“Le cose per essere veramente aggiustate vanno rotte”.
Beatrice Grannò si racconta con noi tra razionalità ed emozione, tra canto e recitazione, tra un film francese realista e una serie teen.
Beatrice è ora Mia in “The White Lotus” su HBO (e Sky Atlantic), un’esperienza incredibile che le ha permesso di mettersi alla prova e di sentirsi libera di darsi in un qualcosa che non aveva mai provato prima. La sua voce è una di quelle da ascoltare con attenzione, non solo per ciò che dice e come lo fa, ma per la musica che crea e quello che trasmette tramite questa.
Per noi Beatrice è un’amica, una cantante, un’attrice straordinaria e un’anima saggia, che ha capito quanto a volte basti una sola carezza per far sentire la propria voce. E che, per rompere le regole, esistono le piccole rivoluzioni.
Ci siamo conosciuti fra i tetti di Roma due anni fa, e poi ci siamo rincontrati a Milano ma sempre con la musica come filo conduttore. Com’è cambiata Beatrice in questi due anni sia personalmente che professionalmente?
Mi sembra assurdo se penso alla volta in cui ci siamo conosciuti, due anni fa, a casa mia, con quel vestito verde e l’ukulele, mi sembra una vita fa ma mi sembra anche ieri. Ho una concezione del tempo un po’ altalenante, forse c’entra la pandemia o forse è perché veramente sono successe tante cose: non so sinceramente come sono cambiata e se sono cambiata. Sicuramente, ho acquisito molta più consapevolezza rispetto al mio lavoro: oggi mi sento più centrata, però questa stessa cosa la dicevo anche due anni fa! [ride] C’è una parte di me che ha un po’ paura di dire che sono cambiata, perché il cambiamento fa sempre paura, ovvero crescere, diventare qualcosa di diverso e, di conseguenza, lasciarsi alle spalle qualcosa. Però, sono molto fiera di dove sono oggi. Se avessi detto alla me di due anni fa, quando ci siamo conosciuti, tutto quello che avrei ottenuto nel giro di due anni, non lo so se ci avrei creduto.
“The White Lotus” è ormai una serie cult: che gioia è stato farne parte? Ti ricordi il tuo primo giorno sul set?
“The White Lotus” è stato uno dei più grandi cambiamenti avvenuti in questi anni, non me lo sarei mai aspettato, è un progetto arrivato nella mia vita come un meteorite, l’ha completamente stravolta. Tutt’ora, mi sento dentro un frullatore. È arrivato ad una grandissima velocità, perché una volta che la produzione e il regista mi hanno confermato che avevo ottenuto la parte, io tempo una settimana ed ero già a Taormina a girare. È stato veloce, ma bellissimo ed emozionante.
Ricordo il primo giorno di set, in cui mi sono detta che ero contenta di essere parte di una commedia, dove potevo mettere in gioco cose che non avevo mai messo in gioco. Mi sono un po’ sentita come se stessi tornando indietro nel tempo, perché l’inglese è la lingua con la quale ho imparato a recitare e, soprattutto, con la mia compagnia di teatro facciamo commedia, quindi mi è sembrato di ritornare in quelle vesti del passato, di ritornare a Londra, e ricordo di aver pensato, “in questo momento devo essere libera, devo permettermi di essere ‘stupida’ sul set”, ma in senso positivo: senza giudizio, non troppo intelligente, per non auto-analizzarmi troppo ma essere libera nel fare qualsiasi cosa. È la chiave di questo progetto, e sono contenta, ero veramente felicissima.
“…per non auto-analizzarmi troppo ma essere libera nel fare qualsiasi cosa”.
Una domanda classica: com’è stato girare il tuo primo progetto internazionale? Come cambia la cura nella creazione dei personaggi rispetto ad altri set?
