Curiosità impaziente. Precisione e perseveranza. Senso di responsabilità, affetto e rispetto per la storia.
Questi gli ingredienti chiave di Cecilia Bertozzi nel portare sullo schermo Simona Dalla Chiesa, la più giovane dei figli del Generale Dalla Chiesa nella serie “Il nostro generale” che racconta gli anni del generale nella lotta alle BR, la creazione del nucleo antiterrorismo composto dai suoi “ragazzi” ma che racconta anche l’uomo e la sua famiglia.
Nella nostra intervista Cecilia ci ha raccontato il suo processo nel costruire il personaggio di Simona dall’incontro telefonico con Simona stessa, alla sua indagine all’interno della sceneggiatura per trovare tutte le sfumature della storia e delle suo personaggio.
Un approccio “musicale” per trovare il beat di ogni personaggio che alla fine non è che “un contenitore di roba vissuta” da cui attingere per portarsi sempre via qualcosa.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
La prima volta che sono entrata in un cinema. Ho due anni, i miei mi portano a vedere “La gabbianella e il gatto”. Prima scena: muore la mamma della gabbianella. Inizio a piangere talmente forte che mia mamma è costretta a portarmi fuori. Per un po’ di anni non mi ci hanno più portata al cinema, e non ho mai più rivisto quel film. Un trauma!
Conoscevi già la storia del Generale Dalla Chiesa? Qual è stato il primo pensiero dopo aver letto la sceneggiatura “Il nostro generale”?
La storia del Generale Dalla Chiesa la conoscevo, ma a grandi linee, studiata al liceo in un piccolo capitolo sulla lotta alla mafia, invece preparare il provino per il ruolo di Simona Dalla Chiesa mi ha dato l’occasione di documentarmi e di conoscere questa storia per davvero. Leggere il copione per la prima volta è stato emozionante, entusiasmante per tutta la narrazione delle azioni di polizia e gli arresti alle BR, ed ero sinceramente un po’ incredula di fare parte di un progetto così grosso.
Hai avuto modo di parlare con i familiari e le persone che hanno vissuto quegli anni? Se sì, quali sono le domande che hai fatto? E come hai vissuto questi incontri?
C’è stato un incontro con Simona Dalla Chiesa, una telefonata. Mi tremavano le mani quando l’ho chiamata e le ho detto: “Ciao Simona, io sarò te!” Lei si è fatta una bella risata e ci siamo conosciute.
Fortunatamente lei e i suoi fratelli, già da molti anni, si occupano di divulgare la storia del papà e di quegli anni di terrorismo, e hanno scritto libri, tenuto un numero infinito di interviste (che dedizione e forza di volontà!) perciò non ho voluto chiederle cose che avessi già letto o ascoltato. Le ho chiesto di lei, della sua storia d’amore con suo marito (nelle prime due puntate Simona si sposa e va via da casa dei suoi genitori), dei suoi figli, e di cosa pensa di sé. Quando si recita si deve avere molto chiaro il punto di vista del personaggio, volevo scoprire quale fosse il suo e come si sentisse nei confronti di ciò che le era successo, dei suoi affetti più cari, e di sé come donna.
Non ci siamo ancora viste di persona, ma ci sentiamo ancora e ci aggiorniamo sulle impressioni che ci ha dato vedere la serie (e speriamo di incontrarci un giorno dal vivo).
“Ciao Simona, io sarò te!”
Cosa ti ha sorpreso di più della sua storia nell’approfondirla per questo progetto?
