Nei panni di Numero 4, una hostess imprigionata in abiti che non le appartengono, l’attrice Demetra Bellina ha confermato alcune delle sue convinzioni più sentite, prima fra tutti l’importanza di impegnarsi per non abbandonare le proprie passioni.
“Non credo in niente” di Alessandro Marzullo, al cinema dal 28 settembre, è un progetto che racconta esattamente quello in cui crede e che vuole comunicare al mondo. Guidata da un regista che sa cosa vuole e sa comunicare con gli attori quello che vuole con precisione e umanità, Demetra ha vissuto un’esperienza unica che l’ha fatta crescere molto.
Il film racconta le notti dei personaggi, ovvero i momenti in cui “viene fuori quello che sentono davvero”, per cui c’è un assoluto bisogno di lottare. Con Demetra abbiamo parlato dell’insicurezza della nostra generazione, piena di sogni che nasconde nel cassetto per paura di abbandonarsi ad essi e alla possibilità di essere felici. E di nuovi progetti in arrivo, tra cui un EP e una raccolta di racconti che conciliano e assecondano due tra le sue passioni più grandi: la musica e la scrittura.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
“Il signore degli anelli” è il mio ricordo più vivido, sono andata a vederlo nel 2001, quando avevo 6 anni. Mi ha colpito abbastanza.
Quando hai capito che il mondo del cinema è quello a cui appartieni?
In realtà, ho sempre voluto fare l’attrice, sin da quando ero piccola e ho cominciato a fare teatro. Proprio il teatro mi piaceva un sacco, adoravo il palco e mi piaceva mettermi in mostra. Dopo il liceo, poi, ho iniziato a frequentare l’università, ma non ha funzionato, ho subito capito che non fa per me e che il mio mondo è un altro.
Il 28 settembre sarai al cinema con “Non credo in niente”, opera prima di Alessandro Marzullo. Qual è stata la tua prima reazione dopo aver letto la sceneggiatura del film?
Questo film è un po’ particolare, in realtà, perché il regista, che conoscevo già da prima, non mi ha mandato la sceneggiatura come prima cosa, e lui per scelta non manda le sceneggiature agli attori. Infatti, la prima cosa che ha fatto è stata scrivermi un messaggio per dirmi, “Ho in programma un nuovo film e vorrei parlartene”, al che io ho risposto, “Posso leggere qualcosa?” e lui mi ha detto “No, assolutamente no, ci vediamo e ne parliamo”. Penso sia un ottimo approccio: il fatto di aver prima parlato con lui e poi aver letto il copione mi ha fatto capire molte cose. Alessandro mi ha detto esattamente quello che voleva ottenere dal film, come voleva che fossero i personaggi, ed è bello così, è diverso dal leggere un foglio stampato con delle cose scritte da qualcuno che non conosci.
Certo, poi magari parlarne da subito con il regista torna utile per capire qual è il taglio e l’interpretazione che dovresti dare al racconto, mentre se leggi il copione per conto tuo c’è il rischio che tu fraintenda le intenzioni degli autori e del regista e tutto diventa più macchinoso… Cosa hai pensato quando hai “conosciuto” il tuo personaggio per la prima volta?
Esatto, è tutto vero! E cosa ho pensato quando ho conosciuto il mio personaggio? “Finalmente un personaggio femminile che non è uno stereotipo!” [ride]. È difficile definirla e questa è una cosa bellissima. Ogni volta che arrivano descrizioni di personaggi, che immagino siano state fatte a grandi linee per farti capire più o meno di cosa si sta parlando, sono sempre o bianco o nero, “è buona” o “è cattiva”, “è antipatica” o “è simpatica”; Numero 4, invece, è tutte queste cose insieme, è una persona vera.
“Finalmente un personaggio femminile che non è uno stereotipo!”
Infatti, io l’ho trovata difficile da capire, da interpretare, quantomeno all’inizio del film, enigmatica al punto che non riuscivo ad immaginare cosa le passasse per la testa, quindi molto interessante anche per questo. In più, la storia molto attuale, sulla generazione dei 20/30enni e la crisi esistenziale che sta vivendo, proprio quella che li persuade della convenienza del “non credere in niente”, come dice il titolo. Anche tu fai parte di questa generazione, quanto forte la percepisci questa “insicurezza esistenziale” e in che modo la affronti?