Io una differenza l’ho percepita: non ti so dire se questa differenza fosse legata al fatto che stessi girando un progetto internazionale, oppure al fatto che “The White Lotus” è veramente una serie speciale e quindi richiedeva una certa cura e tutela di tutta la parte artistica, dalla fotografia al suono alla recitazione. Ad ogni modo, ho sentito che c’era un’attenzione che ancora non avevo mai trovato altrove; non voglio dire che in Italia quest’attenzione non ci sia, anzi, in tanti progetti, come ne “Gli Indifferenti”, ho incontrato una grande delicatezza e grazia nel voler raccontare la storia. Ma, sul set “The White Lotus”, questo elemento era tanto presente.
Una grande, effettiva diversità che ho notato riguarda la figura dell’intimacy coordinator, che non avevo mai conosciuto in Italia: si tratta di una persona che sul set si occupa di prendersi cura di tutte le scene intime, di nudo, scene in cui l’attore si può sentire a disagio; avere quel tipo di figura ti permette di essere tutelato, dire se qualcosa non va bene, ed è stata una grandissima scoperta. Ora, se mai in Italia dovesse capitarmi di girare una scena di quel tipo, forse richiederei la presenza di questa figura sul set, perché penso sia molto importante.
La chimica tra te e Simona Tabasco è più che evidente; come avete lavorato insieme voi due e con Mike White per costruire di dinamiche tra i vostri personaggi?
Lavorare con Simona è bellissimo, ci siamo divertite da morire. Ormai siamo legate a vita; poi, noi ci portavamo dietro un bagaglio importante, ovvero l’esperienza di “Doc”. Un giorno, proprio mentre stavamo girando “Doc”, Simona mi chiama e mi dice: “Senti Bea, io ho bisogno di una spalla inglese, perché devo fare un self-tape per ‘The White Lotus’”; io mi sono subito emozionata e le ho detto: “Ma io l’ho appena fatto per l’altro personaggio, per Mia, quindi sì, lo facciamo insieme!”. Sono andata a casa sua e mi ricordo che ci siamo divertite tantissimo, al punto che ho detto: “Voglio rifare il mio self-tape perché con te funziona, mi diverto!”. Quindi alla fine abbiamo mandato tutt’e due questo self-tape e ci siamo dette, “non succederà mai, ma se succede, ti immagini io e te a Taormina a fare ‘sta cosa’?”. E poi è successo!
Io e Simona ci siamo molto unite durante “The White Lotus”, e la cosa più divertente è che Mike ci ha lasciato molto spazio di improvvisazione, e io e lei, quando Mike ci dava il via, ci inventavamo mille giochi, stavamo sempre a ridere, è stato veramente un bel regalo.
Mia all’inizio sembra apparire un po’ ingenua, assistiamo poi all’evoluzione del suo personaggio, che diventa sempre più disincantato e disposto a raggiungere compromessi estremi pur di ottenere ciò che vuole. Una storia sentita molte, moltissime volte, ma quanto è attuale secondo te?
È molto interessante questa visione del personaggio di Mia come una ragazza incantata che per forza si deve disincantare per realizzare i suoi sogni e per ottenere ciò che vuole. Sembrerebbe un po’ lo specchio della donna che deve rompersi e rinunciare alla sua delicatezza, alla sua grazia, pur di arrivare dove vuole. Però, allo stesso tempo, non sono del tutto d’accordo; questo “incanto” secondo me è più un blocco: all’inizio, Mia è una ragazza molto bloccata, che non riesce ad essere del tutto libera come Lucia, ed è proprio Lucia a trainarla, è la sua energia che la ispira, che la porta dentro, ed una volta che è dentro, le si apre davanti uno squarcio di realtà e di possibilità che fino a quel momento non aveva considerato.
C’è un momento specifico nella serie, nell’episodio della serata insieme a Ethan e Cameron, dove Mia e Lucia sono sedute in piscina l’una di fronte all’altra, e secondo me è un momento magico, in cui loro si guardano e per un attimo si scambiano tipo in “Quel pazzo venerdì”: Lucia inizia a dubitare di quello che sta facendo, si sente in colpa, e perde quella sua freschezza e libertà che la caratterizza, mentre Mia le acquista e allora è come se si ribaltassero, è come se fossero due facce di una stessa medaglia. Lucia ruba da Mia la grazia, la dolcezza e la paura, per far innamorare Albie e quindi ottenere ciò che vuole, mentre Mia ruba da Lucia l’energia per riuscire ad ottenere quello che cerca, quindi una maggiore consapevolezza del suo corpo e delle sue possibilità.