La cosa che mi ha sorpreso di più di Simona è stata conoscere la sua storia d’amore col suo attuale marito Carlo, e la determinazione con cui l’ha portata avanti. Vorrei tanto raccontarla, ma non sono fatti miei e credo che se Simona non l’ha scritto nei suoi libri, forse, questa storia se la voglia tenere preziosamente per sé. Me ne ha parlato col sorriso (lo sentivo dal telefono anche se non potevo vederla) e con nostalgia di quei tempi, è stato commovente sentire qualcuno di così vitale e coraggioso come lei. In generale, mi sorprende sempre la spinta che le persone hanno quando si trovano in mezzo a situazioni di estrema difficoltà, come tutto ha più importanza (nel caso di Simona: la dedizione per lo studio, l’amore per Carlo, la presenza in famiglia, poi successivamente la voglia di far conoscere il papà anche alle generazioni future).
Quando c’è la guerra, lo vediamo anche noi, tutto ha un sapore e un valore più intenso.
Come hai costruito il personaggio di Simona? Come ti sei relazionata a lei, considerando che dei 3 figli è forse quella che vediamo crescere di più all’interno della serie?
Per prepararmi al ruolo, inizialmente è stato un tentativo di mimesi, provare ad assomigliarle un po’ sapendo che non sarò mai lei. Poi tanta ricerca storica, tante interviste, documentari, libri. Sceneggiatura letta e riletta, conoscere tutta la storia e come si inserisce il personaggio nell’atmosfera del racconto e nella linea narrativa per me è fondamentale, e raccogliere indizi utili per recitare lo è altrettanto. È tutto già scritto quando si tratta di buone sceneggiature, basta indagare.
Last but not least, una parte del lavoro di prova e analisi con l’acting coach Aurin Proietti, che mi ha seguita per affrontare le scene più emotive e il passaggio temporale (Simona all’inizio della serie ha 20 anni e alla fine ne ha 28, si è sposata e ha già due figli).
Come hai lavorato con Sergio Castellitto e Teresa Saponangelo per costruire la vostra relazione sullo schermo visto che Simona è all’inizio, l’unica figlia che vive ancora in casa?
Sergio e Teresa li ho incontrati direttamente sul set, non abbiamo fatto prove prima, e io ero emozionata ma non spaventata, solo di una curiosità impaziente. Sono due talmente bravi che non mi ci è voluto molto per accordarmi a loro, mi commuovevo anche se non dovevo per quanto erano bravi. Lavorando con loro ho capito che non c’è molto da dirsi su una scena quando ci si è preparati, ci si butta e si prova, a patto che ad ogni ciak si dia il tutto per tutto. È un lavoro di semplice precisione e perseveranza. Non disperdere le energie e andare col flow.
“Emozionata ma non spaventata, solo di una curiosità impaziente”.
Quanto c’è di Cecilia in Simona e cosa ha lasciato invece Simona a Cecilia?
Di Cecilia in Simona direi che c’è tutto, non mi sostituirei mai a un’altra persona, dato che è tra l’altro un personaggio realmente esistente. L’ho solo interpretata. Simona a Cecilia lascia posti nuovi che non avevo mai visto, persone nuove e strepitose incontrate, l’emozione di vivere cose che non ho mai vissuto e che forse mai vivrò.
Sono le esperienze che faccio in ogni progetto che mi porto dietro, il personaggio è un contenitore di roba vissuta e di cui sono solitamente molto grata.
Che clima si respirava sul set, consci di essere alle prese con una pagina importante della nostra storia?
Sul set c’era un regista che dava una fiducia mai vista, Lucio Pellegrini, talmente attento e con le idee chiare che noi attori ci sentivamo sempre al nostro posto, sempre in grado di affrontare questa grande storia. Così come faceva il Generale Dalla Chiesa con i ragazzi del suo Nucleo Antiterrorismo, che diceva “voi prendete le decisioni e la responsabilità sarà la mia” ci siamo sentiti abbracciati da Lucio, e da tutta la troupe grandissima e super professionale, sapevamo di avere una responsabilità grande e per questo c’era una grande comunione d’intenti.
