Tra i protagonisti della fiction di Rai Uno “A muso duro”, sulla storia del fondatore delle Paralimpiadi, Francesco Gheghi è tanto forte da reggere il peso di grosse responsabilità, come quello di raccontare storie di vita vera, affrontare con rispetto e coraggio temi delicati e poco discussi, soprattutto in Italia, rendere contesti anche molto lontani da noi.
Francesco è tanto forte da reggere il peso di storie familiari, di equilibri spezzati e di legami ritrovati, come quelli raccontati ne “Il filo invisibile”, film di Marco Simon Puccioni, premiato ai Nastri D’Argento e attualmente disponibile su Netflix.
Dal suo esordio al fianco di Elio Germano, passando per gli aneddoti dal set di “Padrenostro”, fino ai nuovi progetti, incluso “Piove” di Paolo Strippoli, prossimamente sugli schermi, Francesco ci ha trasmesso la sua voglia di essere grato alla vita, sulla scia di un consiglio molto utile tanto in carriera quanto in quotidianità: “aderire” ai personaggi e alle persone che ci fanno stare bene.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
“Cera una volta in America” sul divano con mio padre.
Ricordi un evento o un momento preciso in cui hai pensato di voler far parte del mondo del cinema?
A prescindere dal fatto che ho fatto teatro e mi piaceva molto, un momento preciso è stato quando ero sul set di “Io sono tempesta”, il mio primo film, e c’era Elio Germano che faceva le scene, e io allora ho guardato mia madre e le ho detto: “Voglio fare come fa Elio”, ovvero stare in tutte le scene.
Sei tra i protagonisti della fiction di Rai Uno “A muso duro”, sulla storia del fondatore delle Paralimpiadi. Il film-tv racconta le vicende del dottor Antonio Maglio (Flavio Insinna), il medico e dirigente dell’Inail, che ha dedicato la sua vita al recupero delle persone disabili. Com’è stata la tua esperienza sul set e come hai affrontato la sfida del rappresentare un pezzo di storia tanto importante?
È stata una bellissima esperienza, mi ha dato l’opportunità di conoscere persone forti, meravigliose. Sentivo comunque una grossa responsabilità addosso, perché sono temi delicati, che bisogna affrontare con rispetto; rappresentare un film del genere non è facile, perché è ambientato negli anni ’50, ma è anche questo il bello del cinema, che ti dà la possibilità di raccontare storie così lontane da te.
“… è anche questo il bello del cinema, che ti dà la possibilità di raccontare storie così lontane da te”.
Come ti sei approcciato al tuo personaggio? Il tuo processo di preparazione ha incluso ricerche, documentazioni, confronti col regista, Marco Pontecorvo, e col resto del cast?
Esattamente il mio processo di preparazione ha incluso ricerche e documentazioni; mi sono confrontato con il regista, Marco Pontecorvo, che per me è stato un maestro. Con il resto del cast abbiamo fatto un lavoro importante e poi, la cosa che ci ha formati tanto è stata la possibilità di conoscere ragazzi paraplegici che ci hanno potuto raccontare la loro esperienza: abbiamo fatto i loro allenamenti e questo ci ha aiutati tanto.
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso, approfondendo e raccontando tu stesso questa storia?
Ho scoperto di essere fortunato, di essere grato alla vita, e di avere una responsabilità, perché ho avuto proprio la fortuna di nascere e di poter fare cose che molte altre persone non possono fare, e non per una questione di meritocrazia.
Come descriveresti “A muso duro” in una sola parola?
Con la parola “personalità”.
“La famiglia è una scelta felice, non una necessità” è la caption di un tuo post su Instagram in cui promuovi un altro tuo lavoro interessante, “Il filo invisibile”. Il film di Marco Simon Puccioni, premiato ai Nastri D’Argento e attualmente disponibile su Netflix, che racconta la storia di un equilibrio familiare sconvolto dal tradimento coniugale. Cosa rappresenta, per te, la famiglia e cosa, come il tradimento nel contesto del film, può essere tanto forte da distruggerne l’armonia?
Per me, la famiglia è fondamentale.
La famiglia è casa, il tuo posto sicuro, il tuo posto felice, è dove ti senti protetto, tranquillo. E a cosa può essere tanto forte da distruggere l’equilibrio di una famiglia preferisco non pensare, per me non è importante.
Sento una fortissima responsabilità, perché è un tema molto delicato, raro in Italia, perché si ha paura di parlarne. Ho avuto la possibilità di conoscere i figli di Marco Simon Puccioni, di fargli delle domande, di chiedergli anche domande scomode; le risposte che mi sono state date sono le stesse che mi sarei dato io se mi avessero chiesto cos’è la famiglia.
“La famiglia è casa, il tuo posto sicuro, il tuo posto felice, è dove ti senti protetto, tranquillo”.
Il film racconta dinamiche familiari atipiche, in particolare si sofferma su un tema complesso, quello della doppia paternità: qual è stata la tua reazione a questa sceneggiatura, e c’è qualche lezione che questa storia ti ha insegnato?
