Edward Bluemel ne ha fatta di strada dalle sue prime esperienze al cinema… E sta a voi scoprire a cosa ci riferiamo!
Ora, dopo i suoi ruoli in produzioni come “A Discovery of Witches”, “Killing Eve” e “Ten Percent”, l’abbiamo visto di recente nel film di Netflix “Persuasione”, e presto lo ritroveremo sul piccolo schermo in “My Lady Jane”. Che dire, non vediamo l’ora di vederlo nei panni della “giusta rockstar”.
Con Edward, abbiamo parlato della sua esperienza sul set di “Persuasione” e del bello di cimentarsi in progetti che promuovano una mentalità aperta e uno spirito gentile e che siano possibilmente divertenti, oltre a personaggi con cui empatizzare per scoprire nuovi aspetti di sé. Abbiamo anche chiacchierato dell’importanza di lasciare al pubblico la libertà di interpretare un ruolo a modo loro, e di riconoscere che impegnarsi in progetti a cui teniamo è la chiave per agire nel modo giusto. Ultimo, ma non per importanza, abbiamo colto l’occasione per ricordarci di non dare mai nulla per scontato e vivere la felicità in modo genuino, rallegrandoci anche per una cosa tanto semplice quanto possedere la migliore vasca da bagno al mondo!
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Ricordo la volta in cui sono andato a vedere “I rubacchiotti”, un film per ragazzi che ha per protagonisti persone minuscole, uscito verso la fine degli anni ’90. Non mi ricordo di preciso cosa successe quella volta, ma penso fosse il mio primo film al cinema, e poi il secondo fu “A Bug’s Life – Megaminimondo”: stupendo, ma prima che iniziasse io avevo bevuto una Fanta o qualcosa di simile – avevo 6 o 7 anni – e quindi durante la proiezione sono dovuto andare a fare pipì per tipo 6 volte. Mia madre, all’uscita, mi disse: “Non puoi andare al cinema se fai così, non ha senso”. Quindi, in seguito, ho ceduto ad un periodo di astinenza dal cinema, e poi il film che ha segnato il mio ritorno è stato “Genitori in trappola”.
Quei tre sono stati i film d’apertura della mia esperienza cinematografica, e sono gran bei film, iconici, con una spettacolare animazione, ma tutto dipendeva da me, che dovevo starmene buono. Ero piuttosto irrequieto da bambino, sempre lì che dicevo: “Mi scappa la pipì” o che girovagavo per il cinema, e mi ci sono voluti anni per imparare a stare seduto e fermo quando i miei genitori mi ci portavano.
Però adesso ci riesci! [ride]
Adesso ci riesco! Ma film come “The Irishman” mi hanno messo alla prova per la quantità di volte in cui avrei voluto andare in bagno nel mentre: l’ho visto al cinema, durante una proiezione con Al Pacino in sala, quindi è stata dura, in certi momenti ho pensato: “Mi sembra di essere tornato indietro a ‘A Bug’s Life’” [ride].
Ad ogni modo, questi sono i miei primi ricordi, ma mi ci è voluto un po’ prima di diventare un frequentatore regolare del cinema.
Com’è stata la tua esperienza sul set di “Persuasione”? Conoscevi il libro?
È stata una bellissima esperienza! Con un gruppo di persone bellissime, così gentili e felici di essere lì. Non sembrava quasi di star lavorando. Abbiamo girato durante piacevoli giornate estive, in una parte stupenda del Regno Unito, nel sud-ovest, vicino Bath, e mi sono divertito un sacco sul set. Ero molto felice di essere lì e recitare con Dakota [Johnson], e il bello è che le mie scene erano tutte abbastanza lunghe e con tanti dialoghi, cosa che mi piace un sacco. Non capita spesso di girare scene del genere, perché nella maggior parte delle produzioni oggi, o almeno in quelle in cui sono stato coinvolto io, le scene non sono quasi mai più lunghe di due pagine, è tutto molto scattante, e deve esserlo, in molti casi; invece, le mie scene con Dakota in “Persuasione” erano lunghe quattro o cinque pagine, quindi è stato bello entrare davvero nella scena e avere la sensazione di esserci davvero.