Ho incontrato Rita Dalla Chiesa alla conferenza stampa e mi ha detto la stessa cosa: “Si vede che c’era affetto per la storia, e che avete tutti compreso quanto sia preziosa, ho percepito un grande rispetto nei confronti di papà e di tutti gli eventi”. È stata una bella soddisfazione.
“Sapevamo di avere una responsabilità grande e per questo c’era una grande comunione d’intenti”.
Cosa speri che lasci questa serie nella mente di chi la guarderà?
Spero che lasci curiosità per quel periodo storico che alla scuola superiore praticamente non si studia, che possa essere occasione di domandarsi perché nella storia dell’uomo si arriva sempre a momenti in cui non ci si capisce più e si inizia a sparare. Al di là dell’atterrimento che si possa provare di fronte a un capitolo così sanguinoso della storia italiana, credo sia saggio ricordare che è una cosa successo poco tempo fa nella nostra bella Italia, che ha delle cause e che c’è chi ha fomentato questa violenza anche tra i potenti.
Quando costruisci un personaggio sei più emotiva o razionale?
Sono musicale.
Cerco subito la musica giusta per il progetto, che mi accompagnerà finché il lavoro non sarà finito. La musica poi mi stimola sia a livello emozionale che razionale, e in base a quello che richiede il ruolo in questione avrò un approccio diverso. Nella vita ci sono persone più razionali e più emotive, perciò ci sono personaggi più razionali e più emotivi, mi piacerebbe saper interpretare tutti e due i tipi.
“Musicale”
L’opera teatrale, “Sovrimpressioni” sta per varcare il confine italiano e sbarcare in Spagna, Piccolo e\o grande schermo e teatro, qual è stato il primo amore? Cosa ti porti sul set dal teatro e viceversa?
Teatro e cinema li ho scoperti più o meno nello stesso momento, verso i 15 anni. Vivo da quel momento l’eterno struggimento di amare entrambi allo stesso modo.
Dal teatro al cinema, e viceversa, mi porto le esperienze che faccio, le persone che incontro, i viaggi.
Il tuo must-have sul set.
Una tazza thermos che mi ha regalato qualche Natale fa il mio coinquilino Vincenzo, per il tè alle 5 del mattino è perfetta.
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Sentirsi a proprio agio nella propria pelle per me significa non sentirla, non sentirne il peso, quindi non sentirsi intrappolati nel proprio ego. Quando sei con qualcuno che ti capisce, ti accoglie, allora a volte ti senti liberata dal peso dell’esistenza e semplicemente viva, senza preoccuparti di risultare in alcun modo. Dici quello che pensi, sei disposta a farti mettere in discussione, non dai nulla per scontato, e magari sei pure un po’ grata.
“Semplicemente viva”
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere?
Al momento sono a Madrid per “Sovrimpressioni”, appena arrivata ho smarrito la carta di identità. Prima volta in Spagna. Conoscenza lingua: zero. Arrivata alla stazione di polizia per fare la denuncia, non capivo granché e mi stavo smarrendo pure io, ma un signore anziano di nome Juan mi ha aiutata ad orientarmi, sapeva un po’ di italiano e mi ha fatto da cicerone. Il mio amico Pietro queste persone le chiama “i santi del giorno”.
Grazie, San Juan.
La tua isola felice?
La mia isola felice non so ancora qual è, sono una persona molto agitata che non dà molto l’impressione di esserlo perché ha fatto un discreto lavoro su sé stessa, ma di fatto se mi devo fermare e trovare un po’ di relax faccio fatica. Oppure è forse che mi sento molto amata dai miei affetti e dai miei amici veri, e non ho bisogno di altro.
Ultima domanda, Odi o non odi il natale?
Non odio il Natale, ma non sono neanche una di quelle persone ossessionate dal clima natalizio. Quando arriva, però, ne sono sempre molto contenta.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup by Francesca Naldini.
Styling by Andreas Mercante.
Thanks to PR Talent Agency Andreas Mercante e Edoardo Andrini.
Total Look: Philosophy