Quando si tratta di mettersi in gioco, anche con la possibilità di ricevere reazioni piene di odio e disprezzo da parte del mondo, i giovani artisti sono i migliori rischiatutto. E non è una questione di incoscienza o superficialità, è proprio una cosa generazionale: loro sanno che ce la faranno, sanno cosa il destino gli riserva.
Luna Carmoon sapeva che ce l’aveva fatta fin dai suoi primi passo nel mondo di “Hoard”, il suo debutto alla regia: dai dialoghi verbosi e privati, scritti nel suo rifugio di Londra durante la pandemia, alla storia finale “condita di ricordi” che ha deciso di condividere con il mondo affinché tutti la vedessero e vi si riconoscessero.
Una storia di perdita, dolore, rabbia e amore: le emozioni vitali, intense e imprevedibili che tutti proviamo nelle relazioni della nostra vita quotidiana. “Hoard”, in anteprima nella Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia, ha salvato la vita di Luna aiutandola a esorcizzare tutti quei sentimenti base appartenenti al suo amatissimo passato tanto quanto al suo volatile presente.
Diciamo che “Hoard” è un esordio alla regia di grande impatto. Come ti senti ora e che sensazioni provi ad essere qui con questo progetto? Ho letto che hai iniziato a lavorarci quasi 3 anni fa…
È surreale. Ero sul battello che attraversava il canale ieri e guardavo il tramonto e pensavo: “Pazzesco”. Se penso a dove ho iniziato, nel mio capanno, a lavorare in un giardino scrivendo qualche dialogo, essere qui adesso mi sembra assurdo. Questo è il mio Festival preferito, è la mia prima volta a Venezia e il programma è sempre il mio preferito, qui ci sono sempre i miei film preferiti, come “Saint Omer” in concorso l’anno scorso, film bellissimo, amo Alice Diop. Non ci posso credere che sono qui, è un privilegio enorme, e poi io amo il cinema italiano, quindi è davvero surreale essere nello stesso luogo dove alcuni dei miei artisti preferiti hanno presentato il loro lavoro, proprio dove sono io ora.
Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura nella primavera del 2020, quindi niente è successo per caso, c’era il Covid e nessuno ci capiva più niente di niente, non avevamo più una traiettoria da seguire. Io me ne stavo nel mio capanno tutto il tempo, e la storia ha cominciato a nascermi dentro mentre raggruppavo i miei ricordi passati e questi si fondevano gli uni con gli altri. Infatti, nel film ci sono molti dei miei ricordi sparsi qua e là. Questi personaggi mi hanno davvero aiutato a sopravvivere nei momenti difficili, erano loro le persone da cui tornavo a casa dopo lavoro, erano i miei coinquilini.
Poi mi è salita la rabbia, la tristezza che si trasforma in dolore, che si trasforma in rabbia, sono queste le fasi del lutto, e ho pensato, “Non me ne frega niente se la gente mi odierà se questa storia diventerà di dominio pubblico, io voglio condividerla”, perché sapevo che le persone ci si sarebbero identificate. Non c’è niente di più universale dell’amore e del dolore, sono le due cose che non hanno bisogno di una lingua per essere comprese, non hanno bisogno di traduzioni. Ho scritto la sceneggiatura tra l’inverno del 2020 e la primavera del 2021, e poi nel 2022 abbiamo girato il film, quindi è stato pazzesco.
“Non c’è niente di più universale dell’amore e del dolore, sono le due cose che non hanno bisogno di una lingua per essere comprese, non hanno bisogno di traduzioni”.
Il film ci mostra diversi tipi di relazioni e diverse sfumature dell’amore. Come hai creato questi personaggi e come hai costruito le dinamiche tra di loro?
