“Cosmetic cop” (il poliziotto cosmetico), ecco come la chiamano sin dalla sua prima apparizione sulla poltrona dell’Oprah Winfrey Show; e il soprannome nasce e persiste a ragion veduta: Paula Begoun è accorta e severa come un militare quando si tratta del mondo del beauty, e una tenace girlboss senza peli sulla lingua quando è l’ora di guidare il proprio team di esperti verso la retta via. La founder del brand Paula’s Choice Skincare ha imposto la ricerca della verità e la devozione nei confronti della scienza come pilastri della filosofia e del modus operandi della sua azienda: da qui, il lancio di una selezione di prodotti con l’obiettivo di aiutare le donne ad amarsi, accrescere la propria autostima, e sentirsi belle ogni giorno.
Seguendo una vocazione irresistibile, nata dalle sue guerre adolescenziali contro acne e pelle grassa, fino alla scoperta sconvolgente dei danni che il sole può provocare non solo alla nostra pelle, ma ance al nostro DNA, Paula ha scritto vari bestseller a tema skincare e fondato il brand di cosmetici (una delle prime aziende retail di cosmetici su internet negli anni ’90) che ha rivoluzionato l’industria, grazie al suo impegno nel combinare ingredienti che restituissero ai consumatori “la pelle che vogliono avere, sfruttando scienza e fisiologia al massimo delle loro potenzialità”.
Per un’ampia gamma di tipi di pelle, problematiche e malattie, con un obiettivo – fare la differenza, e con un iconico mantra: beauty begins with truth, la bellezza nasce dalla verità.
Come nasce la tua passione per la cura della pelle e la scienza della pelle?
Tutto è iniziato quando ero molto giovane e frustrata per colpa della mia di pelle. A 11 anni, ho le mie prime mestruazioni, la mia pelle diventa grassa, e inizio a soffrire di acne: ho combattuto con pelle grassa e acne per tutta la vita. Ora mi è rimasto anche un terribile eczema come eredità di quei tempi. A prescindere dai prodotti che usavo, i dermatologi che consultavo, le aziende farmaceutiche o cosmetiche che provavo, la mia pelle non migliorava, anzi, spesso peggiorava. Ci stavo molto male: ero una ragazzina, e soffrivo a vedermi la pelle andare a fuoco, o svegliarmi con la pelle che aveva un aspetto peggiorato, orribile. Dopo un po’, ha iniziato a non importarmi nemmeno avere una bella pelle, volevo semplicemente non avere una pelle terribile.
Quindi, tutto è iniziato dal desiderio di capire come potevo prendermi cura della mia pelle, ma, alla fine, quando mi sono resa conto di quanto folle e malsana fosse l’industria cosmetica, il mio obiettivo è diventato: “Non voglio che si ripeta, non voglio che altre donne passino quello che ho passato io”.
Sai, faccio parte di quest’industria da più di 50 anni, e posso assicurarti che agli uomini non importa niente della propria pelle; su questo pianeta siamo in 7 miliardi, metà donne e metà uomini, e se di questi ultimi ce ne sono 3 a cui importa – e sto esagerando – non è mai un problema. Le donne, però, hanno estrogeni e ossitocina, e a noi importa, il desiderio di essere belle è parte integrante della nostra struttura [ride].
Non volevo che le donne affrontassero quello che ho affrontato io, è stato un inferno per me, è stato terribile. Qualunque percorso sperimentassi, qualunque cosa facessi, quella missione mi perseguitava, o ero io a perseguitarla, chissà. Ogni volta che penso di averne abbastanza, non ne ho mai abbastanza, ed è sempre stato così, in via di evoluzione: ho scritto i libri, e pensavo sempre che poi sarebbe finita lì, ogni volta che scrivevo un libro, pensavo che sarebbe stato l’ultimo, ogni volta che formulavo un prodotto, pensavo che sarebbe stato l’ultimo; poi, la ricerca ha fatto progressi e io adoro la ricerca, adoro la scienza, quindi, la mia passione ha preso vita.