Il libro invece non l’ho letto. L’ho comprato, ci ho dato un’occhiata, l’ho sfogliato fino ad arrivare al mio personaggio per assicurarmi di averne i dettagli necessari, e la prima cosa che ho letto è stata che ha 40 anni, quindi ho pensato: “Mi sa che il libro non mi sarà d’aiuto” [ride]. Il cast è stato scelto in maniera molto libera, e io adoro Jane Austen, ma ho pensato: “Questo ruolo lo interpreto a modo mio, perché se cerco riferimenti nel libro, ne viene fuori un personaggio confuso”, perché nel libro è completamente diverso.
“Le mie scene erano tutte abbastanza lunghe e con tanti dialoghi, cosa che mi piace un sacco”.
Il film, infatti, è una versione molto divertente della storia originale, e tu interpreti il Capitano Harville, un energico marinaio che si unisce al gruppo della famiglia Elliot per alcuni ritrovi di famiglia. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura? E qual è stata la prima domanda che hai rivolto al regista a proposito?
Ricordo di aver letto una scena in cui lui stuzzica Anne, e una parte della loro conversazione potrebbe essere interpretata come un litigio e lui potrebbe apparire contrariato, e ricordo di aver chiesto a Carrie [Cracknell]: “Cosa sta cercando, secondo te, il Capitano Harville e qual è il tono di questa conversazione? E qual è il suo atteggiamento in generale?”. Credo che l’aspetto più importante di quella parte – e questo si riflette nel libro e in ogni rappresentazione di Harville – sia quanto aperto, gentile e onesto appaia come persona, tutti quanti lo adorano, ed è strano interpretare qualcuno con cui la gente ama passare il tempo. Quindi, mi ricordo che Carrie mi ha detto:
“Non vederla come un litigio, non è un litigio, lui ha questa tendenza a mettere alla prova le persone, a far emergere il meglio dalle persone”.
Ha un’intelligenza davvero sottile ed è emotivamente intuitivo: per questo motivo lui e Anne vanno così d’accordo, perché sono uguali, entrambi osservano le persone e notano cose che altri magari non notano, e sono entrambi gentili e amorevoli. Direi che questa è stata una novità che ho dovuto imparare strada facendo, perché di solito tendo a interpretare personaggi parecchio stronzi, mi piace cercare la cattiveria nelle persone, quindi è stata una nuova sfida per me trovare un personaggio in cui non c’era alcuna cattiveria: non avrei potuto cadere nel tranello ed essere subdolo o machiavellico come lo sono un sacco di personaggi che ho interpretato in precedenza. Lui era semplicemente felice di essere lì, così come lo ero io, quindi non è stato difficile interpretarlo!
Come ti sei approcciato al tuo personaggio? In maniera più razionale o emotiva?
Ho avuto un approccio più razionale.
Spesso, il copione non contiene molte informazioni sui personaggi che interpreto, e tutto ciò che sappiamo è quello che gli sentiamo dire. Quindi, non passo troppo tempo a rimuginare sui miei personaggi. Quando interpreti ruoli da protagonista, il tuo approccio deve necessariamente svilupparsi da un’angolazione più emotiva, e devi metterci più empatia, ma di solito, con i ruoli da non protagonista, mi dico: “Farò semplicemente finta di essere lui” [ride] quindi sono più pragmatico: queste sono le informazioni che abbiamo, non voglio farla più difficile di quanto non sia, perché farla difficile non mi è mai servito a niente in passato. Secondo me, c’è spazio per questo genere di cose per ruoli più grossi, in cui il pubblico ha modo di vedere tanti lati del personaggio. Io però sono abituato ai ruoli di supporto e mi piace interpretarli, mi piace il mistero che portano con sé, quindi faccio semplicemente quello che c’è scritto sul copione e poi sarà il pubblico ad interpretarlo come vuole. Secondo me, è divertente essere un po’ ambigui e non scontati, e non rimuginare su qualsiasi cosa, non pensarci troppo su.
