Quando fai un’intervista con alcuni lunghi momenti di silenzio non bisogna avere paura. Quando fai un’intervista con alcuni lunghi momenti di silenzio e davanti a te hai una persona come Giuseppe De Domenico, sai che ogni risposta è sincera, pensata, mai banale, sai che ad ogni risposta è stato dedicato del tempo per pensarci e renderle giustizia.
Quando fai un’intervista con tante risate non vuole dire che non sia seria. Quando fai un’intervista con tante risate e davanti a te hai una persona come Giuseppe De Domenico, sai che ogni risata è spontanea, che “ci sta”, che si può essere seri anche con momenti di leggerezza.
Razionalità ed Emotività, il fil rouge di questa intervista e del nuovo personaggio, Rocco, interpretato da Giuseppe in “Bang Bang Baby” prima seria Original italiana targata Prime Video (disponibile su Prime Video con i primi 5 episodi dal 28 aprile e dal 19 maggio con gli ultimi 5). Per Giuseppe, una serie spartiacque nel panorama italiano che tra un mix di generi perfettamente bilanciati racconta la storia di Alice che per amore del padre si tuffa nel pericoloso mondo della malavita.
E forse un personaggio spartiacque anche per Giuseppe che per interpretare Rocco ha rivoluzionato il suo modo di approcciarsi a un ruolo, accettando la sfida e facendosi guidare dalla storia abbandonando struttura e studi metodici.
Un anno e mezzo fa ti abbiamo chiesto “Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?”, oggi ti chiediamo cosa non vorresti mai dimenticare del cinema? E c’è qualcosa legato al mondo del piccolo o grande schermo che avevi scordato e che hai ritrovato?
Wow… Di sicuro, quello che non voglio mai perdere è la voglia di sperimentare e di mettermi in discussione. Guai a me se dovesse arrivare un momento in cui il mio atteggiamento diventasse esclusivamente quello di eseguire e non ci fosse tempo per una ricerca o uno stimolo a cercare di fare qualcosa di nuovo. Questo è anche uno dei grandi motivi che mi ha spinto a fare “Bang Bang Baby”. A proposito di cosa ho ritrovato nel mondo del cinema che avevo scordato: ho ritrovato amici che già conoscevo, e ne ho conosciuti di nuovi. Ho ritrovato la voglia di voler fare qualcosa di bello. Ho scoperto un me diverso e mi sono sentito privilegiato. E di questo non smetterò mai di essere grato.
“Guai a me se dovesse arrivare un momento in cui il mio atteggiamento diventasse esclusivamente quello di eseguire…”
Come affronti le delusioni e le sfide legate a questo mondo?
Qua si apre un capitolo immenso… Delusioni e sfide vanno di pari passo, a volte, e quello è il momento più tosto in assoluto. La sfida più grande che il sistema ti possa lanciare è quella di gestire tutte le delusioni che inevitabilmente ti arrivano, dato che facciamo un mestiere in cui la maggior parte delle risposte che ricevi sono dei “no”, per te, per la tua proposta, per la tua collaborazione professionale. In quei casi, ciò che provo a fare io è cercare di dimenticarmi del resto del mondo, dimenticarmi dell’industria, dimenticarmi di tutti gli altri miei colleghi e di tutto quello che fanno gli altri, e cerco di rimanere il più possibile concentrato su di me e su quello che mi fa star bene sul brevissimo termine. Perché ovviamente sei sempre spinto dall’ambizione, dal voler esplodere, dal voler dimostrare qualcosa, e vieni lanciato ad una velocità ipersonica verso il futuro, che è di per sé incerto nella nostra epoca, e in un mestiere che di sicuro non ha una sola strada da percorre, ma infinite possibilità.
Quindi la più grande sfida è rimanere centrati su di sé, che per altro è la chiave per poter fare veramente l’interprete.
C’è mai stato un momento in cui avresti voluto mandare tutti a quel paese e dire “basta”, un momento di sconforto che poi, magari, invece, ti è servito da spinta per ributtarti a capofitto?
Sai, è ciclico.
