Volare con i piedi per terra non è un gioco da ragazzi: è un’operazione che richiede testa, cuore e una giusta dose di maturità. Ma anche la capacità di sapersi divertire, e adattare alle situazioni e alle persone. Andrea Lattanzi ha la testa (sulle spalle), il cuore (grande così) e la maturità necessaria per vivere la libertà nel modo giusto.
Dagli esordi nel cinema d’autore, alla serie “Summertime” (la cui terza e ultima stagione è uscita il 4 maggio), passando per le sfide del film “La Svolta”, entrambi attualmente disponibili su Netflix, Andrea ha attraversato un percorso di crescita professionale e spirituale, di pari passo con i suoi personaggi.
Se con il suo primo film, “Manuel”, ha confermato e solidificato la passione per il mondo del cinema e il mestiere della recitazione, con “Summertime” ha conosciuto il potere della sintonia e la bellezza di un lavoro che ti diverte tanto da non sembrare tale, in “La Svolta” ha imparato a mettersi alla prova, a credere in sé stesso e nelle sue capacità.
Con un percorso ben preciso in mente, rivelando una forza d’animo che deriva dall’aver sempre creduto nei propri sogni, Andrea ci ha parlato delle proprie esperienze, dei propri miti e del gesto più importante che tutti possiamo fare per noi stessi e per gli altri: riconoscerci e ringraziarci.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
“Manuel”, il mio primo film, che mi porterò sempre dentro, in eterno penso. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, selezione “Cinema nel giardino”, ed è andato alla stragrande, perché dopo è stato distribuito in tutto il mondo, abbiamo vinto tanti premi, è stata una grande soddisfazione; sono stato premiato anche in Francia dalla stessa Catherine Deneuve! È il film che mi ha cambiato la vita. In pochi lo conoscono e pochi lo sanno, ma mi è andata veramente molto bene.
Sei tra i protagonisti fin dall’inizio della serie tv “Summertime”, di Francesco Lagi e Lorenzo Sportiello, con la terza stagione ora disponibile su Netflix. Com’è stata la tua esperienza sul set in questi anni, qual è stato il cambiamento più significativo e cosa invece non è mai cambiato?
Il primo anno era una fase di rodaggio, perché non ci conoscevamo tutti benissimo, anche se devo dire che, in realtà, sin da subito è nata una grande sintonia, ci siamo tutti ritrovati e divertiti tanto. Poi, giravamo sempre al mare, quindi c’era una situazione di sole e bellezza in generale, buon umore, e ce la siamo goduta ancora di più. Andando avanti, con gli anni, abbiamo maturato la consapevolezza che stavamo crescendo, così come la serie, così come i personaggi, fino ad arrivare a quest’ultima stagione. Io, personalmente, ho passato tre anni della mia vita su quel set, quindi, in parte, sono cresciuto lì a Marina di Ravenna. L’ultimo anno è stato una bella botta: sapendo che era la stagione finale, ho sentito un pugno allo stomaco, è stato un bel dispiacere.
Sono cresciuto tantissimo sia a livello professionale che spirituale, questa serie mi ha cambiato molto, e credo e spero che sia stato così anche per gli altri, è stata una grande esperienza che mi porterò sempre dentro.
Il tuo personaggio, Dario, subisce uno sviluppo notevole tra la prima e la seconda stagione, maturando e, nolente o volente, cambiando. Come l’hai costruito pezzo per pezzo, episodio dopo episodio?
Guarda, tutto dipende dalla fase di scrittura e da quello che fanno gli sceneggiatori; quindi, ovviamente ti devi anche adeguare a quello che c’è scritto e cercare di renderlo il più credibile possibile. È quello che in qualche maniera ho cercato di fare io, ovvero portare una persona che all’inizio era timida e spaesata, verso la crescita. Io, ovviamente, ho avuto la fortuna di averle vissute prima certe cose, essendo un po’ più grandicello rispetto a Dario, quindi sapevo come colorarlo. Ho fatto questo cercando di dimostrare una maturità maggiore nella seconda stagione, fino a completarla del tutto nella terza, quando mi sono detto: “Okay, perfetto, adesso Dario è cresciuto, è finita l’adolescenza”. Ho cercato di metterci anche un po’ più di serietà: lui resta sempre uno energico, ogni tanto un po’ sbadato, è questo il suo carattere, e l’ho costruito così con l’aiuto dei registi.