Il mio primo pensiero dopo aver letto la sceneggiatura è che ero super gasato perché ci tenevo a rappresentare una storia del genere; questa storia mi ha insegnato ad avere coraggio, a non aver paura di fare quello che si vuole fare, sempre con rispetto ed educazione verso tutti.
Qual è stata la scena più difficile e quella più divertente da girare di questo film?
La scena più difficile forse è stata quella con Scianna e Timi, quando mi rivelano che nessuno dei due è mio padre: è stata un bel pugno nello stomaco, perché, a livello emotivo, ho dovuto far affiorare tanti pensieri e tante emozioni.
La scena più divertente è stata quella della cena, sempre con Scianna e Timi, perché ho avuto la possibilità di guardare due professionisti e due grandi persone all’opera, ed è stato molto figo, mi sono divertito tantissimo.
Un altro tuo progetto prossimamente in uscita è il film “Piove” di Paolo Strippoli, ambientato in una Roma intossicata, sul punto di esplodere a causa di vapori e melme misteriose. Una situazione esasperata, ma quasi non troppo distante da quella reale. Com’è stato affrontare quest’altra importante e, per certi versi attuale, tematica? Qual è il ruolo del tuo personaggio nella storia?
In “Piove” interpreto Enrico Morel, un ragazzo folle, masochista, in cerca di attenzione, che si ritrova devastato per colpa di un lutto, la morte della madre. Il film parla di rabbia, di frustrazione, anche per motivi futili, e racconta l’incomunicabilità tra persone, l’incomunicabilità nella famiglia, il rapporto tra un padre e un figlio che verrà portato all’esasperazione, fino a diventare una guerra.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Facile, i soldi! [ride] No, scherzo.
La storia, il regista, la possibilità di raccontare belle storie, di lavorare con attori e registi formidabili.
Quando crei un personaggio, sei più razionale o istintivo?
Nella creazione di un personaggio, sono un mix: sono sia razionale, sia istintivo, faccio tante ricerche e scavo molto dentro di me, cerco di portare un pezzo di me nella storia.
Qual è il peggior consiglio e il miglior consiglio che ti abbiano mai dato?
Il miglior consiglio che mi abbiano dato è di entrare in aderenza con le altre persone e quindi con il personaggio che sto per rappresentare, e con gli altri personaggi con cui devo interagire. Il peggior consiglio che mi abbiano dato è stato quando, durante una scena molto emotiva e importante, mi hanno detto:
“Vabbè, pensa a tu nonno che more!”.
Chi o cosa ti ispira sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni?
Mia nonna mi dice sempre: “Esci con persone belle, che ti possono dare qualcosa”. Quindi, chiunque mi possa dare qualcosa di bello e di importante, mi ispiro a loro.
Nel lavoro, Sergio Leone, De Niro, Tom Hanks; nella vita, mia madre, mio padre, amici.
“Esci con persone belle, che ti possono dare qualcosa”.
Quale personaggio realmente esistito ti piacerebbe interpretare?
Mi piacerebbe moltissimo interpretare Cleopatra.
La collaborazione dei tuoi sogni?
Un mega cast, con troppi attori… Quindi ne sparo una un po’ assurda: film con regia dei fratelli Safdie, e nel cast Steve Carrel e Javier Bardem.
Una canzone che descrive questo momento preciso della tua vita?
Una canzone che descrive e descriverà per sempre la mia vita è “Mia Ragione” di Massimo Ranieri.
Un epic fail sul set.
Ero sul set di “Padrenostro”, in bicicletta con Mattia Garaci, un ragazzo di 4 o 5 anni più piccolo di me, quindi avevo una responsabilità nei suoi confronti: andavo a 200 all’ora e sono cascato; però la scena era così divertente che il regista ha deciso di utilizzarla.
Il tuo must-have sul set.
Boh, la pizza!
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Andare alla camera mortuaria e salutare e dare un bacio ad un mio amico, che ora non c’è più.
Di cosa hai paura invece?
Di tutto, di base sono un cagasotto!
Il tuo più grande atto di ribellione?
Forse semplicemente il fatto di saltare scuola per il gusto di farlo, consapevole del fatto che poi mia madre mi avrebbe lapidato.
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa sentirsi bene con sé stessi, essere felici, avere mente, cuore e pancia collegati.
Quali storie sogni di raccontare?
Sogno di raccontare storie di genere, o storie che fanno bene al cuore, storie vere, emozionanti.
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere?
Adesso, un mio amico seduto vicino a me in questo istante, durante l’intervista.
La tua isola felice?
Questa è una domanda molto facile: l’Isola che non c’è.
Photos by Johnny Carrano.
Grooming by Francesca Naldini.
Styling by Samanta Pardini.
Thanks to Lapalumbo Comunicazione.
LOOK 1
Total Look: Emporio Armani
LOOK 2
Shirt and Trousers: Sandro Paris
Boots: Emporio Armani
LOOK 3
Sweater, Shirt, and Trousers: Sandro Paris
Boots: Emporio Armani
LOOK 4:
Hoodie: Sandro Paris