Una storia vera e assurda in un momento altrettanto assurdo della storia umana: “The Greatest Beer Run Ever”, diretto e co-scritto da Peter Farrelly, si può riassumere così, un film di guerra tragicomico su un’impensabile missione vietnamita.
Ai tempi della guerra, infatti, un uomo di nome Chickie Donahue decise di partire per il Vietnam e oltrepassare i confini del Paese per salvare i suoi amici soldati dalla tristezza militare con una sacca piena di birra: Farrelly ha trasformato questo episodio della guerra in Vietnam in un espediente per raccontare una storia di amicizia, lealtà e compassione.
Abbiamo chiacchierato con Will Ropp della sua esperienza su questo set nei panni di Kevin McLoone, uno degli amici di Chickie, in cui si imbatte mentre quest’ultimo sta cercando di tornare a casa a New York. Riconoscendo il ruolo vitale dell’amicizia e dei compromessi nella vita, Will ha imparato a guardare il mondo da una prospettiva diversa e più ottimista.
So che sei un cinefilo: qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Mio padre è un cinefilo di vecchio stampo, e quando ero piccolo facevamo sempre le nostre serate cinema; i primi film sono stati “2001: Odissea nello spazio”, “Flash Gordon”, “Indiana Jones”, “Star Wars” – credo che la sua strategia fosse semplicemente mostrarci ciò che gli piaceva. Io però quelle cose non le ho mai davvero apprezzate finché non ho iniziato a recitare. Immagino che mio padre mi abbia fatto scoprire un sacco di cose belle sin da subito, e adesso sicuramente lo apprezzo.
“The Greatest Beer Run Ever” trasforma un capitolo molto dark e controverso della storia americana – la guerra del Vietnam – in una commedia sull’amicizia e l’importanza di scendere a compromessi. Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura?
La prima volta che ho letto la sceneggiatura, ricordo di aver pensato a quanto incredibile fosse il fatto che questa storia sia successa davvero. È un racconto che trascende la politica e parla di amicizia, lealtà e compassione. A prescindere dalla fazione per cui parteggi, l’amicizia vince sulla guerra.
La storia è incentrata sul viaggio di John “Chickie” Donohue in Vietnam per portare birre ai suoi amici soldati e contribuire a modo suo alla guerra. Tu interpreti Kevin McLoone, uno degli amici di Chickie, in cui si imbatte in un momento critico del tentativo di quest’ultimo di tornare a casa a New York. In che modo hai approcciato il tuo personaggio? Come ti sei preparato, considerate anche le scene piuttosto dinamiche di cui sei protagonista?
In pratica, ho guardato tutti i film sulla guerra in Vietnam che sono riuscito a trovare. Abbiamo dovuto fare una quarantena di due settimane in una stanza d’hotel quando siamo arrivati in Tailandia, quindi quella è stata una scusa eccellente per non fare altro se non guardare robe. Ho iniziato con la docu-serie in 10 episodi di the Ken Burns, che consiglio a CHIUNQUE voglia approfondire la propria conoscenza della guerra del Vietnam. Poi sono passato a film di stampo più narrativo come “Platoon,” “Full Metal Jacket,” “Apocalypse Now,” “Good Morning Vietnam”, ecc.
Poi, abbiamo anche lavorato (via Zoom) con un coach di dialetto mentre eravamo in quarantena per raffinare i nostri accenti newyorkesi. È stata una sfida, senza dubbio, ma anche una bella soddisfazione quando poi abbiamo visto il risultato sullo schermo.
Il film, dunque, è ispirato ad una storia vera: nel 1967, Chickie Donahue è davvero andato in Vietnam con una nave mercantile della Marina e ha cercato di entrare nel Paese con una sacca piena di birre. In che modo la tua esperienza sul set e la tua performance sono state influenzate dalle informazioni che abbiamo a disposizione sulla storia e dal libro che è stato anche scritto su questo episodio?
