Elizabeth L. Cline è una stimata giornalista che ha deciso di dedicarsi alla scrittura un libro per “denunciare” e far conoscere alle persone un problema che il mondo della moda sta vivendo: lo spreco.
Elizabeth L. Cline, giornalista di New York è autrice del libro “Overdressed: The Shockingly High Cost of Cheap Fashion”, un libro che è diventato una pietra miliare sull’impatto ambientale e socioeconomico del fast fashion. Pubblicato dalla casa editrice Penguin nel 2012, il libro è stato recensito e amato da The New York Times, BusinessWeek, Publishers Weekly, Newsweek.
In questi anni è diventato così popolare che ora è disponibile in sei lingue (presto in Italia), aiutando ad educare le persone sul problema e sulla moda eco-sostenibile.
Infine, il libro è sul programma di studi di molte università e scuole superiori negli Stati Uniti e Canada, incluso il The Fashion Institute of Technology di New York.
Abbiamo avuto l’opportunità e il privilegio di intervistare Elizabeth L. Cline riguardo il suo libro, la sua opinione sulla moda al giorno d’oggi e, sui designer preferiti.
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Da dove nasce l’idea per “Overdressed: the shockingly High Cost of Cheap Fashion”? La moda sostenibile ti è sempre interessata?
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Prima di scrivere il mio libro, Overdressed, ero una fanatica della moda economica, possedevo pi di 350 capi di basso costo, e provenienti da catene come H&M, Forever 21 e Zara. Il mio guardaroba stava esplodendo per i troppi vestiti! Ed indossavo solo una minima parte di quelli che possedevo.
Come giornalista e persona curiosa, mi ero interessata ai metodi di produzione dell’industria della moda – soprattutto riguardo i metodi di vendita. Ero anche incuriosita da come la nostra consapevolezza di consumatori sia cambiata o meglio, di come si sia alterata la nostra relazione con ciò che indossiamo. La moda è passata da qualcosa di cui “facevamo tesoro” e che sfruttavamo fino in fondo, ad una produzione di bassa qualità e prezzo, che ci ha resi riluttanti di fronte ai prezzi più elevati. Ho deciso di scrivere un libro su come la mia vita, e l’industria della moda, siano cambiati.
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Se decidessimo di comprare di più in negozi come “The Salvation Army” e meno nelle catene, potrebbe questo avere un impatto positivo nel mondo della moda (e di conseguenza nelle nostre vite)?
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Comprare abiti di seconda mano è uno dei modi in cui si può rendere la moda più sostenibile. Negli USA abbiamo negozi online come thredUp, Tradey and theRealReal che vendono abiti economici rispetto a quello che valgono veramente. Ma ci sono molte altre strade che l’industria della moda può percorrere per raggiungere l’obiettivo della sostenibilità e per avere un impatto meno devastante sul mondo.
Per esempio, i brand principali dovrebbero capire come produrre senza consumare troppa acqua, riducendo l’emissione di agenti tossici, usando meno prodotti chimici ed evitando i materiali non riciclabili come il poliestere vergine. C’è un bisogno immediato di ridurre il materiale sfruttato per quanto riguarda il packaging e l’ energia e di creare dei processi di vendita più efficenti. I maggiori brand devono iniziare ad apporre questi cambiamenti e diventare maggiorente sostenibili.
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“Overdressed: the shockingly High Cost of Cheap Fashion” è un libro molto specifico e interessante. Ma il costo citato nel titolo non si riferisce solamente all’ambito monetario. Qual è il vero costo di cui si parla?
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La moda ha un grande impatto ambientale.
E’ una delle industrie che produce maggior inquinamento e che consuma grandi quantità d’acqua e di carbone fossile, con una conseguenza elevata produzione di carbone. E’ responsabile per il 5% – 10%di tutto il carbone utilizzato dall’uomo al mondo. Ed è anche uno dei settori che produce il maggiore numero di scarti. Lo spreco di abiti negli U.S. è aumentato a dismisura negli ultimi anni. La moda contribuisce in maniera massiccia all’allargarsi delle discariche.
