Soudade Kaadan è una narratrice visionaria e una sognatrice senza posa. L’abbiamo incontrata in occasione della première di “Nezouh”, il suo primo lungometraggio in concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti, e abbiamo chiacchierato di storytelling e della vita a Damasco durante la guerra.
Una conversazione stimolante sulla società Siriana, patriarcale ma a suo modo innovativa, e di “allucinazioni marine”, che sopraggiungono quando la realtà si fa troppo spaventosa e i sogni restano l’unica via di fuga.
Bombe su Damasco, una famiglia siriana estremamente tradizionale, una dolce storia d’amore sullo sfondo: com’è nata l’idea di raccontare questa storia?
È iniziato tutto da una foto che ho visto e che ritraeva la Siria: era il ritratto di una casa distrutta con un buco sul soffitto da cui si vedeva il cielo, e il cielo era piano di stelle. Ho pensato fosse un bellissimo soffitto, e una bellissima scena. Sai, dopo questi ultimi anni che abbiamo passato, adesso possiamo iniziare a riconoscere la bellezza della vita e apprezzarla di più, e io volevo dimostrare come la bellezza, la creatività, la tragedia, le risate e i piani possano convivere e diventare anche più intensi.
Zeina è una ragazza dei nostri tempi, le piace disegnare robot, ballare canzoni pop nella sua cameretta, e sogna l’indipendenza dagli uomini, soprattutto da suo padre e dal ragazzo con cui si vede di nascosto: c’è qualcosa di te stessa, della tua adolescenza, in lei? Le famiglie siriane conservano ancora questi ruoli e regole tradizionaliste?
Siamo una società tradizionalista, ma la guerra ci ha cambiati un po’, perché quando gli uomini dovevano andare a combattere, chi rimaneva a proteggere la casa, prendere decisioni, badare alla famiglia, uscire a procacciarsi cibo, lavoro e soldi? Le donne!
Di solito, la situazione è molto strana: nonostante la nostra sia una società patriarcale e tradizionalista, le donne sono diventate più forti. Ho notato questo cambiamento nella vita reale e ho voluto mostrarlo nel film. Ho voluto dimostrare come la nostra società è chiusa e protettiva, ma allo stesso tempo amichevole e sempre più aperta al mondo.
Sono un’autodidatta, quindi, quando scrivo, prendo spunto dalla mia personalità: c’è un sacco di Zeina in quello che ho fatto, quello che ho vissuto, quello che provo, ma c’è anche un sacco di finzione nel processo di costruzione della storia. Durante la guerra, infatti, io avevo 30 anni, mentre Zeina ne ha 15, quindi è evidente che la storia deriva da una combinazione di creatività e realismo.
“Ho voluto dimostrare come la nostra società è chiusa e protettiva, ma allo stesso tempo amichevole e sempre più aperta al mondo”.
Le donne del film sono affascinate e ossessionate dall’acqua, cosa che mi ha incuriosita molto; ho adorato la scena in cui Zeina e sua madre hanno quella specie di allucinazione in cui lanciano dei sassi in quella che sembra essere una pozzanghera ma in realtà è il cielo. Cosa significa questa immagine? Qual è il tuo rapporto con l’acqua?
Che bella domanda!
Sai, non ho voluto tradurre il titolo “Nezouh” perché il suo significato letterale è “spostamento di acque e di persone” e io volevo raffigurare il movimento e come il movimento sia qualcosa di fresco e nuovo e fonte di speranza per le persone. A Damasco, il fiume è un elemento fondamentale per lo spirito della città, abbiamo un sacco di miti sul fiume, ma non abbiamo il mare; quando me ne sono andata dalla Siria alla fine della guerra, la prima cosa che ho fatto è stata andare a Beirut, che si trova vicino al mare. Inoltre, ho sempre voluto parlare di come il mare venisse visto come un qualcosa di mitico, utopico durante la guerra, e spiegare l’origine della decisione spesso molto insensata di viaggiare con i propri bambini attraverso il mare, che è molto rischioso. È come la migrazione degli uccelli, che si seguono a vicenda, sperando di approdare in nuove terre, in nuovi scenari. A volte, quando sei traumatizzato e la realtà diventa spaventosa, e non c’è possibilità di evadere, non c’è soluzione alla tua situazione, i sogni sono la via di fuga. Ho sempre pensato che scegliere il mare in un Paese in cui praticamente non ce n’è traccia, è quasi come realizzare un sogno, se sei un rifugiato, perché rappresenta una realtà che non abbiamo.
Ecco perché il film è una combinazione di magia e realismo, con il cielo che diventa mare o pozzanghera, è un concetto!
Quando ho finito di scrivere la sceneggiatura, l’ho inviata ad un attivista di Damasco, perché volevo chiedergli se secondo lui fosse autentica e se tutti i dettagli che avevo inserito fossero accurati e se avessi sbagliato qualcosa a livello di linguaggio. Dopo averla letta, mi ha soltanto detto “L’immagine del mare è reale”, anche se io non gli avevo chiesto un riscontro sulla parte del mare! Ma lui mi ha detto, “Per noi, il mare è un’allucinazione: quando non vogliamo più vedere la realtà, iniziamo a vedere il mare”. Da regista e narratrice, non mi sarei mai aspettata di parlare di realismo magico! E poi, ti ricordi la scena della donna vestita in nero a cui Zeina e sua madre chiedono indicazioni quando cercano di scappare? Durante i casting, c’erano un sacco di candidate e con una donna è successa questa cosa: le abbiamo chiesto, “Dov’è il mare?” e lei ha risposto esattamente le stesse battute del dialogo del film, che è praticamente la scena più realistica che abbiamo.
La musica è terapeutica nel film: qual è la canzone che ascolti quando ti senti particolarmente nervosa o spaventata?
Adoro ascoltare musica jazz, motivo per cui in una scena del film i personaggi ballano su una canzone jazz. Amo mescolare le culture, musica jazz, orientale, tradizionale e nuova. Nel film c’è anche una canzone che parla di un attacco bomba, che racconta con una melodia forte e allegra un evento molto tragico, e gli autori sono dei giovani musicisti che cercano di spiegare cosa pensano della guerra: questo è il modo più bello e piacevole di parlare di certi argomenti.
Ho scelto di mettere tre canzoni nel film: quella jazz, quella pop sul bombardamento, e una canzone intitolata “Damasco” che parla di pesci, uccelli, e libertà e della perdita dei cari quando il cantante ha lasciato il Paese.
Photos by Luca Ortolani.