Rue, Lexi, Cassie, Maddy, Kat, Jules. Le abbiamo conosciute così, agli esordi della prima stagione, un gruppo solido di amiche, un battaglione di donne schierate contro il mondo, come una matassa di fili di colori e materiali diversi, accuratamente abbinati e intrecciati in un gomitolo che si credeva indistruttibile. Ma si sa, srotolando e disgregando, un ordine finisce per distruggersi, soprattutto se con quei fili e colori si vuole creare qualcosa di grande, di più grande di prima, per cui gli accostamenti originali diventano sopravvalutati. E allora arrivano Nate, suo padre Cal, Elliot, Fezco e Ali a interferire nelle loro vite e intervenire con contributi più o meno destabilizzanti. Alcune amicizie finiscono, altre rinascono, e nuove verità vengono a galla, tra promesse infrante, doppie esistenze, insicurezze sessuali e, schermata da un vetro spesso che in un modo o nell’altro la separa sempre dagli altri personaggi, una protagonista su tutte con una battaglia su tutte:
Rue Bennett versus la tossicodipendenza.
Con due episodi speciali a fare da ponte tra prima e seconda stagione, incentrati sul nodulo più duro della serie, la coppia Rue-Jules, approfondiamo i dilemmi delle due, entriamo in confidenza con le loro confessioni: con due spazi a loro completa disposizione, la tossica orfana di padre e la sua ragazza transgender si aprono come mai prima, regalandoci un accesso inedito a quel loro mondo un po’ fluo, favolesco, eppure così credibile.
“Tutto è successo perché me ne sono andata?”
La domanda esistenziale che Jules rivolge a Rue alla fine della prima “fase” e che lascia uno strascico che la seconda raccoglie e di cui si permea. E parlare di fasi rende bene il senso del percorso di “Euphoria”, il viaggio in cui il racconto ci ha portati fino ad oggi, con il gran finale della seconda stagione. Una seconda fase, dunque, che si apre in maniera cruda e travolgente, con ritrovamenti, nuovi incontri, cuori rotti e nasi infranti, anticipando quello che sarà lo spirito dell’intera stagione: alti e bassi di umori, amori, e dolori, con alcuni nuovi e rinnovati protagonisti.
I nuovi filoni si alternano tra: il passato di Cal Jacobs – capiamo perché è diventato l’uomo e il padre che è; i traumi legati alla figura paterna – la morte del padre di Rue, l’abbandono del padre di Cassie e Lexi, la fuga del padre di Maddy, la vera natura del padre di Nate; il disamore tra Kat e Ethan – la brama di lei di essere amata e felice che trionfa sulla sincerità del sentimento; l’incontro pericoloso tra Elliot e Rue – e poi quello (altrettanto pericoloso) tra Elliot e Jules; il lato più oscuro e malato di Nate – eppure è difficile disprezzarlo davvero fino in fondo; Fezco e le sue origini – il piccolo-grande fratello adottivo Ashtray e le conseguenze dell’irruzione di Faye nella loro casa e vita; la vera storia di Lexi – si intravede la fine di una vita vissuta all’ombra della sorella e delle amiche più spavalde, più libertine, più sviluppate; la vera tragedia di Cassie – la grande rivelazione di questa seconda fase.
Ed è proprio su Cassie che varrebbe la pena spendere qualche parola in più.
La sua non è la solita storia di amicizia tradita per colpa di un ragazzo, di impotenza di fronte all’innamoramento; la sua è una storia di desiderio, di bisogno di piacere ad ogni costo. Cassie pende dalle labbra di Maddy, per lei e per somigliare a lei è diventata chi è e fa quello che fa, la sua, per l’amica, è un’ammirazione al limite del morboso e la sola idea di perderla la fa disperare. E tra disperazione ed esaurimento il confine è davvero labile, ma è quando i due sentimenti si incrociano e si fondono che le possibilità di lieto fine si azzerano. Nella seconda stagione, Cassie diventa la fusione di quegli stati d’animo, più o meno dall’esatto momento in cui realizza che la devozione per Maddy non è più il punto fermo della sua esistenza, perché c’è qualcos’altro – qualcun altro – a cui si scopre disposta a dare tutta sé stessa, per la cui approvazione rinuncia alla propria salute mentale e fisica, per il cui amore rinuncerebbe alla propria stessa vita.
La storia con Nate è travolgente, nasce innocua ma sin da subito rivela quella che presto sfocia in una natura malata e logorante, come preannunciano le prime scene della stagione, quelle dell’infinita agonia di Cassie che nasconde il suo corpo e il suo peccato in una lurida e sconosciuta vasca da bagno. Di Sidney Sweeney basta il volto – arrossato dalla vergogna, solcato da lacrime indelebili, così puro e regale che a volte ricorda quasi un santino – per farci riconoscere il livello di disperazione in cui si trova Cassie, la gravità dei pensieri che le frullano in testa, la fantasia delle idee che sta elaborando.