Nella serie ci sono sicuramente tanti riferimenti che rimandano ad una critica sociale rispetto alla figura della donna, al potere e al sesso; tuttavia, ho notato che c’è un interesse diffuso a cercare di trovare una morale, un’importanza nei personaggi di Mia e Lucia rispetto alla figura della donna, che sicuramente c’è, ma alla fine non è lo scopo di questi due personaggi. È vero, Lucia è una ragazza che si prostituisce per essere ricca, Mia è una ragazza che si dà per cercare di essere una musicista, però alla fine dei conti io penso che Lucia e Mia siano come due fatine o “streghe” messe all’interno di questa storia per sovvertire gli equilibri; è come se fossero due biglie lanciate ad una velocità potentissima dentro questo albergo che buttano giù tutti i gruppi e tutte le situazioni come fossero birilli. Però, nel farlo, in fondo, nel rompere tutti questi equilibri, hanno in un certo senso anche cominciato ad aggiustarli: è come se avessero smascherato tutti i problemi che esistevano. Per esempio, è grazie a Lucia che Ethan riesce a ritrovare una connessione con Harper, dato che quella coppia aveva bisogno di quel pericolo per riuscire a ritrovare la propria intimità, così come Albie che aveva bisogno di quella lezione, o Valentina che aveva bisogno di riscoprire la sua sessualità e di lasciarsi andare; quindi quando Mia e Lucia arrivano, distruggono tutto, però poi alla fine ricostruiscono tutto, in un certo senso. La lezione da imparare, secondo me, da questi due personaggi è che le cose per essere veramente aggiustate vanno rotte, o comunque esposte a degli elementi esterni, soprattutto se sono cristallizzate in dinamiche bloccate.
“le cose per essere veramente aggiustate vanno rotte”
Questa stagione di “The White Lotus” si sofferma in particolare sulla tematica del tradimento, declinata attraverso più coppie di personaggi, in varie manifestazioni e con diverse conseguenze per ciascun nucleo narrativo: qual è per te la forma di tradimento più inaccettabile, sia tra quelle raccontate nella serie che in termini assoluti?
Domanda difficile, non saprei dirti quale forma di tradimento trovo inaccettabile, perché in realtà va un po’ contro la mia personalità. Ho provato a pensarci: forse in amore, forse in amicizia, forse in famiglia? Non lo so, perché penso sempre che dietro ogni tradimento, dietro ogni dolore, ci sia sempre qualcosa di più profondo, una spiegazione, una motivazione, che può nascere dalla cattiveria, in alcuni casi, ma nella maggior parte dei casi da un bisogno, quindi faccio fatica.
Credo che il tradimento, la non trasparenza, e tutte queste parti ambigue della personalità, che magari si vedono e non si vedono, facciano parte dell’essere umano. Non si può essere fedeli sempre, continuamente, ci sono dei momenti in cui bisogna cadere, affrontare delle situazioni più difficili, e “The White Lotus” ne è un esempio: sia il personaggio di Ethan che quello di Harper si lanciano, tradiscono, in un certo senso, l’onestà della loro relazione, ma lo fanno perché hanno bisogno di risvegliare qualcosa che non c’è più. Non è detto, però, che quella sia l’unica strada.
In realtà, non so se è proprio una forma di tradimento, ma è sicuramente qualcosa di inaccettabile: mi ferisce sempre tanto quando, durante una condivisione di idee artistiche, o quando vengo coinvolta per supportare un progetto e mi vengono chieste delle idee, poi mi ritrovo abbandonata, con gli altri che vanno avanti con le mie idee artistiche ma senza di me, prendendosi quello che io ho dato. Questa per me è una grande forma di tradimento, perché in un certo senso sento che delle persone hanno preso cose da me e le hanno fatte loro senza coinvolgermi, quasi come se non si rendessero conto che sono stata io a porgergliele.