“…portare una persona che all’inizio era timida e spaesata, verso la crescita”.
A proposito, quanto c’è di te in Dario? Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso, negli anni di “convivenza” con lui?
Ti dico la verità, Dario forse da alcuni lati mi rispecchia. Per esempio, da bambino ero molto timido come lui, anche se adesso non è più così, e mi piace molto la sua determinazione, quella me la porto dentro anche io sempre e da sempre. Mi accomuna a Dario la voglia di fare, di mettersi in gioco, di creare, anche se tutto intorno va male. Per il resto, però, non ci sono tantissime cose di me in lui e viceversa, Dario è molto lontano da me così come sono ora.
Sono cresciuto in questo viaggio, insieme al personaggio e con la serie in generale. Comunque, io cerco sempre di scindere le due cose, nel senso che cerco di mettere a disposizione e a servizio me stesso per creare il personaggio ed entrarci a poco a poco, quindi dal personaggio io mi ci distacco subito. Magari, ovviamente, riguardandomi in scena, mi dico, “Carina questa cosa che ho fatto”, però alla fine dietro mi porto un bel ricordo, sicuramente, ma non mi trascino dietro pezzetti dei personaggi che faccio, anzi, credo che quello sarebbe anche un po’ pericoloso.
È logico che un 5% di te ce lo metti sempre nei personaggi che interpreti, ma il restante 95% è creare, inventare.
Sai, a me faceva impazzire Jack Sparrow, de “I Pirati dei Caraibi”, infatti all’inizio della preparazione di Dario, ho pensato di rappresentarlo un po’ così, con quei modi un po’ sbadati, non so perché ma ho pensato a lui [ride].
Il rapporto tra Dario e Rita (Lucrezia Guidone), la giovane madre single, è stato tra i plot twist più inaspettati della seconda stagione: cosa dovremmo aspettarci dalla terza?
Sicuramente tantissime cose! Ci sono molte storie che si intrecciano, e il rapporto tra Dario e Rita si sviluppa in una direzione più matura, soprattutto per quanto riguarda Dario: i due dovranno affrontare delle situazioni più complicate, che poi è quello che succede nella vita quotidiana, e alla fine prendere una decisione, con una svolta finale.
La scena più divertente e quella più complicata che hai girato in questa terza stagione?
Io mi diverto sempre, in realtà [ride]. La più divertente di questa stagione forse è quella della settima puntata, quando sono ubriaco, mi sono divertito tantissimo a girare quella scena! Come per tutte le scene in discoteca… Tra l’altro, la persona con cui litigo in uno di quei momenti, è un membro della troupe, si chiama Biagio: gli voglio un bene dell’anima e non mi aspettavo che quella parte l’avrebbe fatta lui, perché infatti è stata una cosa improvvisata, quindi mi sono divertito tantissimo.
Le scene più difficili sono state quelle in cui dovevo trovare la giusta dose di emotività, senza andare troppo oltre, in particolare le scene con Lucrezia Guidone. Sono state scene delicate da girare, più che difficili, in cui bisognava avere un certo tipo di tatto.
Come descriveresti “Summertime 3” con una sola parola?
Matura.
Dario è un personaggio fragile, sensibile, che ce ne ha messo di tempo per acquisire la meritata fiducia in sé stesso, ma ne ha ancora di strada da fare: tu, Andrea, cosa avresti da consigliargli se ci passassi una serata insieme?
Sicuramente gli direi di vivere la sua vita, andare per la sua strada, fare le sue scelte, non fermarsi davanti a niente e nessuno. Perché alla fine la vita è una e va vissuta al meglio. Mettersi ostacoli davanti significa contrapporsi a ciò che poi non ti fa raggiungere quello che veramente vuoi, quindi direi a Dario di continuare per la sua strada, perché ha tanta grinta e voglia di fare, e si è visto da quello che ha creato. Quindi, gli consiglierei di continuare così.
Riguardo a “La Svolta” invece, ti ricordi il primo pensiero quando hai letto la sceneggiatura e la prima domanda che hai rivolto al regista Riccardo Antanaroli?
