinema e mi sono piaciuti tantissimo, come “Sorry We Missed You”, meraviglioso. Per quanto riguarda le serie, invece, prima non le guardavo mai, ma da pochi anni sono diventato un grande fan delle sitcom di qualità americane: ho adorato “The Office”, che poi è una serie che, anche tra tutti i miei amici e colleghi, prima di due anni fa conoscevamo in pochissimi, quindi forse a distanza di tempo è arrivata col passaparola e, ovviamente, si è diffusa con i canali streaming.
Invece, a livello di serialità televisiva tout court, in questo periodo guardo poche serie, ma guardo poche cose in generale, preferisco leggere. Non so, io vado molto a fasi e in questo momento ha iniziato a non piacermi sedermi su un divano e dirmi: “Stasera guardo un film” o “Stasera guardo una serie”; mi sembra di non rendere giustizia a quello che vedo, e mi sembra che non aggiunga niente a me.
Se c’è qualcosa che voglio guardare, lo so dal pomeriggio, e se non c’è niente, continuo a leggere i miei romanzi e sono felice così.
Il primo dvd che hai comprato?
Non sono stato un grande acquirente di dvd, me li hanno sempre regalati. Forse il primo è stato “Scary Movie 3”, alle medie.
Il personaggio del cinema o della tv che vorresti come amico?
Phil Dunphy di “Modern Family”, lo adoro.
La collaborazione dei tuoi sogni?
Eh, grande domanda. Sono tante, non riesco a circoscrivere il campo ad una sola! [ride]
Se potessi passare una serata con un personaggio (fittizio o realmente esistito/esistente) del passato, del presente e del futuro, chi sceglieresti e perché?
Allora, che domanda interessante ma difficile! Io sono un grande appassionato di storia, sono laureato in storia, quindi sicuramente un personaggio del passato sarebbe una figura storica… Oppure uno dei due nonni che non ho mai conosciuto! Dunque, in definitiva, ti direi: dal passato, il nonno che non ho mai conosciuto, dal presente Art Keller della trilogia de “Il Potere del cane” di Don Winslow, e dal futuro, i nipoti che avrò.
“Una bugia tira l’altra” è un po’ un altro grande tema di “Fedeltà”: qual è l’ultima bugia che hai raccontato?
Dipende, consideriamo le omissioni bugie bianche o no?
Io direi di sì…
Okay, alla pari di bugie… Allora, un’omissione di un problema a persone care, per non farle preoccupare. Io credo che ci siano tante bugie a fin di bene; a lungo sono stato onesto fino all’esasperazione ma, e forse anche grazie a “Fedeltà”, credo che ci siano tante bugie a fin di bene che servono a non far preoccupare una persona cara quando quella persona non ha soluzione e quando non posso ottenere supporto da quella persona.
“Io credo che ci siano tante bugie a fin di bene…”
Quali storie sogni di raccontare?
Mi appassionano molto i grandi totalitarismi del Novecento, quindi mi piacerebbe raccontare una storia che coinvolga quel periodo.
Il tuo must-have sul set?
Le cuffiette, che mi isolano e mi danno quello spazio privato di cui ho bisogno.
Un epic fail sul set?
Eh, stiamo qua tanto tempo… [ride] Grazie a Dio, la fortuna del cinema e della televisione è che gli epic fail, a meno che non hai Satana in montaggio, non vengono montati quindi non si vedono; però, mi ricordo di questa serie che girammo in piena estate, ma noi dovevamo indossare costumi invernali; io avevo poche battute, ma era come se fossi un anziano col colpo di caldo: mi fermavo ogni volta alla terza parola per chiedere la battuta, che non mi entrava, avremo fatto tipo dieci ciack. Questa me la ricordo come una sensazione di impotenza, del tipo: “Non so che mi succede, non mi ricordo le battute, vorrei solo svenire in un letto”.
Di cosa hai paura?
Dell’ignoto. Però ne sono anche attratto. Credo che dietro le paure si nasconda il desiderio. Quindi, è l’ignoto che mi fa paura e mi attrae.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Introdurmi in un luogo molto bello, ma senza che fosse possibile [ride].
L’ultima cosa che hai scoperto di te stesso?
Che mi piace la libertà.
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa essere in contatto con quello che provo. Per me è la base di tutto, non mi interessa quello che provo, cerco di andare incontro a tutti i miei sentimenti, quindi per me essere a mio agio nella mia pelle significa stare con le mie emozioni e non nascondermi niente, essere onesto con me stesso.
Qual è la tua isola felice?
Un caminetto e un romanzo.
Photos by Johnny Carrano.
Grooming by Francesca Naldini.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Thanks to Others srl.
LOOK 1
Total Look: Impure
Trench coat: Dépêche-toi
Shoes: Dr. Martens
LOOK 2
Total Look: Impure
Trench coat: COS
Shoes: Dr. Martens