In “The White Lotus” si parla anche di vivere le vacanze come avventure, come bolle spazio-temporali in cui trasformarsi ed essere una versione di noi che abbiamo spesso sognato, ma che per un motivo o per l’altro nella quotidianità non abbiamo mai l’occasione o il coraggio di essere: tu, in vacanza, in chi ti trasformi?
Ogni tanto per staccare vado due o tre giorni fuori, ma una vera e propria vacanza non la faccio da tempo, quindi forse neanche mi ricordo più come ci si sente. Sicuramente, riesco a connettermi con l’idea di aspettativa che ho di me stessa prima di andare in vacanza: nei giorni prima di partire, mi immagino lì e immagino come sarò, quello che penserò, cosa vivrò, e spesso quest’aspettativa, questo sogno di essere quella cosa che in quel momento non sai cos’è, alimenta il desiderio di andarci. Però una volta che sono lì poi sono me stessa, non credo di trasformarmi in qualcosa di diverso.
Per forza di cose, quando sei fuori e sei lontano da casa, crolla un po’ tutto, si abbassano le difese e riesci a goderti tutto quanto, perché non hai la responsabilità di casa tua. Ogni volta che torno a casa mia a Roma, anche se ho un giorno libero, ci sono sempre mille cose che devo fare, per esempio. Qualche settimana fa sono stata a Londra, perché dovevo fare uno spettacolo con la mia compagnia, e quei giorni lì mi svegliavo e l’unica cosa di cui dovevo preoccuparmi era andare a fare le prove a teatro.
Quindi, quando vado in vacanza sicuramente mi trasformo in una versione di me molto più morbida, molto più aperta a tutto quello che succede, senza il peso delle cose da fare.
Tendi ad essere più istintiva o razionale quando approcci i tuoi personaggi?
Fino a poco tempo fa ti avrei risposto immediatamente “razionale”, però ad oggi si è aperto qualcosa di nuovo dentro di me: ora sto veramente lasciando tanto spazio anche all’istinto, cosa che prima non riuscivo a domare, non riuscivo a far entrare quando e come volevo. Oggi, invece, sento che l’istintività è molto più presente dentro di me, quindi ti rispondo “istintiva”, ma è la prima volta che dico una cosa del genere.
Forse, il motivo per cui ultimamente mi sento un’attrice più istintiva è perché la musica sta occupando una parte sempre più grande della mia vita, si sta facendo sempre più spazio. Con la recitazione io ho sempre avuto un approccio estremamente razionale, mentre con la musica questa razionalità e stabilità non riesco a trovarla, ogni volta che mi devo esibire e devo suonare, entrano in gioco degli elementi emotivi quasi inafferrabili che io non riesco a controllare del tutto. Sono molto più vulnerabile quando mi approccio alla musica, molto più emotiva e quindi istintiva, e questa componente della musica è ciò che un po’ mi spaventa, ma che mi dà anche tantissima energia. Prima dei concerti vorrei sotterrarmi, sento di non avere idea di ciò a cui io stia andando incontro, mentre con la recitazione, da sempre, ho avuto una grande razionalità e un grande controllo. Sicuramente, la presenza di questa parte istintiva anche nella recitazione è una cosa che sento tanto in questo momento, quindi chissà.
“Ogni volta che mi devo esibire e devo suonare, entrano in gioco degli elementi emotivi quasi inafferrabili che io non riesco a controllare del tutto”.
Qual è il genere cinematografico che più ti piace guardare e quello che più ti piace interpretare invece?
Il genere che mi ha sempre affascinata e nel quale sogno di lavorare, perché ancora non ho avuto un’occasione chiara per farlo – a parte con “Mi chiedo quando ti mancherò”, che aveva un po’ quell’energia – è il realismo, ovvero l’estetica di film come “The Florida Project”, o “Rosetta” di Dardenne. Quando di un attore non riesci a valutare del tutto la performance perché il film è poco performativo, ma è tutto molto realistico e spontaneo al punto che ti dimentichi della performance e ti fai trasportare dalla storia, mi piace tantissimo, e penso anche di poter dare a livello artistico in quel mondo più che in altre situazioni.