La prima sensazione quando ho letto la sceneggiatura è stata un pugno nello stomaco: l’ho finita di leggere e mi è arrivato un bel pugno [ride]. Quando incontrai Francesco Cimpanelli, uno dei produttori della Rodeo Drive e Life Cinema, lui mi diede la sceneggiatura e mi disse: “Scegli chi vuoi essere”. Quindi, potevo scegliere fra Jack e Ludovico. Lui, ovviamente, aveva le sue preferenze, cioè voleva che io interpretassi Jack, mentre a me era un po’ vacillata nella testa l’idea di scegliere Ludovico, perché pensavo fosse troppo scontato che mi mettessi a fare il cattivo. Però, da una parte mi dissi anche che ne avevo già fatti di personaggi buoni e che quindi sarebbe stato bello mettermi in gioco in una veste nuova. Quindi poi, una volta letta tutta la sceneggiatura e innamoratomene, alla fine, ho scelto Jack.
Al regista, poi, ho rivolto più di una domanda, perché ci siamo incontrati e subito messi a chiacchierare di tutta la sceneggiatura; abbiamo lavorato insieme, costruito il personaggio insieme, quindi forse più che domande, c’è stato un vero lavoro e sviluppo che abbiamo portato avanti.
“Scegli chi vuoi essere”.
Invece come hai lavorato con Brando Pacitto sulla relazione tra i vostri personaggi? Che tipo di confronto c’è stato?
Io e Brando ci siamo incontrati subito, prima di iniziare le riprese, abbiamo fatto tantissime prove negli studios in Via Tiburtina, quindi già lì era nata una sintonia che poi è diventata qualcosa di grande sul set. Io, poi, quando interpreto determinati ruoli, cerco sempre di rimanere tale anche quando sto sul set, quindi il personaggio lo trasportavo tra un ciak e l’altro, gli facevo fare cose che magari lui non avrebbe fatto, e questa cosa mi divertiva. Con Brando ci siamo trovati, tant’è che ancora oggi usciamo insieme, siamo amici.
E in che modo ti sei relazionato a Jack, il tuo personaggio?
È stata una bella sfida, anche perché non vedevo l’ora di interpretare un ruolo del genere, di dimostrare che so anche essere duro. Avevo tantissima voglia di mettermi in gioco, quindi volevo proprio giocarci e credo di esserci riuscito. Io sono anche uno che improvvisa molto: ovviamente, dovevo attenermi alla sceneggiatura, però ho comunque lasciato spazio all’improvvisazione. Ho voluto creare quell’enorme corazza da duro, che poi ovviamente si sfalda durante la storia, per far vedere che anche lui ha un’anima. Mi sono divertito abbastanza, più che un approccio, è stato un lavoro in generale.
Abbiamo parlato di “convivenza” con Dario, il tuo personaggio in “Summertime”, e nel caso de “La Svolta” è il tuo personaggio Jack che si trova in una situazione di convivenza forzata; tu con quale personaggio del cinema vorresti trovarti in un “convivenza forzata”?
Domanda difficile questa… Ma che bella domanda! Più che “convivenza forzata”, mi viene da dire, magari potessi mettermi in gioco anche nel cinema internazionale, perché io amo molto attori come Matthew McConaughey, Leonardo Di Caprio, loro due in “The Wolf of Wall Street” sono stati pazzeschi. Con loro mi farei forzare assolutamente [ride], per creare qualcosa insieme, perché sono strepitosi. Del cinema italiano, ci sono tanti attori e registi con i quali spererei di poter lavorare un giorno, vedremo in futuro cosa accadrà.
Una notte cambia la vita di Jack e Ludovico, qual è stato invece il momento che ha cambiato la tua di vita?
È stato un giorno in cui ero a casa mia a Roma; stavo affrontando un periodo difficile della mia vita, e quel giorno scoppiai in lacrime e mi dissi: “Basta, non voglio più stare qui, devo partire e andare via”. Da lì ho iniziato a viaggiare, a vedere il mondo, a lavorare qui e lì, e secondo me è stato quel periodo. È anche giusto che ogni tanto io dica grazie anche a me stesso, perché io ringrazio sempre gli altri, ma per una volta, quando quel giorno mi sono guardato allo specchio e mi sono ringraziato, forse allora è stata la vera svolta della mia vita.