È successo recentemente, proprio all’inizio dell’anno, quando l’unica prospettiva che in quel momento mi si stava palesando era l’uscita di “Bang Bang Baby”, ma per il resto, tanti altri progetti che mi avevano fatto sperare, mi hanno lasciato nel nulla. A volte mi capita anche di pensare: “Vado di nuovo all’università”, oppure “Mi metto a studiare a capofitto la tecnologia blockchain”; saltuariamente, passo di alternativa in alternativa, ma la sorpresa è sempre che quando sento che sto facendo un passo in una direzione che mi allontanerebbe da questo percorso, arriva una chiamata, arriva un provino, arriva un incontro. Magari c’è un momento in cui mi dico, “Sto impazzendo, voglio tornare per un po’ in Sicilia” e prendo il biglietto del treno; il giorno dopo, mi chiamano e mi dicono: “Sai, domani vorrebbe vederti Tizio”, “Domani avresti un provino in presenza”, e quindi tu impacchetti la tua vita e devi ritornare.
“…e quindi tu impacchetti la tua vita e devi ritornare”.
Sei tra i protagonisti di “Bang bang baby” la prima scripted series italiana di Prime Video, creata da Andrea Di Stefano, ambientata nel mondo della mafia calabrese. La storia è ispirata a eventi realmente accaduti: la protagonista è Alice, un’adolescente timida e insicura che, per conquistare l’amore di suo padre, diventa il membro più giovane della mafia. Facendo un salto indietro nel tempo al momento in cui hai ottenuto la tua parte e ricevuto la sceneggiatura, qual è stato il primo pensiero e la prima domanda che hai rivolto ai registi e a te stesso?
Bella domanda. Il primissimo pensiero che ho avuto è stato che mi spaventava l’ambizione di quella sceneggiatura.
Anche il regista stesso, Michele Alhaique, in conferenza stampa, ha proprio detto di come questi copioni che ci sono arrivati, proprio perché avevano l’ambizione di unire diversi generi, a prima lettura ti facevano pensare: “Ma cosa vogliamo fare?”. Questa è la prima reazione, che però ti lasciava intendere che dietro c’era un’idea e un progetto preciso, quindi capivi perfettamente che avevi tra le mani un qualcosa che non era ordinario. Mi colpì subito il fatto che il mio personaggio fosse totalmente svincolato da qualsiasi tipo di responsabilità. Io vengo da “Zero Zero Zero” in cui raccontiamo una grande tragedia, e io ho una grande responsabilità, con un retro-pensiero sempre attivo; invece, questo personaggio mi dava la possibilità, e l’ho percepito subito, di essere privo di controllo, molto più leggero, molto più diretto, quindi la possibilità di costruire un essere umano totalmente diverso.
Per un attore, all’inizio della propria carriera come me, poter dimostrare fin dove si può spingere, qual è il range di possibilità da esprimere, è stata un’occasione d’oro.
Quanto c’è di te nel tuo personaggio, Rocco, e come l’hai costruito?
L’ho costruito cercando di fare un lavoro completamente diverso di preparazione rispetto a Stefano di “Zero Zero Zero”. Paradossalmente, in “Zero Zero Zero” io ho fatto tantissimo lavoro di studio, analisi, sovrastrutture, obiettivi, quindi un grande lavoro di preparazione e di costruzione del personaggio, e cercavo di mantenere tutte quelle informazioni costantemente con me, sul set. Qua, invece, mi sono voluto fare un’idea generale di chi potesse essere il personaggio e mi sono lasciato la possibilità di vivere sul momento, sul set, giorno dopo giorno. Per me è stata una sfida immensa, e ringrazio tantissimo i registi con cui ho lavorato, in primis Michele con cui ho proprio discusso di questa cosa, gli ho detto: “Io ho bisogno di fidarmi di te, tu guidami perché il lavoro che voglio fare è quello di essere presente a me stesso qui, adesso, giorno dopo giorno”. Proprio perché era un personaggio leggero, schietto e diretto, temevo che se ci avessi messo troppa sovrastruttura di analisi e studio, avrei soffocato quelle qualità che pensavo potessero essere più pertinenti.
“…mi sono lasciato la possibilità di vivere sul momento, sul set, giorno dopo giorno”.