Allora, innanzitutto mi trovi molto d’accordo con quello che hai detto. Per il resto, domanda complicata… L’insicurezza della nostra generazione la percepisco molto forte. Io ho sempre amato di più il cinema del passato, proprio a livello di modalità del fare film, perché prima regista e produttore si trovavano, parlavano della storia, la storia piaceva e la producevano, invece oggi è molto difficile, un po’ perché c’è un sacco di gente in più che vuole fare questo lavoro, un po’ perché c’è meno interesse per un certo tipo di cinema. Quindi, nel mio piccolo, secondo la mia esperienza personale, è molto difficile continuare a credere in quello che ti piace, in quello che vuoi fare; ogni giorno ti devi svegliare e dire, “Okay, io ci credo, lo faccio perché mi fa stare bene”, perché aspettare input dall’esterno è inutile. Secondo me, tanta frustrazione deriva dal fatto che uno si aspetta sempre qualcosa da fuori, ed è normale perché “bisogna anche campare”, però ciò che conta davvero è come ci si sente dentro e bisogna lottare per preservarlo, perché mollare è troppo facile.
Anche solo provare a realizzare qualcosa fa in modo che tu non fallisca.
Cosa ti dà sicurezza in un mondo in cui niente sembra più sicuro?
Sicuramente, i sentimenti, l’amore, gli affetti, che per me sono super importanti. Se non ci fossero, sarebbe un mondo orribile.
Persi tra la il bisogno di lavorare per vivere e la voglia di non limitarsi a vivere per lavorare, i protagonisti del film agiscono (o non agiscono) sullo sfondo di una Roma ostile, per niente accogliente soprattutto nei confronti dei giovani. Fino a che punto sei riuscita ad ambientarti in un contesto del genere? È stato immediato, entrare nell’atmosfera, o ha richiesto un lavoro di immaginazione e studio particolare?
Allora, Roma secondo me è accogliente, ma solo se riesci a seguire il suo flow, devi entrarci dentro quel flow. Forse, per noi, tu che vivi a Milano e io che sono di Udine, è più difficile adattarci ai ritmi di Roma, ma una volta che ti adatti, ci vivi bene. Per esempio, io una volta ero sempre in anticipo, adesso invece arrivo sempre in ritardo [ride].
Per entrare nell’atmosfera del film, ho fatto un sacco di autoanalisi, come sempre, quello è il mio studio principale. Quando Alessandro mi ha parlato di quello che voleva fare, però, ho subito pensato, “Cavolo, è proprio quello che sento io”, ed è bellissimo quando riesci a lavorare su un progetto che senti che rappresenta qualcosa che tu vuoi comunicare al mondo. Quindi entrare nel mood del film non è stato troppo difficile.
Poi, è stato bellissimo girarlo, di notte, perché si raccontano le notti dei personaggi, ovvero i momenti in cui viene fuori quello che sentono davvero.
“È bellissimo quando riesci a lavorare su un progetto che senti che rappresenta qualcosa che tu vuoi comunicare al mondo.”
In particolare, il tuo personaggio, Numero 4, e una hostess insoddisfatta che però non fa nulla per migliorare la sua situazione e inseguire i propri sogni. Da cosa pensi derivi questa paralisi esistenziale? Che consiglio le daresti se potessi parlarci?
Io ho conosciuto molti artisti e ho capito che ci sono delle persone bravissime al mondo, che fanno delle cose fenomenali, ma poi non ci provano neanche, appena arriva la possibilità di fare quel passo in più che magari potrebbe portarli a fare della loro arte il loro lavoro, non lo fanno. Ti dirò che non capisco perché. Potrebbe essere l’insicurezza, perché magari, come dicevamo prima, uno non ci prova neanche perché ha paura di fallire, oppure magari non vuole farlo come lavoro, anche questa è una possibilità. Perseguire le proprie passioni richiede molto impegno, è difficile vivere in questo modo precario, ci sono dei momenti in cui davvero pensi “Ma chi me l’ha fatto fare, potevo starmene a casa e continuare a studiare Lettere” [ride].
Tornando a Numero 4, nonostante tutti di solito mi dicano che sono secchiona perché sottolineo le cose sulla sceneggiatura, rompo le scatole a tutti sul set interrogandoli per capire il personaggio, eccetera, in questo film ho lavorato in un modo nuovo, non ho avuto bisogno di preparare niente. Certo, abbiamo anche fatto delle prove, soprattutto per le scene più lunghe e dense, ma è stato un po’ come fare teatro, anche se quello che abbiamo fatto durante le prove non è stato poi quello che abbiamo girato. Poi, col fatto che quando giravamo era molto tardi o molto presto, spesso anche le 5 del mattino, eravamo stanchissimi, devastati, ma secondo me questa cosa di trovarci là, in quel momento, con Alessandro che ci dava indicazioni su cosa dovevamo fare e sui pensieri dei nostri personaggi, ha reso tutto ancora più bello, anche perché lui non ti dice quello che devi fare ma ti dice quello che vuole, che è diverso.