Ma il costo è anche culturale. Abbiamo cresciuto una generazione di consumatori che fatica a riconoscere gli abiti di qualità; ciò che manca principalmente è la conoscenza e la perdita del contatto con i propri vestiti, con la loro provenienza e i loro metodi di produzione.
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È chiaro che lo shopping compulsivo sia dannoso non solo per il nostro guardaroba, ma anche per noi stessi.
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Lo shopping compulsivo è divertente nel momento in cui lo si fa. Ma gli abiti comprati di impulso sono i primi di cui ci si pente in seguito. Per creare un guardaroba funzionale di abiti che si ama, si deve semplicemente comprare con calma, scegliendo con saggezza e con cura. Ci si deve prendere i propri tempi.
Lo shopping compulsivo è ci fa provare una grande gioia, si possiedono tanti abiti che ci stanno a pennello e che riflettono chi siamo o chi vorremmo essere di fronte al mondo. E so che, come chiunque altro, che tale forma di shopping è un metodo infallibile per arrivare a possedere un guardaroba pieno di abiti che non ci piacciono veramente o che non vogliamo mai mettere.
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Moltissime persone comprano ogni giorno da negozi comes Zara, H&M e Forever 21. Nel tuo libro è chiaro l’impatto disastroso che tale azione ha sull’ambiente: secondo la tua esperienza, i brand (e noi) possiamo avere maggiore cura del nostro pianeta?
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Zara e H&M sono dei modelli per quanto riguarda la sostenibilità tra i brand più importanti. Penso che molte persone che lavorano per loro si preoccupino di tale aspetto, anche se il loro modello di business si basa sul vendere la maggior quantità di merce e sullo spingere i compratori ad acquistarla in maniera massiccia.
Zara e H&M stanno facendo dei grandi passi avanti per diventare maggiormente sostenibili. Entrambi usano il cotone organico per i loro prodotti, utilizzano pezzi di abiti riciclati e lavorano per ridurre le tossine dai loro processi produttivi e lo spreco d’acqua. Forever 21 invece ha fatto poco o niente per diventare più etico e sostenibile. Quando le persone mi chiedono quale brand sia meglio evitare, io dico Forever 21 senza esitazioni.
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Citando Overdressed, c’è un paragrafo che recita: “Ci sono troppi pochi abiti di qualità prodotti al momento. Troppo, troppo, troppo pochi. Così pochi che la maggior parte delle persone non li vede nella propria vita.” In sostanza, quando compriamo un abito che consideriamo costoso e realizzato in modo corretto, cosa stiamo comprando realmente?
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In Italia spero che voi vediate più abiti di buona qualità di quanti ne vedano gli americani, considerando la vostra nota tradizione d’alta sartoria. Qui, alcune delle catene più popolari sono dei discount come Khol’s e T.J. Maxx. E le persone che scelgono di comprare abiti più economici piuttosto che ricercare quelli maggiormente curati sono sempre in aumento.
Anche se la produzione di abiti di qualità è una minoranza quando si parla di mercato, ho voluto approfondire questo punto nel mio libro. Ci sono molti designer e brand che propongono abiti di qualità. Il primo passo è quello di smettere di guardare solo le catene. Pur essendo vero che un abito costoso non è sinonimo di qualità, dipende tutto dal compratore la scelta di esaminare per bene un prodotto prima di comprarlo, provarlo e fare domande a riguardo. È possibile imparare da sé a riconoscere dei materiali prodotti in maniera corretta e delle buone cuciture. È una consapevolezza davvero necessaria in un mercato come quello che viviamo oggigiorno dove i brand fanno di tutto pur di ingannare il consumatore.
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Su Internet, il modo migliore che abbiamo per avvicinarsi all’artigianato è Etsy. Celebrità come Sarah Jessica Parker comprano da questo sito, ma c’è futuro per un mercato del genere nella moda?