“Per me è stata una sfida immensa…”
Hai anche lasciato spazio all’improvvisazione?
Qualcosina l’ho lasciata, però in realtà mi sono sempre abbastanza attenuto al copione.
La storia è ambientata nella Milano degli anni ’80, in pieno boom economico. I riferimenti pop, i colori, sembrano essere anch’essi dei personaggi; ti sei preparato in modo particolare per ambientarti in questa specifica epoca storica? Ti sei lasciato ispirare da qualcosa?
Ti dico la verità, la mia risposta è no, perché a volte mi piace affidare ad altri la responsabilità di creare tutto quanto il mondo, perché poi alla fine, anche grazie alle esperienze che ho fatto, mi sto rendendo sempre più conto di come la figura dell’attore su un set richieda una specifica competenza, che è quella di riempire un involucro, e ciò che io vado a inserire è il contenuto e quello che vado a creare è anche per me.
Quindi la verità non è il mio punto di vista, ma il contenuto che creo è qualcosa di prettamente legato a dinamiche comportamentali di un essere umano. Dunque, non ci ho pensato, nella fase di preparazione di questa prima stagione, ma ora che me l’hai detto, probabilmente mi metterò a studiare tutta la cultura pop italiana anni ’80.
Lì per lì ho preferito rimanere nella semplicità, che per me era una sfida, perché io sono stato ossessionato dall’idea di voler dimostrare di essere capace di creare un personaggio che potesse essere meno intelligente, più schietto, più diretto, più semplice e leggero e, in questa ossessione e desiderio, ho dovuto fare delle scelte importanti a livello di idee. Anche se mi veniva voglia di studiare qualcosa, mi impedivo di farlo, perché avevo sempre la paura di replicare qualcosa che avevo già fatto, quindi per avere un risultato diverso, dovevo anche avere un approccio diverso.
“Anche se mi veniva voglia di studiare qualcosa, mi impedivo di farlo, perché avevo sempre la paura di replicare qualcosa che avevo già fatto…”
Senza fare spoiler, Rocco ad un certo punto si trova di fronte a una scelta, diciamo regole vs cuore. Immagina di andare a bere una birra con lui: cosa avresti detto tu a Rocco in quel momento? Lo reputi più razionale o istintivo? E tu sei più razionale o istintivo?
Questa è stupenda, me la ricorderò sempre! [ride]
Non ci avevo mai pensato a una birra con Rocco, ma okay, ci provo. Io sono assolutamente una persona iper razionale e Rocco è un personaggio iper istintivo. Infatti, Stefano La Piana [di “Zero Zero Zero”] incarnava quello che Giuseppe istintivamente farebbe, cioè essere iper razionale, mentale, pensante, e la sfida è quella di essere qualcuno di distante da sé, come lo è Rocco per me. Probabilmente, seduti al bar, Rocco avrebbe guardato tutte le donne che passavano, ci avrebbe provato con tutte, cosa che invece io non farei, perché io me ne sto sulle mie, sono molto timido, mentre Rocco è molto spavaldo; lui si sarebbe scolato quattro birre e sarebbe stato tranquillissimo, mentre io dopo uno spritz sarei stato già in fase di astenia, sicuramente [ride]. Rocco sarebbe stato schivo sui sentimenti, quindi forse io avrei potuto aiutarlo in qualche modo a provare a fare meno il duro e ad aprirsi più a dei sentimenti docili.
“Bang Bang Baby” è l’ultimo di tanti progetti sulla criminalità organizzata. In che modo nuovo porta questa realtà davanti agli occhi del pubblico? Forse la chiave familiare?
Dal mio punto di vista, la novità sta nel renderla grottesca: nel grottesco, ti puoi permettere di parlare di argomenti seri alleggerendoli e giocandoci su con una sorta di black humor, camminando su un filo di ironia. Secondo me, il grottesco dà al pubblico anche la possibilità di percepire l’assurdità in maniera molto più chiara, perché noi facciamo una manovra di grande serietà ed impegno, andiamo a replicare quello che abbiamo già visto tante volte: dramma, tragedia, e quindi quasi non pensi più a quell’argomento come ad un problema reale, quasi non pensi più che esistono davvero quelle dinamiche, ma lo vedi come la solita cosa pesante e drammatica che va a toccare un tema trito e ritrito. Ma se tu lo vai a raccontare con una chiave di lettura diversa, quasi dissacrante, che magari potrebbe dare fastidio, allora forse ti fermi di più a riflettere su quelle che sono delle dinamiche che realmente esistono.