Praticamente ogni personaggio è l’essenza di qualcuno che conoscevo o con cui sono cresciuta, quindi il film è un piccolo omaggio a loro. C’è un tatuaggio che Michael ha sul braccio e che è un omaggio a un ragazzo con cui sono cresciuta, che era stato adottato e viveva in una casa a un paio di isolati da casa mia. L’idea di creare un personaggio come Michael è nata dal fatto che non avevo mai conosciuto un uomo o un ragazzo che, se ci rimanevo da sola in qualche posto, non mi facesse preoccupare che mi avrebbe aggredita e fatto del male. Tutti i personaggi sono un mix delle persone della mia vita, ci sono mia nonna e mia madre, entrambe rappresentate in due versioni diverse, la migliore amica di Maria è una copia della mia migliore amica nella vita reale, e viviamo davvero uno di fronte all’altra; inoltre, l’attrice che l’ha interpretata non aveva mai recitato prima, ed è stata fantastica, incarna davvero alla perfezione la mia migliore amica. Tutti i personaggi derivano da qualcuno o qualcosa di reale per me.
I temi più importanti del film sono le amicizie e le relazioni, e Michael è solo uno strumento, un qualcosa di scavato nel passato, mentre tutte i personaggi femminili sono ciò che fa da base a Maria, il nucleo di Maria, sono il mezzo attraverso cui lei sopravvive a tutto quello che le capita. E naturalmente avevano una chimica fantastica, tutti loro, appena li ho messi tutti insieme in una stanza: follia pura. Ridevamo sempre, e io non riuscivo a trattenermi, me la facevo addosso dalle risate, perché erano tutti così divertenti. Era davvero un gruppo di persone adorabile, ciascuno con personalità così forti; sai, non capita spesso di incontrare attori che abbiano una precisa identità, ed è anche per questo che alcuni di loro sono eccezionali, perché possono trasformarsi con facilità, ma tutti questi ragazzi avevano personalità così definite che non potevi fare a meno di trasporle anche sullo schermo.
“Tutti i personaggi derivano da qualcuno o qualcosa di reale per me”.
Anche la tua regia è molto interessante, il film è fatto di flashback, transizioni creative, per non parlare delle filastrocche attraverso cui Maria e sua madre comunicano all’inizio. Non è una storia lineare, insomma. Quali sono state le sfide nel realizzare il film e come le hai superate?
La sfida più grande è stata la resistenza che ci è servita per mantenerci sani nel cervello, per preservare la nostra salute mentale mentre eravamo immersi in una storia come questa, e se non avessimo avuto un cast e una troupe così fantastici e pieni di vita, sarebbe potuto diventare una situazione molto cupa. Ma ci volevamo tutti così bene e ci preoccupavamo tanto del benessere e della sicurezza reciproci e ci volevamo davvero profondamente bene, ed è per questo che è stato tutto così facile. Soprattutto quando si trattava delle riprese notturne, dato che ce n’erano molte. Penso che se non ci fossimo voluti così bene e non avessimo avuto una grande chimica in generale, sarebbe stato tutto molto più triste. Anche con pochissime ore di sonno, tutti ridevano e facevamo cose stupide, tutti ci divertivamo un sacco, il che almeno alleggeriva un po’ l’atmosfera anche quando giravamo scene più intense. Non avevo mai fatto niente del genere prima, quindi è stata probabilmente la sfida più grande rimanere sveglia, rimanere lucida, perché dipendeva da me che queste persone si sentissero abbastanza al sicuro da poter affrontare certi argomenti. E lo hanno fatto molto bene.
Attraverso questo film, e soprattutto seguendo il percorso di Maria, impariamo che il dolore e il trauma possono essere superati o, almeno, che possiamo conviverci. Questo punto di vista è anche il tuo modo di vedere le cose e affrontare questo tipo di sentimenti?
Sì, questa storia mi ha salvato la vita! Mentre la scrivevo, stavo davvero per abbandonare tutto, era una storia che avrei lasciato dopo di me quando avevo ormai abbandonato tutto, e sarebbe stata trovata in fondo al mio letto, avvolta in un nastro, affinché le persone la scoprissero e pensassero, “Oh mio Dio, questa ragazza è disgustosa”. Mi ha davvero salvato la vita, scrivere per me è meraviglioso come quando ho la possibilità di girare, e penso che la gioia risieda nel darsi da fare, e se è sufficiente farlo per te stessi e da soli, tutto il resto è un bonus, poter vivere questa esperienza con altre persone è un bonus. Per quanto mi riguarda, io amo immergermi in questi mondi e fuggire dalla realtà, scrivere è un’esorcizzazione del mio passato ed è un’esorcizzazione del distacco da un certo strato del mio passato, e sicuramente una forma di guarigione. E sono sicura che non smetterò mai di scrivere.