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C’è un mondo intero di abiti prodotti in maniera etica là fuori. Le case di moda italiane sono famose per questo. Trovo molti brand etici e che producono abiti di qualità su Instagram recentemente. Direi che la maggior qualità la si trova più facilmente negli store di lusso, creati da designer indipendenti e nelle boutique vintage e nei negozi di seconda mano.
Oltre ad Etsy, raccomanderei siti come Tradesy e TheRealReal, dove si possono trovare abiti di lusso a prezzi scontati che sono di seconda mano. Io compro anche su Outnet e eBay se cerco pezzi di brand come Marni, Stella McCartney e Maison Margiela.
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Quali sono per te le compagnie che hanno l’impatto più positivo in termini di inquinamento e di diritti umani? C’è la possibilità che siano maggiormente accessibili?
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Levi’s, Patagonia, Reformation e Eileen Fisher sono i brand negli U.S. che stanno facendo i maggiori passi avanti per quanto riguarda la produzione etica e sostenibile. Tutti i loro prodotti sono accessibili anche se Eileen Fisher è forse il più costoso, fanno i saldi in ogni caso! Dovremmo tutti fare le nostre ricerche personali sui brand che amiamo.
È importante fare pressione e porre delle aspettative ai negozi da dove comprimo. Io raccomando di leggere il Fashion Revolution’s Fashion Transparency Index; Greenpeace Detox 2020; ProjectJUST, e Good su You App, tutti raccolgono dati riguardanti l’aspetto etico e dei diritti umani dei maggiori brand di moda, da Calvin Klein ad Adidas fino a Gucci. Per quanto riguarda la convenienza, spero che più compratori lascino da parte il discorso soldi per concentrarsi sull’acquisto di abiti che siano veramente necessari. Viviamo in una cultura di gratificazione instantanea e spesso gli abiti d’alta qualità richiedono pazienza e risparmio.
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Pensi che l’educazione possa essere una soluzione al problema?
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Certamente. I consumatori devono sapere ciò che accade nell’industria della moda, con processi di produzione presenti in tutto il mondo. Ci vuole uno sforzo enorme e una grande educazione per capire il tutto.
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Comprare abiti riciclati o vintage può essere una strada utile per evitare lo spreco di materiali, ma pensi che ciò possa creare un legame speciale tra il vestito e l’acquirente?
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Sono felice che tu abbia parlato l’idea del legame. Avere una relazione con un abito ti fa sentire bene e ti può offrire la motivazione per tenere l’abito in questione più a lungo, indossarlo di più e apprezzarlo maggiormente. Penso che si possa avere una relazione con un pezzo d’abbigliamento in ogni caso, non importa da dove esso provenga – nuovo, economico, espansivo, riciclato, vintage, etc. Riguarda tutto il tuo stato mentale e i tuoi ideali.
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Qual è il tuo Brand preferito?
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I miei designer preferiti al momento sono Rachel Comey, Stella McCartney, Dries Van Noten, e Marni, e non posso vivere senza i miei negozi locali di seconda mano, come Phenix Luxury Consignment, oppure Krizia e Beacon’s Closet a Brooklyn, dove ho recentemente trovato un cappotto di Isabel Marant. Amo anche Bird Brooklyn, che è una piccola boutique arredata finemente di designer indipendenti.
Come potete vedere, mi interessano la qualità e una forte sensibilità alla base del design.
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Su Goodreads, il tuo libro ha 3.7 stelle e molte revisioni appassionate. Qual è il tuo libro preferito?
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Amo leggere altri libri sul consumismo, sulla politica e sull’economia. Ho appena letto e apprezzato il nuovo libro di Naomi Klein, “No Is Not Enough”. Parla della crescita che i brand hanno avuto dal 1990 e la consapevolezza cresciuta nei consumatori. È molto intelligente, lo raccomando a tutti. Il branding però può anche essere corrosivo se le persone pensano solamente al loro brand invece che concentrarsi sulla qualità degli abiti.
Credits Images and Illustration: New York Times