“…il grottesco dà al pubblico anche la possibilità di percepire l’assurdità in maniera molto più chiara…”
A proposito di questo, del fatto che ci sono dei generi che si mischiano, tra tematiche gravose e comicità, quali discussioni e confronti ci sono stati sul set, tra gli attori, tra tutti i membri della troupe? Che atmosfera si respirava mentre giravate, sapendo di avere in mano una sceneggiatura “particolare”?
Sul set si respirava un clima di grande attenzione, non si lasciava nulla al caso, e in questo sono stati bravissimi tutti i reparti esecutivi e di regia, perché ovviamente loro avevano la grande responsabilità di tenere le redini di un qualcosa che in un attimo poteva andarsene completamente fuori strada e disperdersi, perché ovviamente quando tu vai a raccontare dei personaggi che passano da un genere all’altro, sono grotteschi, ironici, però devono essere credibili nei vari contesti, quando si racconta un dramma, quando si raccontano sentimenti d’amore, quando si fanno quegli sketch che ti devono far ridere.
Al tempo stesso, però, non possono diventare altri personaggi, devono essere sempre loro stessi ma con diverse chiavi di lettura. A volte, le conversazioni erano sempre incentrate sul ricordarsi a che punto della storia si era in quella precisa giornata, e rendersi conto che magari in quel momento servivano dei tempi un po’ più lunghi, per cui bisognava sterzare un attimo e passare da un genere all’altro, con un ritmo diverso di battute. Nella serie, sembra tutto molto organico, ma se ti fermi un attimo a pensare, step by step, a tutte le cose che vedi, passi davvero da un genere all’altro, ciascuno molto credibile.
Come definiresti “Bang Bang Baby” in una parola sola?
Spartiacque. Ho la percezione che potrebbero esserci le condizioni affinché ci sia un prima e un dopo “Bang Bang Baby”, se pensiamo a quello che siamo abituati a vedere nel nostro panorama televisivo nazionale. La serie può dividere le opinioni e creare discussioni, perché una cosa che mette d’accordo tutti sono magari quei colossal eterni. Ovvio che tutti abbiano l’ambizione di fare cose immortali, però già far discutere mi sembra un bel successo.
Citando uno dei tuoi ultimi post di Instagram, un corteo al quale ti sarebbe piaciuto partecipare?
[Ride] Io mi farei tutti i cortei per il cambiamento climatico in tutte le parti del Paese, ci parteciperei costantemente.
“Spartiacque.
Ho la percezione che potrebbero esserci le condizioni affinché ci sia un prima e un dopo “Bang Bang Baby”…”
Una decade nella quale ti sarebbe piaciuto vivere?
Da quando sono piccolo, c’è sempre una data che mi affascina, il 1968, che ha segnato un cambiamento. Mi chiedo: cosa si respirava in quel mondo lì? Quindi il periodo a cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Chissà se allora la gente era cosciente di quello che stava succedendo. E, se ci pensi, chissà se oggi noi siamo coscienti di quello che sta succedendo. Sì e no.
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
Mi piace lasciarmi influenzare da tutto ciò che riguarda l’astronomia. Infatti spesso mi capita di condividere sulla mia pagina Instagram contenuti a riguardo. Ci sono grandezze, spazi, proporzioni così impensabili ma così reali che influenzano e ridimensionano certe dinamiche quotidiane. Mi piace lasciarmi ispirare da questo senso di appartenenza.
Un personaggio realmente esistito che ti piacerebbe interpretare?
Antonello da Messina. È stato uno dei pittori più famosi della sua epoca, esposto nei musei più importanti al mondo, ed era un mio concittadino.
“Ci sono grandezze, spazi, proporzioni così impensabili ma così reali che influenzano e ridimensionano certe dinamiche quotidiane.”