Da cosa pensi derivi quest’ansia di produttività e perfezione e il rifiuto della possibilità di fallimento che affligge la nostra generazione? Secondo te, come riusciremo a scongiurarla?
Secondo me, dovremmo sbagliare di più. Sono arrivata a questa conclusione. Voglio permettermi di fare schifo [ride], voglio andare ad un provino e farlo male, perché così non mi viene più l’ansia, pensare che se non mi prendono non è la fine del mondo perché l’ho fatto male. Essere perfetti, poi, non porta a niente, anzi, secondo me la perfezione è una cosa sterile. Invece, l’arte è imperfetta, piena di errori, ed è questo che la rende bella. Dovremmo imparare a ridere quando sbagliamo, quando cadiamo in mezzo alla piazza davanti a tutti [ride].
“Secondo me, dovremmo sbagliare di più”
Trovi che accantonare i propri sogni e le proprie aspirazioni artistiche sia la scelta più infelice che si possa fare? Tu ti sei mai trovata in una situazione simile, hai mai “rischiato” di dover compiere questa scelta infelice?
Assolutamente, ma è sempre stata una cosa temporanea, perché non ho mai pensato di mollare tutto e fare qualcos’altro, non è concepibile per me. Secondo me, è brutto mollare i propri sogni, non vale la pena fare le cose se non si hanno sogni. Poi, questi sogni possono anche non essere per forza lavorativi, uno può fare arte anche senza farne un lavoro, l’importante è che lo faccia. Il problema è che la maggior parte delle persone se non lo fa per lavoro non lo fa proprio ed è un peccato. La verità è che ci vorrebbero meno ore di lavoro al giorno per consentirci di dedicarci anche ai nostri sogni.
E tu in cosa non credi? E in cosa credi?
Io credo nelle cose che mi fanno stare bene. Solo quando una cosa ti fa stare bene, ha senso, e non credo nel distruggersi per ottenere qualcosa.
L’incubo di essere spettatori passivi degli anni migliori della nostra vita è un tema fondamentale nel film, e ciò che spesso mi impedisce di dormire tranquilla, il pensiero che non mi fa addormentare: tu come riesci a vivere nel presente, se ci riesci?
Non ci riesco tutti i giorni, perché a volte ti capita di convivere con l’ansia, ti chiedi “Dove sto andando? Cosa sto facendo?”. Però, a me spesso viene in aiuto la logica: se mi sveglio e sono di cattivo umore perché penso che devo fare una serie di cose nessuna delle quali riguarda il mio lavoro, e questo mi infastidisce, poi ci rifletto su e mi dico: “Sti cazzi” [ride]. Ho capito che devo godermi quello che c’è oggi, ritagliarmi sempre un momentino per fare qualcosa che mi piace, per guardarmi un film o giocare con il mio gatto, stare col mio ragazzo. Non so se a te capita mai di ripensare con nostalgia al tuo passato, ma io per esempio lo faccio, e quando lo faccio non penso mai alle cose di lavoro. Ecco perché cerco di godermi il resto.
Ci sono tante cose che sembrano scontate ma non lo sono.
“Ho capito che devo godermi quello che c’è oggi”
Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stessa grazie a questo film?
Sì, ho scoperto che procrastinavo troppo. Nei panni di Numero 4 pensavo sempre “Cavolo, ma perché non fa le cose?” e questo però mi ha fatto riflettere su quanto anche io effettivamente non stessi facendo un sacco di cose che continuavo a rimandare e rimandare. Allora mi sono detta: “Adesso mi metto sotto e le faccio”. Infatti adesso sto lavorando alla mia musica, al mio libro, a tutte le mie cose, quindi è stato molto utile.
A proposito di musica, la colonna sonora del film ricopre un ruolo importante, è una sorta di fil rouge tra le 4 storie parallele dei 4 personaggi che alla fine non si incontrano mai, nonostante tutto quello che hanno in comune. So che sei una musicista, cos’è nella tua vita la musica, che parte interpreta nella tua quotidianità?
La musica per me è fondamentale, io canto o suono tutti i giorni. Adesso sto lavorando al mio primo EP, da anni in realtà, ma quest’anno lo faccio davvero.