E non è l’unica interprete a sfoggiare un talento fuori dal comune, in questa stagione più stimolato che mai. Il cast è uno spettacolo, letteralmente: si esibisce sullo schermo come fosse parte di un’installazione d’arte. Uno più brillante dell’altro, con una bravura più grande dell’altra, gli attori fanno a gara a chi fa più paura, a chi fa più riflettere, a chi fa più piangere, a chi ci fa più amare la vita.
Zendaya e la disperata lotta contro la crisi di astinenza e verso la disintossicazione di Rue; Storm Reid e Nina King e la convivenza di Gia e Leslie Bennett con la tossicodipendenza della sorella/figlia; Dominic Fike e le colpe di Elliott quando si scopre origine di una ricaduta e terzo incomodo di una coppia già instabile; Jacob Elordi e le violenze fisiche e psicologiche di Nate, quelle subite e quelle esercitate con le più ambigue delle intenzioni; Hunter Schafer e una Jules molto meno sperimentale, molto più ancorata alla realtà e alle persone; Maude Apatow e la sua Lexi più forte che mai, la più saggia di tutti, la più autentica di tutti, l’unico personaggio con il coraggio della verità; Barbie Ferreira e la lotta di Kat contro la positività tossica che va sponsorizzata in nome di una più pacifica convivenza con noi stessi; Angus Cloud e il suo Fezco che strascica le parole tanto quanto i sentimenti, faticando a tirarli fuori ma con risvolti sorprendenti; Alexa Demie e una Maddy ferita nell’orgoglio per la prima volta nella vita, e questa volta maniacalmente vendicativa.
I personaggi sono vividi e vivi, ci abitano in testa al ritmo di Labrinth e della sua musica al confine tra sacro e profano, si muovono sullo schermo con un’impostazione teatrale fatta anche di citazionismo, con riferimenti a cult come “Hunger Games”, “Carrie – Lo sguardo di Satana”, “Lolita”, “Romeo + Giulietta”, “Magnolia”, “Seven”, fino agli easter egg artistici di cui è costellata la seconda stagione (e il quarto episodio in maniera particolarmente esplicita con il suo “love montage”, come l’ha soprannominato il DOP Marcel Revv): “La nascita di Venere”, la foto di John Lennon e Yoko Ono di Annie Leibovitz, l’autoritratto di Frida Kahlo…
Fino al punto di massima espressione, il settimo e penultimo episodio, immenso sotto tanti punti di vista, così ricco e complesso, eppure così chiaro.
Il 2×07, “The Theater and Its Double”, è un’opera d’arte e tutto della puntata lo dichiara apertamente: davanti allo specchio Nate cita Magritte (“La riproduzione vietata”, il dipinto il cui titolo in inglese nomina l’episodio) guardando il proprio riflesso che gli dà le spalle, e Cassie si tortura il volto per ricavarci un sorriso di necessità, evocando il Joker di Joaquin Phoenix nella lotta contro i suoi demoni; sul palco di “Our Life”, Ethan balla e canta esibendosi in audaci coreografie da Tony Award, e Lexi realizza il suo sogno, un sogno di esibizione, vendetta, vittoria, ma soprattutto di emigrazione al di fuori della propria testa dopo anni di prigionia e mutismo.
E così, risuona potente l’arrivo del finale di stagione, un episodio che alza l’asticella al punto da farci domandare come la terza serie potrà mai essere all’altezza della seconda. La prima di una lunga lista di domande a cui solo il tempo che la puntata ci decanti dentro riuscirà forse a trovare una risposta. Dall’esordio con il quadro Fezco-Lexi, e il loro toccante confronto, calmo e spensierato in maniera invidiabile, su temi enormi (cos’è davvero importante che chi si ama abbia in comune?), allo srotolamento definitivo della matassa, con la vita vera e “Our Life” che si fondono in una rappresentazione unica che, per un inquietante momento, minaccia di assumere le sembianze di un circo. E così, il cuore batte all’impazzata al ritmo dei colpi di fucile, al suono dei tacchi di Cassie su un suolo pericoloso, alla voce sommessa della liberazione di Nate; e così, gli occhi si riempiono di lacrime come quelli di Rue alla ballata “I think you might be my only friend / I gave it all to see you shine again” (credo che tu possa essere la mia unica amica / ho dato tutto per vederti brillare di nuovo), la confessione di Elliot su corde languide e sincere strimpellate nella penombra finalmente calda della sua camera.
Una storia raccontata con una potenza inedita, con il coraggio di rappresentare le cose come stanno, in una totale assenza di filtri nel mostrarci la vita vera, immortalata con una fotografia meno realistica e più onirica, perché cos’è in fondo la vita se non un tentativo di riprodurre o schivare i nostri sogni più intensi?
Firmato Sam Levinson. Una firma che oggi leggiamo per un’ultima puntata, che leggeremo per una terza stagione, e che sarebbe bello leggere più spesso.
Credits pictures: HBO & Euphoria.
Backstage pictures by Eddy Chen.