C’è questa intervista ad Harold Pinter in cui gli chiedono perché abbia scritto un personaggio in un certo modo e cosa il personaggio stia pensando ad un certo punto del testo, e lui risponde qualcosa del tipo: “Non sono affari vostri! Scopritelo da soli, io non ve lo dico”. [ride] Questo lo rende più credibile, perché raramente nella vita vera, oppure solo se sei super a tuo agio con qualcuno, una persona direbbe qualcosa e tu gli risponderesti: “Perché stai dicendo questa cosa? Da quali pensieri deriva questa cosa che stai dicendo?”. Sarebbe un vero e proprio confronto, e nella maggior parte dei casi è una cosa che tendiamo a evitare. Quindi, è molto più credibile come situazione se non sai da dove deriva un certo comportamento e ti ritrovi a dover unire i puntini da solo, e penso sia anche divertente. Io mi limito semplicemente a fare quello che c’è scritto e lascio che gli spettatori traggano le loro conclusioni.
“Secondo me, è divertente essere un po’ ambigui e non scontati, e non rimuginare su qualsiasi cosa, non pensarci troppo su”.
Secondo me, quando ti prepari per un qualsiasi tipo di ruolo, fai anche un lavoro su te stesso. Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso mentre costruivi questo personaggio?
Certo! Credo che qualunque lato del personaggio con cui entri subito in empatia possa insegnarti qualcosa su te stesso.
Nel caso di personaggi che magari non sono brave persone o che si rivelano man mano cattivi, delle volte puoi rimanere scioccato e pensare: “Il personaggio che sto interpretando sa essere molto manipolativo”; oppure, dall’altro lato: “Questo l’ho fatto anche io”, “Ho usato questi trucchetti”, e ti ritrovi a capire il personaggio e, a volte, non ti sorprende che sia un personaggio cattivo e pensi: “Mi sa che devo rivalutare il mio comportamento in certe situazioni!” [ride], “Dovrei provare empatia per questo personaggio? È normale che trovi così facile interpretarlo?”.
Per quanto riguarda la serie “Ten Percent”, è stato “semplice” per te identificarti in quel mondo, in quanto attore?
Sì, beh, è stato strano! Il set di quello show sembrava tanto l’ufficio del mio agente. È una riproduzione così accurata, così come lo sono i personaggi. C’erano attori fantastici che interpretavano personaggi visti e rivisti negli uffici dei miei agenti e incontrati un sacco di volte, quindi è stato davvero bizzarro e anche divertente. Anche se nella serie non interpreto un attore (sono uno scrittore), sono comunque riuscito a identificarmi con la sensazione di essere un artista nel mondo di un’agenzia in cui è tutto solo numeri, computer, email, commissioni…
È così ben scritto e accurato da far paura a volte!
Fai anche parte del cast di “My Lady Jane”: c’è qualcosa che puoi rivelarci sul progetto?
Secondo me, sarà uno spasso. La sceneggiatura è molto divertente, e questo è sempre un ottimo inizio. A volte, certe sceneggiature che ti mandano sono faticose da leggere, ma questa non lo è stata per niente. Amo la televisione che non si prende troppo sul serio e amo la televisione che vuole ampliare i propri confini e adottare un approccio fresco e simpatico, e credo che questa serie sarà un insieme di queste cose e non vedo l’ora di darci dentro. È anche un genere che, sebbene sia già stato portato sullo schermo in passato, è da un bel po’ che non lo vediamo per bene, ossia una commedia in costume molto auto-cosciente, con lo stile di un bel racconto, che ricorda un po’ “La storia fantastica”.
Secondo me sarà molto divertente, e ci ho messo il cuore, quindi non vedo l’ora che la gente possa rendersene conto.
“Amo la televisione che vuole ampliare i propri confini”
Cos’è che ti fa ridere più di ogni altra cosa?
Trovo super divertenti le serie oneste e sincere. Ho da poco iniziato a guardare uno show su Channel 4 che si chiama “Big Boys”: è un memoir molto sincero e onesto di questo ragazzo che fa lo scrittore e il comico, Jack Rooke. Ha praticamente trasformato la sua università in una serie tv e la cosa più divertente è l’onestà dell’approccio. È rappresentata in modo davvero simpatico, con improvvisi capovolgimenti e svolte, momenti commuoventi e altri super divertenti. È fatta benissimo proprio perché tutti quanti possono immedesimarsi, per il modo in cui racconta la crescita umana, e per il suo realismo.
Quindi, ciò che mi fa ridere di più in assoluto è la commedia naturalistica.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Mi piace far finta di essere un ribelle, ma in realtà spesso infrangere le regole mi rende un po’ nervoso.