La canzone che descrive questo momento preciso della tua vita?
Sai che non sceglierei canzoni con le parole? In questo periodo ascolto solo musica classica. Mozart, per esempio, mi piace molto. La musica classica descrive questo momento della mia vita, musica senza le parole, perché c’è troppo rumore sempre e comunque.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Parlare con il regista. A questa conclusione sono arrivata soprattutto dopo aver parlato con Alessandro: la differenza del film la fa il regista. Tutti i registi devono tenere il set, gestire la storia, gestire gli attori, gestire tutte le persone che ci sono, quindi se uno è forte lo si vede già dal set, secondo me.
Quando crei un personaggio, sei più razionale o istintiva? Com’è andata con “Non credo in niente”?
Per me viene prima l’istinto, che poi cerco di razionalizzare perché da solo non basta. La prima cosa da fare è certamente capire come senti il personaggio e la storia, è questo lo capisci a istinto, però poi devi studiare e capire cosa fare, per costruire un arco narrativo personale che non è quello della sceneggiatura, perché quello che tu senti che il personaggio sta vivendo è diverso, secondo me.
“C’è troppo rumore sempre e comunque.”
Hai mai pensato alla possibilità di passare, un giorno, dietro la macchina da presa, magari come regista oppure, perché sei anche una scrittrice, come sceneggiatrice?
Il regista non lo farei mai nella vita perché so di non essere per niente portata [ride]. Per quanto riguarda il ruolo di sceneggiatrice, non lo so in realtà, perché a me piace la scrittura intesa proprio come tale… Ecco magari mi piacerebbe di più scrivere dei soggetti che delle sceneggiature. Un giorno forse vorrei fare la produttrice. Lo farò se sarà ricca e avrò i contatti giusti! [ride]
Prima dicevi che stai scrivendo un libro…
Sì, l’ho finito, ma non l’ho ancora inviato a nessuno, sempre per la storia del procrastinare [ride]. È una raccolta di racconti, poesie, lettere e illustrazioni.
Un epic fail sul set?
Niente di particolarmente clamoroso in realtà. Una volta, mentre giravo “Tutta colpa di Freud”, dovevo fare un giro in bicicletta e sono finita in un cespuglio [ride]. Comunque, più epic fail nella vita per me!
Il tuo must-have sul set.
Le sigarette. Se non ce le ho, vado fuori di testa.
Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?
Trasferirmi a Roma da sola a 18 anni, andare in giro da sola la sera, suonare in giro… Poi, a dicembre dell’anno scorso ho fatto uno spettacolo teatrale, che ho scritto, diretto e interpretato io, e quello è stato molto coraggioso. Sono venute 30 persone a vederlo, ma io ne ero molto fiera.
Di cosa hai paura invece?
Del dolore fisico. Ho paura di farmi male.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Io ho sempre difeso molto “Non credo in niente”, ci ho creduto dall’inizio e non ho smesso mai, neanche per un secondo, di crederci. All’inizio, ci sono state delle persone che magari non l’avevano capito, e non lo apprezzavano. Se questo succede, queste persone si tirano un po’ indietro, invece a me ha spinto a crederci ancora di più. Questo film lo difenderò fino alla morte, e lo ritengo un atto di ribellione.
“Questo film lo difenderò fino alla morte”
Cosa significa, per te, sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa non dovermi preoccupare quando vado in giro, sentirmi a mio agio, non sentirmi osservata, non sentire che non vado bene. Purtroppo, ci sono tanti ragazzi che non si sentono a loro agio con loro stessi.
L’ultima cosa o persona che ti ha fatto sorridere?
Oggi il mio istruttore di scuola guida, quando ho passato la teoria dell’esame.
La tua isola felice?
A me piace la montagna, lì sono felice. L’altro giorno, per esempio, ero ad un festival, con Alessandro e altri del film, a Soriano, un posto in montagna bellissimo, mi sarebbe piaciuto restarci per più tempo. Dunque, la montagna, con le persone con cui voglio stare, e il mio gatto. Cosa c’è di meglio?
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup and Hair by Elisabetta Distante.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Location Agriturismo Tenuta Monte La Guardia.
Thanks to Other srl.
LOOK 1
Top: Quira
Trousers: Forte Forte
Shoes: Gianvito Rossi
Earrings: Zara
LOOK 2
Top: Castor Mantu
LOOK 3
Dress: Forte Forte
Body: American Vintage
Earrings: Argentoblu
LOOK 4
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Boots: Hunter
Earrings: Archive