Era come una vocazione, come se fosse quel percorso ad aver scelto me e non io ad aver scelto lui, per me è irresistibile.
Cosa ti affascina di più del concetto di skincare?
Sono nel campo da molto tempo, ed è sempre stata la scienza, la ricerca, la fisiologia, ciò che è possibile e che non è possibile fare per la pelle, la verità, ad affascinarmi. Poi, la ricerca è andata avanti e certe cose sono cambiate: se fossimo state sedute qui a chiacchierare 25 anni fa, avremmo parlato della delusione che permeava il mondo della skincare e cosa la skincare potesse e non potesse fare; ora, ci sono ancora dei problemi che la skincare non è in grado di risolvere, ma c’è anche così tanto che la skincare è in grado di fare e molte cose sono cambiate radicalmente rispetto a 25 anni fa, impariamo ogni giorno di più. Quindi, quello che mi affascina è l’evoluzione, la crescita, e la scienza che è esplosa in questi ultimi 20/22 anni, è questo che mantiene vivo il mio interesse e coinvolgimento, sono sempre più interessata man mano che imparo nuove cose, e questo succede regolarmente.
A volte, non si tratta nemmeno della “novità” in sé per sé: prendi, per esempio, un ingrediente come la niacinamide. La ricerca sulla niacinamide è datata, conosciamo questo ingrediente da decenni, abbiamo sempre saputo che agisce sulla dimensione dei pori; tuttavia, negli ultimi 10 anni, nuove ricerche hanno dimostrato che la niacinamide non si limita a ridimensionare i pori, ma ha anche un effetto anti-rughe, è un ingrediente che comunica con le cellule, che è in grado di influenzare il colore della pelle, aiutandola a tornare al suo colore naturale e migliorando i meccanismi di produzione dei pigmenti negli strati più profondi della cute (la produzione di melanina). Dunque, a volte sta tutto negli ingredienti già noti dei cui poteri impariamo nuove cose, e così un “vecchio” ingrediente diventa più interessante di quanto pensassimo.
Spesso, quindi, tutto gira intorno alla scoperta di nuovi ingredienti, ma altrettanto spesso i più interessanti sono gli ingredienti conosciuti già da un bel po’ di tempo.
Che cosa desideri offrire ai consumatori attraverso il tuo brand, che si fonda sulla ricerca scientifica, e con la tua filosofia, che si basa sulla ricerca della verità?
Desidero che arrivino ad avere la pelle che vogliono avere, sfruttando scienza e fisiologia al massimo delle loro potenzialità.
Anche noi abbiamo i nostri limiti, anche se so che molte aziende vogliono far credere ai consumatori che sono in grado di fare miracoli, ma non è così, è una bugia, non esistono miracoli. Il mio obiettivo è quello di avvicinarvi il più possibile a ciò che la scienza, la ricerca, e le formule sono in grado di fornire per il beneficio di un’ampia gamma di tipi di pelle, problemi cutanei e malattie. È sempre stato questo, a partire dai libri che ho pubblicato, fino ai prodotti che abbiamo lanciato.
Come sono nate le idee alla base delle vostre formulazioni? Qual è il tuo processo creativo?
Dipende. Avendo formulato moltissimi prodotti nel corso degli anni, direi che spesso tutto parte dall’informazione, dalla ricerca su un ingrediente, e poi di solito ragioniamo in questa direzione: “Se un certo ingrediente è in grado di fare una certa cosa, con quali altri ingredienti possiamo combinarlo, per rispondere ai bisogni della pelle?”. Quindi è una combinazione dei seguenti fattori: un ingrediente cosa è in grado di fare per la pelle? Di cos’altro ha bisogno la pelle e come possiamo soddisfare tutto quanto? Quale problema combatte questa combinazione di ingredienti?