È importante riconoscere anche i propri meriti ogni tanto e non soltanto quelli degli altri.
Invece, cosa ti fa dire di sì ad un progetto e cosa ti fa dire di no?
Questo dipende da molte cose. Nel cinema italiano di solito vediamo sempre le stesse facce, perché purtroppo l’economia italiana non è come quella americana: un attore in America prende 100 milioni di euro per fare un film, mentre qua prendiamo neanche l’1% di quello che prendono là. Quindi, è difficile prima di tutto perché ora sto diventando un po’ più selettivo, cerco di leggere le sceneggiature e voglio prendere una strada ben precisa; stanno iniziando ad arrivare delle cose interessanti per il futuro nel quale lavorerò, e ho già accettato, mentre altre le accosto non perché non mi piacciano, ma per il semplice motivo che non rispecchiano il percorso che voglio intraprendere ora in questo momento. Sono nato con il cinema d’autore e credo di volerci ritornare ora, piano piano. Quindi, più che sì e no, è una scelta di percorso che un attore fa: alcune cose cerco di farle anche per cambiare, per mettermi alla prova, per non fare sempre le stesse cose. Ora quindi, sono indirizzato verso un percorso più mirato.
“…sono nato con il cinema d’autore e credo di volerci ritornare…”
Nella creazione di un personaggio (ma anche nella vita di tutti giorni) sei più razionale od emotivo?
Molto più emotivo. Io vado molto più di istinto, improvvisazione, quindi sicuramente sono molto più per l’emotività.
La tua citazione cinematografica preferita?
Bella questa… Io ho il peccato, se non la fortuna, di vedere tanti film, quindi ogni volta di citazioni ne sento davvero un’infinità, ed è difficile sceglierne una. Ti potrei dire, ovviamente, che ci sono Pasolini, Fellini che mi fanno impazzire, mentre del nostro cinema contemporaneo, ho amato “Un altro giro”, che ho rivisto per la terza volta qualche giorno fa, un film stupendo, tra i miei preferiti; poi c’è anche un altro film che mi ha stravolto e che ho visto tre volte al cinema: “Interstellar”.
Il tuo ultimo binge-watch?
Ti dico la verità, le serie non mi prendono tantissimo, io sono molto più per i film, amo i film alla follia. Però, di serie, ultimamente ho recuperato (perché tutti me ne parlavano continuamente) “Euphoria”: quella me la sono gustata, ogni puntata sembra un film, mi è piaciuta tantissimo.
Il tuo must have sul set?
La cassa. Io vado sempre in giro con una cassa, oppure le cuffie. La musica per me è vitale quando sto sul set.
Un personaggio realmente esistito che ti piacerebbe interpretare in un biopic?
Sai che ultimamente sto in fissa con il vecchio west? Mi piacerebbe interpretare un personaggio come quelli dei film di Sergio Leone, mi farebbe impazzire, mi piacerebbe sporcarmi, avere i capelli lunghi, i denti neri e marci, interpretare qualche pazzo.
Mi viene in mente il personaggio di Benedict Cumberbatch ne “Il potere del cane”!
Brava, esattamente! Ecco, qualcuno del genere, non necessariamente il tipico indiano con le frecce [ride].
Quale canzone descrive alla perfezione questo momento della tua vita?
In questi giorni sto riascoltando in loop “To Build a Home” dei The Cinematic Orchestra, sto proprio in fissa con quella. Di italiano, invece, ascolto più rap, oppure ogni tanto vado indietro nel tempo e ascolto vecchi artisti come Lucio Dalla, che amo alla follia.
Qual è stato l’incontro professionale più significativo della tua carriera, finora?
Difficile questa, perché tutti gli incontri che ho fatto sono stati importanti, ho conosciuto delle persone stupende che mi hanno dato grandi opportunità. Però, quello che mi ha stravolto e mi ha dato l’opportunità di farmi conoscere e affacciarmi a questo mondo è stato Dario Albertini, che mi ha concesso di fare “Manuel”, un film girato praticamente su di me e non so se una cosa del genere mi ricapiterà mai in futuro, quindi quello è stato il mio bigliettino da visita.