Un genere che mi piace guardare… Se volessi essere intellettuale, ti risponderei la stessa cosa, che mi piace da morire il cinema francese, quello realistico di cui abbiamo appena parlato, però la realtà dei fatti è che quando mi butto sul divano, la sera, accendo Netflix e mi guardo le serie teen.
Il tuo ultimo binge-watch?
“Succession”.
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Ieri sera il supplì che avevo ordinato aveva il ripieno freddo. Ho sbattuto i pugni e me ne hanno portato un altro. Per me, grande atto ribellione.
E il più bel vaffanculo della tua vita?
Non riesco a mettere a fuoco un grande vaffanculo come blocco unico. Forse lo devo ancora dare o forse direi che nella mia vita cerco di centellinare piccole rivolte per scegliere il male minore, dei piccoli vaffanculo di tanto in tanto migliorano la qualità della vita, anche se per me non è sempre facile andarmene da una conversazione senza essermi prima assicurata che dall’altra parte sia tutto a posto.
“Nella mia vita cerco di centellinare piccole rivolte per scegliere il male minore”.
L’altra volta ti abbiamo chiesto l’ultima bugia che avevi raccontato, oggi ti chiediamo l’ultima bugia che hai raccontato a te stessa?
Amo la notte, è il momento in cui nessuno mi cerca, né mi trova, quindi mi sento libera e piena di spinte. Purtroppo, però, è anche il momento in cui si dovrebbe dormire, ma il sonno non è stato mai il mio forte. A volte fingo di dormire: se racconto una bugia al mio corpo, magari questo ci casca e mi addormento per davvero. A volte funziona, a volte mi sembra di recitare anche la notte. In fondo, ognuno di noi prima di andare a dormire, finge di farlo.
C’è un rituale, un’abitudine, un qualcosa che fai di routine che ti aiuta a star bene con te stessa, a mantenere i piedi per terra, a fare ordine nella tua mente? C’è chi scrive, chi medita, chi compila liste di gratitudine… Tu cosa fai?
Tante cose: pattino per Roma, suono il pianoforte… ma raramente. Il problema è ricordarsi di averne bisogno e ritagliarsi quello spazio per sé. Sto imparando a fare anche questo.
Se potessi portare in vacanza una persona a tua scelta, di qualsiasi epoca, di qualsiasi dimensione, chi sceglieresti e perché?
Dodie, perché è al momento una delle mie musiciste preferite, e ogni scusa è buona per avvicinarmi a lei e lasciarmi ispirare, magari in un roadtrip con la chitarra.
Qual è la tua isola felice? E quand’è che ti senti più al sicuro?
In una taverna a bere un bicchiere di vino con un’amica, mi sento libera e sicura quando sono avvolta dal calore di una condivisione priva di giudizio.
“Una condivisione priva di giudizio”
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa?
Ho scoperto che posso incutere timore anche con un gesto aggraziato, che posso far paura con una carezza, che non mi servono i denti e i gomiti appuntiti per ottenere ciò che desidero. Anche se non dovrei ripetermelo spesso, perché rischio di abbassare troppo il volume della mia voce e alzare quello degli altri.
Ho imparato che a volte mi serve cantare una tonalità sopra la mia per prendermi lo spazio giusto, fare lo sforzo di correre e superare tutti, e pensare alla mia corsa senza timidezza.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup and Hair by Vanessa Vastola.
Location: Davide Cafiero
Thanks to Lapalumbo Comunicazione.
LOOK 1
Dress: Art Dealer
Shoes A. Bocca
Jewels: Voodoo Jewels
LOOK 2
Top and Skirt: Antonio Marras
Shoes: Antonio Marras
Jewels: Voodoo Jewels
LOOK 3
Total Look: Missoni
Jewels: Voodoo Jewels
LOOK 4
Total Look: Antonio Marras
Shoes: Paola Venturi
Jewels: Voodoo Jewels