Nel corso degli anni, direi che è stato principalmente questo il nostro metodo, quindi spesso partiamo dall’ingrediente. Un ingrediente da solo non è mai abbastanza, perché la pelle è il più grande organo del corpo e ha dei compiti cruciali, e per quanto fenomenale un ingrediente possa essere, non sarà mai in grado di farcela da solo, come il tè verde, per esempio, che fa molto bene alla salute, ma se ci nutrissimo di solo tè verde, saremmo denutrito e moriremmo, e non sarebbe carino! [ride] Quindi, i bisogni della pelle sono molto complicati, e un solo elemento non è mai abbastanza, anche il migliore degli ingredienti ha bisogno di amici, ci vuole una squadra di ingredienti per fornire alla pelle quello di cui ha bisogno per sconfiggere una determinata malattia o problematica, o anche semplicemente per essere in buona salute. Insomma, a volte parte tutto da un ingrediente, altre volte dalla problematica in sé: acne, rosacea, pelle molto sensibile e atopica, pelle secca, pelle grassa, pori ostruiti, pelle gravemente danneggiata dal sole. Spesso, dalla problematica cutanea poi parte la ricerca degli ingredienti e dei vari prodotti che sono più adatti per quella problematica o malattia.
Ad ogni modo, anche quando ci sono le migliori intenzioni e sforzi enormi dietro la formulazione di un prodotto, non è detto che alla fine finisca “sullo scaffale”, perché è davvero difficile ottenere il giusto livello di stabilità, funzionalità, e le idee e la ricerca non sempre rispondono agli scopi che speri di raggiungere, spesso la texture non è piacevole al tatto, non è stabile, non cambia colore e finisce per puzzare di tacchino! [ride] Uno dei miei prodotti, quello al retinolo, è il frutto di 5 anni di esperimenti: eravamo arrivati ad un punto in cui il mio team mi diceva di rinunciarci… Ma nemmeno per sogno, io gli dicevo: “Noi non molliamo! È un ingrediente importate, la ricerca è valida, questi altri ingredienti dovrebbero funzionare perfettamente combinati con lui, possiamo farcela, ci stiamo solo perdendo qualcosa, c’è qualcosa che non abbiamo capito”. Infatti, alla fine si trattava del packaging e del sistema di erogazione. È stata una vera e propria indagine, e io non ho mai avuto intenzione di mollare.
Infatti, dopo 5 anni era praticamente diventato il tuo bambino!
Esatto! Una gravidanza infinita; in pratica, era un lattante! [ride] Ma ne è valsa la pena, abbiamo avuto il lieto fine!
“Un ingrediente cosa è in grado di fare per la pelle? Di cos’altro ha bisogno la pelle e come possiamo soddisfare tutto quanto? Quale problema combatte questa combinazione di ingredienti?”
In che modo sei riuscita a sradicare alcune abitudini sbagliate, ma purtroppo solide in area skincare? E come hai cambiato le tue di “abitudini sbagliate”?
Il mio ego adorerebbe pensare che ho cambiato le abitudini sbagliate della skincare, ma non credo di averlo fatto.
Mi piacerebbe aver avuto un impatto più significativo nel corso della mia carriera, e di sicuro un certo impatto ce l’ho avuto e ne sono felice, ma il mondo è grande, siamo una marea di persone. Tutti, nella mia azienda, sanno che non uso i social media perché mi turbano molto, temono tutti che mi facciano venire un infarto o un ictus; i social mi fanno incazzare, quindi me ne tengo alla larga. Però, mi aggiornano sempre sui miti più diffusi che circolano di anno in anno, soprattutto se devo tenere qualche conferenza in cui sfatare certi miti e affrontare quel genere di tematica. Se qualcosa è peggiorato, è tutta colpa dei social media e delle migliaia e migliaia di persone che non fanno che ripetere informazioni fuorvianti o semplicemente false; non capisco se la gente è bugiarda oppure stupida, e non capisco perché persino gente apparentemente intelligente dica quello che dice, persino laureati e scienziati.