Che cosa ti distrae?
La vita degli altri.
Cosa significa per te “sentirsi a proprio agio nella propria pelle”?
Suona ironico, ma è la verità: in un’epoca social come la nostra, mi sento sempre condizionato a pensare che gli altri stanno meglio di quanto sto io, perché ovviamente ognuno sceglie di mostrare la parte migliore e più accattivante di sé, in quanto decidiamo noi cosa pubblicare, non è il “signor Instagram” che passa a caso e ti filma mentre stai brindando a bordo piscina in una posa perfetta. Io sto bene quando riesco a disintossicarmi da questa frenesia del dover mostrare che siamo felici, che siamo arrivati dove volevamo, che siamo perfetti; io sto bene quando accetto tutti i miei limiti e so che la mia vita è questa e devo andare avanti a prescindere dai risultati, perché tanto non me li porterò con me nella tomba quando morirò.
La mia vita aspira ad essere diversa dal materialismo e dal consumismo, per questo mi ritengo fortunato a fare un mestiere che ha a che fare con un’introspezione e un’espressione artistica, quindi sto bene con me stesso quando mi ricordo che la mia vita non è materialismo e consumismo e mi concedo la possibilità di essere quello che sono in un cammino sul lunghissimo termine.
“…sto bene con me stesso quando mi ricordo che la mia vita non è materialismo e consumismo…”
Nell’interpretare Rocco, hai scoperto o riscoperto qualcosa di nuovo su te stesso?
Sì, che posso essere una persona più leggera, più schietta, che posso concedermi la possibilità di divertirmi e divertire, senza fare necessariamente troppo l’intellettuale.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Lanciarmi dentro una gabbia piena di maiali a occhi chiusi. Episodio 7 di “Zero Zero Zero”.
Qual è l’ultima cosa/persona che ti ha fatto sorridere, oggi?
Tu! [ride]
Che importanza dai ai sogni o agli incubi?
Li ritengo quasi profetici. Il mondo dei sogni mi ha sempre affascinato, mi sono sempre ripromesso di avere un quadernetto accanto al letto per raccontare ogni mattina qualcosa; purtroppo, non sono ancora arrivato a questo genere di quotidianità, però questo è un periodo in cui non sogno con costanza, ma a volte ho un sogno vivido e imponente, in cui puntualmente cambiano degli assetti ma è ricorrente, di cui il significato mi è ancora ignoto. Quindi, do tanto peso ai sogni, perché sono una parte di me che credo sia anche una parte di inconscio che si manifesta con simboli, situazioni, circostanze e persone, e quindi è una parte profonda di te che decide di rendere per immagini un qualcosa che tu nella vita di tutti i giorni non riesci a verbalizzare. È davvero un mondo molto affascinante.
“…è una parte profonda di te che decide di rendere per immagini un qualcosa che tu nella vita di tutti i giorni non riesci a verbalizzare.”
La tua isola felice?
Stromboli.
Perché lì ho vissuto tra i momenti più belli, distesi, profondi della mia vita. In quell’isola sento di cambiare. Lì ho fatto diversi seminari di studio, recitazione, di voce, e diversi esperti mi hanno raccontato di come l’elettromagnetismo di un’isola vulcanica attiva come quella di Stromboli interviene in maniera prepotente sul funzionamento del tuo cervello che a sua volta è capace di essere influenzato da onde elettromagnetiche, quindi è un posto incredibilmente bello non solo dal punto di vista paesaggistico. È un’isola felicissima e per me rappresenta un luogo in cui, quando ci torno, riesco a distaccarmi totalmente dalle problematiche del mondo occidentale continentale.
Photos&Video by Johnny Carrano.
Grooming by Francesca Naldini.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Styling Assistant Bianca Giampieri.
Thanks to Others srl.
Thanks to Prime Video Italia.
Location Manager Luisa Berio
Location Circolo Vittorio
LOOK 1
Suit: Grifoni
T-shirt: Uniqlo
Shoes: Scarosso
LOOK 2
Shirt: Scarosso
Jeans: Calvin Klein
Shoes: Scarosso
LOOK 3
Shirt: Calvin Klein
Jeans: Calvin Klein