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
Mia madre. È una cosa che dico sempre, però è la verità. Lei è stata una persona con una determinazione pazzesca, quando ero bambino portava in giro questi bustoni pieni di vestiti e li andava a vendere per case, e poi, dopo un tot di anni, è riuscita ad aprirsi un negozio. Quindi vedere una persona che parte dal niente e riesce a costruirsi un qualcosa, per me è stato l’emblema di tutto, lei mi ha dato la forza di affrontare tutto questo, forse anche inconsciamente.
Il consiglio che sei contento di non aver ascoltato?
“Ma che te metti a fa’ l’attore… studia” [ride].
Un epic fail sul set?
La mia prima esperienza su un piccolissimo set, quando volevo capire se mi piacesse o meno. Ad un certo punto, gridarono, “Tutti pronti… Motore…” e io al “motore”, non ho aspettato l’azione e sono partito dentro per fare la scena. Stavano tutti zitti e fermi e infatti mi dissero: “Andrea, vedi che dobbiamo dire azione!”. Io ho fatto praticamente finta di niente, ho detto “Ah, giusto, è vero!”, e mi sono divertito un sacco, mi ricordo bene quel giorno, indelebile ormai.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Ci sarebbe da tirare fuori un libro… Forse l’aver creduto nei miei sogni, che non è facile, non è scontato, perché oggi come oggi si tende molto a rimanere sul comodo, ad appoggiarsi e adagiarsi, mentre io ho sempre creduto in quello che facevo. Ripeto, non voglio mettere sempre in mezzo la determinazione, ma ho avuto il coraggio di dire “io ce la faccio”.
Di cosa hai paura?
Bella domanda… Prima, quando ero più piccolo, ero ipocondriaco, quindi pensavo costantemente alla paura della morte. Adesso, invece, l’ho accettata, quindi cerco di vivermela serenamente ogni giorno, di vivermi la vita senza più avere rimorsi, rabbia nei confronti di nessuno, perché sono capitate talmente tante cose, dalla perdita di alcuni amici e persone importanti che ho conosciuto, alla nuova vita che mi ritrovo, fatta di alti e bassi – ho vissuto un periodo in cui ho affrontato cose molto forti – che oggi mi dico, “io non ho paura”, ma cerco di vivermi la vita con serenità, di fare tutto quello che voglio fare, ovviamente nei limiti delle possibilità. Dietro, poi, c’è tutto un lavoro di terapia, io amo andarci, è un percorso che fai anche a livello di crescita, quindi le tue paure per forza di cose le affronti, ed è bello affrontarle.
Come paura in generale… forse ho paura del buio.
“…le tue paure per forza di cose le affronti, ed è bello affrontarle”.
Cosa significa per te “sentirsi a proprio agio nella propria pelle”?
Io in realtà sono uno che a livello fisico non si è mai guardato, non mi sono mai guardato allo specchio, non mi interessa niente da quel punto vista. Per sentirsi a proprio agio nella vita secondo me bisogna essere prima a proprio agio con sé stessi, se sei a tuo agio con te stesso, secondo me hai vinto tutto, perché te ne freghi dei giudizi, dei pregiudizi. Sentirsi a proprio agio nella propria pelle significa conoscersi.
Qual è l’ultima cosa/persona che ti ha fatto sorridere, oggi?
Un video che mi hanno mandato alcuni amici su un gruppo: siamo stati due giorni a Milano e loro hanno montato questo reel con le nostre foto che mi ha strappato una risata isterica, perché c’erano delle foto veramente inguardabili, e sono scoppiato a ridere per strada.
La tua isola felice?
La mia isola felice è la libertà. Si può dire?
La libertà di vivere e di esprimere ciò che una persona vuole e pensa. Credo che la libertà sia la base di tutto, le fondamenta per arrivare dove si vuole arrivare, da persone libere ma, ovviamente, con la coscienza e con una struttura ben salda sotto i piedi, perché tu puoi essere libero ma anche volare, e invece la mia idea del volare è quella di avere anche una struttura solida sotto i piedi, rimanere con i piedi a terra però anche essere liberi.
Photos by Johnny Carrano.
Makeup by Chantal Ciaffardini.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Styling Assistant Bianca Giampieri.
Thanks to Others srl.
Location Manager: Luisa Berio.
Location: Grand Hotel Palace.
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