Per quanto riguarda le mie di abitudini sbagliate, quando mi informo sulle nuove ricerche, mi convinco facilmente ad abbandonarle. Ho scoperto della questione dei danni causati dal sole dopo una fase della mia vita in cui mi abbronzavo molto spesso e facilmente, e diventavo assurdamente scura – ricordo di aver fatto una crociera nei Caraibi quando avevo circa 30 anni, all’epoca facevo la giornalista televisiva a Seattle, e una volta tornata a casa, la mia pelle era così scura che ho dovuto farmi prestare il fondotinta della mia collega afroamericana, giuro! [ride]
Non usavi la protezione solare all’epoca?
Quando avevo 30 anni? Oddio, no!
Le questioni dei danni causati dal sole, dell’invecchiamento cutaneo, e del sole che è causa di cancro, sono diventate note e discusse solo quando avevo una quarantina d’anni, e anche allora si parlava più che altro di scottature, che derivano da danni causati dai raggi UVB, mentre non si sapeva molto degli UVA. Più tardi, con la ricerca, abbiamo capito che l’abbronzatura non è altro che la tua pelle che ti sta dicendo: “Falla finita, mi stai facendo male, stai danneggiando il tuo DNA! È l’inizio della morte cutanea, non farlo!”. La ricerca è andata avanti sempre di più e abbiamo scoperto che i danni non derivano semplicemente dall’esposizione diretta al sole, ma anche dalla semplice luce naturale, perché i raggi solari filtrano attraverso le finestre! All’epoca, verso la fine degli anni ’90, le nuove scoperte scientifiche mi hanno sconvolta, dimostrando che il processo degenerativo inizia dal primo minuto in cui la pelle non protetta vede la luce del sole: il sistema immunitario inizia a sgretolarsi, così come il collagene, basta un solo minuto di esposizione al sole non protetta. Poi, la ricerca degli ultimi anni ha anche dimostrato che il sole non solo può innescare, col tempo, un invecchiamento prematuro della pelle, tumori, problematiche come acne, dermatite seborroica, rosacea, ma può causare anche altri problemi in tutto il corpo. In altre parole, i raggi del sole sono in grado di attraversare gli strati più superficiali della pelle e raggiungere quelli in cui la pelle viene originata, danneggiando il DNA; la pelle, infatti, non finisce nel punto in cui il corpo comincia e vice versa, quindi il sole irradia i danni attraverso il tutto il corpo. Questa scoperta mi ha sconvolta. È così ovvio, e infatti non so perché io, col mio bagaglio di conoscenze scientifiche, non ci ho pensato prima.
Di fronte a nuove scoperte, ci sono solo poche cose di fronte alle quali non sono proattiva: i miei Martini, per esempio, a loro non rinuncio, perché non sono un angelo [ride], ma a parte quelli, soprattutto quando si tratta di qualcosa su cui non posso essere troppo avventata, mi ci metto di impegno abbastanza rapidamente.
Qual è il più grande “no” che hai ricevuto nel corso della tua carriera? E qual è stata la tua reazione?
Quando ho scritto il mio primo libro, nessuno voleva pubblicarmelo perché non ero famosa. Brook Shields, per esempio, all’epoca era una delle modelle e donne più belle in circolazione, o Linda Evans della serie “Dallas”, loro erano le donne famose di quei tempi. Io non ero di certo una celebrità, e non ero un dottore, quindi chi avrebbe comprato il mio libro di skincare? Insomma, non riuscivo a farmelo pubblicare, e allora ho pensato: beh, me lo pubblico da sola! Tutti credevano che chi si pubblicava le cose da solo non sarebbe arrivato da nessuna parte, sarebbe finito per regalare le copie agli amici perché nessuno le avrebbe comprate. In seguito, il mio libro è diventato un bestseller, e non dimenticherò mai il giorno in cui Simon & Schuster mi ha chiamata per chiedermi se potesse pubblicarmelo: io ho risposto al telefono solo per il gusto di dire di no! [ride] Stavo bene da sola, senza dover fare i conti con case editrici.