Ad ogni modo, ricordo di una volta in cui dovevo pubblicizzare un paio di stivali per un brand, e sono stato licenziato perché i miei post su Instagram sono stati giudicati inappropriati per gli stivali e il loro orientamento pubblicitario. Io mi sono rifiutato di cambiare per loro perché ho un modo molto specifico in cui mi piace comportarmi soprattutto sui social. Sono fiero di me stesso per aver tenuto duro e non aver postato qualcosa come una foto di me e gli stivali con la caption “Adoro i miei stivali!”. Quello è stato un atto di ribellione. Ho dovuto eliminare i miei post su Instagram che ne parlavano, certo, perché non approvavano le mie foto nudo nel letto con solo gli stivali addosso, anche se avevano attirato un sacco di attenzione nel breve lasso di tempo in cui erano stati online. Questo episodio mi ha fatto capire ciò che voglio e non voglio fare nel contesto pubblicitario, mi ha aiutato a capire che voglio solo fare cose di cui mi importa, perché sono un attore, non un influencer.
“Spesso infrangere le regole mi rende un po’ nervoso”.
Un personaggio realmente esistito che ti piacerebbe interpretare?
Invidio sempre chi interpreta biopic musicali! Mi piacerebbe interpretare una rockstar, non so quale, ma penso sarebbe divertente. Ho fatto un’audizione per interpretare Mick Jagger, un bel po’ di tempo fa. Mi piacerebbe interpretare Robert Smith dei The Cure, ma non penso di avere l’aspetto adatto; però, adoro i The Cure e lui mi piace un sacco, lo trovo così interessante e simpatico, e sarebbe divertente anche per come si vestiva negli anni ’80, sarebbe uno spasso indossare quei costumi. Mi dicono sempre che dovrei interpretare il cantante della band Australiana INXS, Michael Hutchence.
Sarebbe bellissimo fare un film su quel mondo negli anni ‘70/’80. Quindi, ora non mi resta che aspettare la giusta rockstar!
Scrivi mai cose tue?
Qualche volta! Niente di troppo serio, ma, prima o poi mi piacerebbe lanciarmi in qualcosa del genere. Ora, però, lo sto facendo a modo mio, a piccoli passi. Lo trovo molto stressante, soprattutto far leggere ad altri le cose che ho scritto, ma è anche divertente e bello. Quindi, voglio decisamente continuare a farlo.
Qual è la tua isola felice?
La mia isola felice è la vasca da bagno di casa mia.
Abbiamo avuto una gran fortuna con il bagno, a casa nostra: era appena stato rifatto quando l’abbiamo affittata, ed ha questa enorme vasca che noi non ci meritiamo, ma intanto ce l’abbiamo ed è molto grande e profonda. Io condivido la casa con cinque persone, e ogni volta tutti ci diciamo: “Dobbiamo smettere di farci il bagno così spesso” [ride]. Quando fai l’attore, e sei disoccupato e non hai molto da fare nel corso della giornata, è dura resistere alla tentazione di fare almeno due bagni al giorno. Ma, sai com’è, venendo dalla vita da studente, abituato alle docce più merdose in assoluto, avere ora la fortuna di un bagno del genere, con una vasca del genere, è una gran cosa. Adoro le vasche da bagno, quando arrivo in una stanza d’hotel, la prima cosa che faccio è controllare che ci sia la vasca, e se invece c’è la doccia, impreco. Quindi, ecco la mia isola felice.
Photos by Johnny Carrano.
Grooming by Christopher Gatt.
Styling by Annabel Lucey.
Styling assistant: Rebecca Evanswhite.
Location Stamford Works.
LOOK 1
Suit: MITHRIDATE
T-Shirt: Basic Rights
Shoes: Grenson
Necklace: Ruddock
LOOK 2
Suit: Kaushik Velendra
Necklace: Serge DeNimes
Shoes: Grenson
Bracelet: Tilly Sveaas
LOOK 3
Jacket: Jen Lee
Jeans: MITHRIDATE
Vest: Stylist’s own
Earings: Ruddock
Boots: Kelly Harrington X Grenson
Necklace: Ruddock
Rings: Tilly Sveaas
Bracket: Ruddock
LOOK 4
Jumper: Igor Dieryck
Jeans: Igor Dieryck
Shoes: Toga
Vest: Stylist’s Own