Beh, prima di tutto è un’enorme responsabilità interpretare persone realmente esistite. Io pensavo sempre al fatto che TUTTI i loro familiari, amici, nipoti e pronipoti avrebbero guardato il film, quindi ci tenevo a farlo bene. È stato utile avere una fonte testuale come base di cui tener conto durante le riprese. Ho imparato molte cose sulla storia di Chickie e McLoone grazie al libro. Poi, quando li abbiamo conosciuti di persona, ho approfondito ancora di più la loro esperienza della guerra e sono entrato nella loro testa.
Quindi hai incontrato il vero Kevin McLoone: è successo prima o dopo le riprese?
Purtroppo è successo dopo le riprese. Ci siamo conosciuti durante le attività promozionali per il film a Toronto. Nonostante ciò, comunque, è stato un onore incontrare i ragazzi che si sono davvero imbarcati in questo viaggio assurdo. Avevano tutti personalità ben definite, uniche, ed è stato facile capire perché siano tutti rimasti amici per decenni. Continuano a prendersi in giro a vicenda, si stuzzicano, e rievocano i tempi della guerra.
La mia unica speranza è di poter avere la fortuna di stringere amicizie che durino una vita, come la loro.
“È stato un onore incontrare i ragazzi che si sono davvero imbarcati in questo viaggio assurdo. Avevano tutti personalità ben definite, uniche…”
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso interpretando Kevin?
Ho imparato ad apprezzare la mia vita così com’è molto di più di prima.
A noi, infatti, non tocca combattere una guerra a mille miglia di distanza da casa, lontani dai nostri amici e parenti. La gente che ha combattuto in quella guerra ha dovuto fare sacrifici immensi, a prescindere dal lato politico del conflitto. Ora, nutro un gran rispetto per chiunque faccia parte delle forze armate; aiuta davvero a vedere il mondo con una prospettiva diversa. E così, le cose che mi danno fastidio o che mi fanno soffrire nella mia vita personale non sembrano significare niente quando le paragoni a quello che questi giovani hanno passato in Vietnam.
Il film parla (e scherza) del trionfo dell’ottimismo ostinato anche nello scenario peggiore: tu hai un approccio più ottimista o pessimista nei confronti delle sfide, sia a lavoro sia nella vita?
Io mi considero decisamente un ottimista (o faccio del mio meglio per esserlo). Penso che essere ottimista sia meglio per la tua salute mentale, e anche se il risultato poi non è quello che ti aspettavi, il viaggio sarà molto più soddisfacente se pieno di ottimismo e positività.
Chickie non sembra rendersi conto di quanto sia rischioso quello che sta facendo. Qual è il più grande rischio a cui tu sia andato incontro?
Non credo di aver mai corso un rischio grande quanto quello di Chickie. Se ci penso comunque, forse il più grande è stato decidere di guadagnarmi da vivere facendo l’attore? Le statistiche di certo non sono in tuo favore, quindi è un po’ un lancio di dadi alla fine. Ma fare qualcosa come ciò che ha fatto Chickie, è tutta un’altra storia.
“The Greatest Beer Run Ever” racconta una gran bella storia di amicizia, dimostrando come anche il più piccolo dei gesti potesse fare la differenza, far sentire le persone sicure, e fargli sentire il loro supporto. Cosa compone la tua rete di supporto invece?
Credo che (un po’ com’è anche per Chickie) la mia rete di supporto è composta da i miei amici e dalla mia famiglia. Sono molto legato alla mia famiglia e so che posso sempre contare su di loro durante i momenti difficili. Vale lo stesso per i miei amici: sono sempre lì per me se ne ho bisogno.
Qual è il consiglio migliore e il peggiore che ti abbiano mai dato?
Il consiglio migliore: chiedi perdono, e non il permesso. Il consiglio peggiore: superalcolici prima della birra e vai sul sicuro.
Il tuo ultimo binge-watch?
“Better Call Saul”.
Qual è il tuo must-have sul set?
Caffè. Tanto caffè.
Un epic fail sul set?
Probabilmente è in arrivo… Lo sento.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Quando ho detto a mio padre che volevo fare l’attore.
Qual è la tua paura più grande?
Perdere il senno.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Sapere chi sei, cosa vuoi, e cosa vogliono le persone intorno a te.
Qual è la tua isola felice?
Ann Arbor, in Michigan, un sabato di pre-partita.
Photos by Ryan Orange.