Quello è stato uno dei no più grossi che abbia mai ricevuto. L’altro no è legato alla fondazione di Paula’s Choice e a quanto controversa fosse come cosa, dato che avevo scritto libri in cui criticavo i prodotti di altre persone, quindi suonava un po’ come una sorta di conflitto di interessi. Quello che dissi all’epoca, e che vale ancora oggi, fu: perché la gente mi sta criticando? Sono l’unico brand di cosmetici al mondo che raccomanda i prodotti e i brand di altre aziende! A quei tempi, non mi interessava diventare grande, avevo semplicemente bisogno di pagarmi l’affitto e il cibo, non avrei mai immaginato che saremmo diventati così grandi, non erano questi i piani, credimi. Sono approdata su internet nel 1995, quando nessuno vendeva su internet, quindi ero praticamente l’unica azienda retail di cosmetici su internet in quegli anni, e la gente diceva che ero folle, che nessuno mi avrebbe trovata, nessuno avrebbe fatto acquisti su internet e si sarebbe fidato di un’azienda trovata su internet. Questa storia è andata avanti per anni, e la situazione non è cambiata fino all’11 settembre. La mia idea era: non ho bisogno di vendere un milione di prodotti, mi basta venderli alla gente che legge i miei libri, ai miei fan, alle persone che hanno imparato a fidarsi delle informazioni che diffondo. E poi, guarda un po’ com’è finita! Non devo dar conto a nessun negozio, non devo formare dipendenti, altrimenti non avrei tempo per occuparmi delle formulazioni e fare quello che amo fare di più! Quelli sono stati i più grandi no che NON ho ascoltato. [ride]
“Quando ho scritto il mio primo libro, nessuno voleva pubblicarmelo perché non ero famosa […] e allora ho pensato: ‘Beh, me lo pubblico da sola!'”
Qual è una conquista di cui sei particolarmente fiera?
Ho sempre fatto donazioni ad associazioni di beneficienza, è una parte fondamentale del mio credo; quando ho iniziato ad avere davvero tanto successo, a poter donare somme di denaro significative ed essere una vera e propria filantropa, ho mandato un grosso assegno ad un’associazione di beneficienza che supportavo da tempo. Di solito, non accetto mai chiamate dalle associazioni, le esamino e scelgo da me a chi donare, detesto mettere le associazioni nella posizione di dover supplicare per ricevere denaro, per mostrarsi degne: se vi ho scelto, è perché ho già creduto in voi, altrimenti non vi darei il mio denaro, non c’è bisogno che vi diate così da fare, un’email da una riga è sufficiente, anche perché un’email infinita non la leggerei mai, mi basta che mi diciate di quanti soldi avreste bisogno, e io vedrò cosa potrò fare per aiutare.
Quando inviai l’assegno di cui parlavo, il CEO dell’associazione chiese alla sua segretaria di contattarmi per chiedermi se potesse venire da me a Seattle e portarmi a cena, e io risposi: “No, non faccio questo genere di cose”. Però, le feci comunque una telefonata, per sentirla di persona, e le dissi: “Guarda, sono lusingata, sono felice che tu sia felice per quell’assegno, ma io sono una preda facile, se vuoi più soldi da me, basta che mi mandi una frasetta e io vedrò cosa posso fare; se ci sono delle persone con cui devi insistere, che devi convincere a farti donazioni, io non sono una di quelle. Ma voglio che tu sappia che ammiro il vostro lavoro e che ci sarò sempre per la tua associazione e farò sempre quello che posso”. Lei si mise a piangere. La sua emozione e gratitudine mi commossero tanto. Dunque, quella è stata una conquista.
Qualunque somma riusciamo a donare è in grado di fare la differenza, in realtà, ma poter donare una somma tale da fare davvero una differenza significativa è stato speciale, un momento importante della mia vita.
Cosa significa per te essere a proprio agio nella propria pelle?
Non so se in questa vita riuscirò mai a sentirmi a mio agio nella mia pelle.
So che alcune persone ci riescono, e le invidio, ma per me è una grossa sfida. Mi sento a mio agio più che altro quando sono sola. In effetti, non sono estroversa come sembro, e questo mi fa pensare ad una delle migliori citazioni da un articolo che ho letto qualche tempo fa, che diceva: “Sono contento di uscire a cena con te giovedì sera, ma se dovessi annullare l’appuntamento, sarei contento di non uscire a cena con te giovedì sera”. [ride] La frase mi descrive benissimo, è proprio una sintesi della mia condizione nel mondo, io sono quel genere di persona che si sente a proprio agio nella propria pelle quando è sola. Una mia cara amica, molto famosa, molto ricca, non può fare a meno delle persone invece, è sempre in giro a fare cose, vedere gente, capita davvero raramente che sia sola, anzi, forse la parola “sola” non è nemmeno nel suo vocabolario. Pensavo che fosse una vera e propria abilità, e anche che fosse una cosa un po’ folle, ma semplicemente perché io sono introversa e lei non lo è. Credo che lei si senta a proprio agio nella propria pelle quando è in compagnia, e non per forza di persone famose o importanti, basta che siano persone. A volte, la guardo e la ammiro, mi chiedo cosa significhi sentirsi a proprio agio in situazioni in cui io vorrei solo scappare e nascondermi. Insomma, questo è un lunghissimo giro di parole per dirti che non so in cosa consista quest’abilità. È interessante, non ho mai domandato a questa mia amica, in quanto penso che ci voglia una certa dose di consapevolezza psicologica, se si sente a proprio agio quando è sola con sé stessa, forse perché lo è molto raramente, quindi sospetto che la sua risposta sarebbe negativa.
Mi chiedo cosa significhi per la maggior parte delle persone, è una domanda davvero interessante, non lo so cosa serva per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Una delle mie citazioni preferite, da un autore che ho letto parecchio tempo fa, dice che tutti pensano che la gente ricca, le celebrità, le persone benestanti e famose si sentano tutte a proprio agio con sé stesse, e noi vogliamo quello che hanno loro, ma basta leggere un numero di People o un qualsiasi giornale per capire che ci sbagliamo; guarda Johnny Depp e la sua ex moglie, o Harry e Meghan, di certo loro non sono una pasqua, e non sono a loro agio nella loro pelle, nonostante siano tra le persone più ricche e famose del pianeta! Quindi, penso sia una conquista difficile da conseguire.
Io sono sicura di me e dico quello che penso senza problemi, ma quando rifletto sul sentirmi a mio agio con me stessa, quello che mi viene in mente è un senso di tranquillità rispetto a quello che faccio, di fluidità e facilità di movimento nel mondo, penso alla sensazione di sentirmi rassicurata, senza preoccuparmi delle persone con cui parlerò, del parente che dovrò affrontare, delle pressioni che sono parte della vita, del fatto che non sempre la mia corazza è abbastanza dura per affrontare tutto.
È difficile sentirsi a proprio agio nella propria pelle, soprattutto per le donne, che sono innatamente molto permeabili, infatti ciò che sugli uomini rimbalza, penetra, invece, nei nostri cuori e cervelli; per le donne secondo me è ancora più difficile sentirsi a proprio agio con sé stesse perché siamo permeabili, appunto, ai sentimenti degli altri e ai loro bisogni, ci preoccupiamo di soddisfarli. Ecco perché è molto più semplice stare da soli! [ride]
Qual è stata la prima scelta di Paula? E l’ultima?
Sai, ho quasi 69 anni, sono su questa terra da molto tempo, quindi riesco a dirti di più della mia ultima scelta, ovvero quella di fare finalmente quello che voglio, e gettare al vento la prudenza, non preoccuparmi di parlare di cosa mi fa sentire a mio agio nella mia pelle, non preoccuparmi di escludere qualcuno da qualcosa, o di deludere qualcuno se non lo coinvolgo nelle mie cose, sai, la gente ha molte aspettative. La vita è troppo breve, e sta diventando ancora più breve, quindi oggi scelgo di dire sempre quello che penso, anche quando a Paula’s Choice non va a genio quello che dico, e scelgo di fare ciò che mi reca più gioia, e se si tratta di starmene tra me e me, allora me ne sto tra me e me, e se le persone che si aspettano che io le coinvolga non vengono coinvolte, va bene così, deve andar bene così.