Il passato con i suoi ricordi, il presente e il futuro: per Maria e Michael, hanno significati diversi, ma per te invece?
Sono molto pericolosa quando si tratta del passato, lo idealizzo tanto e posso rimanerci bloccata dentro. Sono una persona molto sentimentale, spesso torno indietro nel tempo con la memoria e guardo tutte le videocassette di mia nonna e dei suoi tempi, ho i filmati sul telefono e li guardo di notte, è come un mio piccolo rituale sadico. In generale sono una persona profondamente malinconica, quindi non posso fare a meno di provare certi desideri. Ma i ricordi mi sembrano vivi tanto quanto il presente, e mi sento vicina al passato tanto quanto mi sentivo viva quando era il mio presente. Sono la persona meno presente che potresti mai incontrare, lo nascondo molto bene ma dissociarmi è qualcosa che faccio altrettanto bene; gran parte della mia esistenza consiste nel guardarmi le mani e sentirmi come se mi trovassi in una realtà alternativa, come se fossi in GTA.
Il futuro… Sono consapevole che ciò che mi aspetta è quello che il destino mi riserva, quindi non mi preoccupo davvero del futuro perché penso che sia qualcosa di prestabilito. Fin dall’inizio del film dicevo che ormai era tutto segnato, il film era già successo. E quando lo sai, sai quello che ti aspetta e segui il filo invisibile, viene fuori l’animale che c’è in noi, ed è ciò che Michal e Maria hanno, sanno che in qualche modo sono collegati, che c’è una corda invisibile tra loro. È così che vedo i miei progetti, so quando devo seguire questi sentimenti, scrivere ed esorcizzare – è già tutto nella mia testa.
“Ma i ricordi mi sembrano vivi tanto quanto il presente, e mi sento vicina al passato tanto quanto mi sentivo viva quando era il mio presente“.
Regia e scrittura sono il tuo modo di combinare fantasia e realtà? Cosa rappresentano per te?
Tutto ciò che ho fatto finora si basa su cose reali, anche i miei cortometraggi, i personaggi erano basati su persone che conoscevo, e ho girato tutto dove vivo. Anche la casa in cui abbiamo girato “Hoard“, la seconda, è una casa che si trova dietro l’angolo rispetto a casa mia, quindi somiglia un sacco a casa mia, e anche nella casa che si vede all’inizio del film, abbiamo ricreato il mio salotto a partire da vecchie foto di famiglia, quindi, quando mia madre è arrivata sul set, ha fatto un salto nel passato. Le cose voglio farle solo se sono personali, e anche se non le ho vissute direttamente, ho sempre un legame personale con esse, mi immergo sempre nella mia esperienza e nei miei ricordi. Alcune persone dicono che non fa bene, ma penso: come puoi sbagliare se si tratta di te stesso? Come possono le persone criticare qualcosa di cui sei proprietario e che fa parte della tua vita? A me interessa immortalare i ricordi. Forse persone con cui non parlo più vedranno parti di sé stesse e si riconosceranno, e sapranno che in tutti quei ricordi c’è tanto amore, anche quando non parli più con quelle persone o magari non ci sono più.
Attraverso il nostro lavoro e i nostri progetti, abbiamo l’opportunità di indagare più a fondo dentro di noi stessi. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa attraverso “Hoard”?
Stavo parlando con mia madre e mia sorella di come molte persone trovino il comportamento delle madri a volte sbagliato. Ma noi siamo cresciute in una famiglia molto disfunzionale, in un certo senso, e molte persone dicono che l’amore è così volatile e così reale, ma anche le nostre emozioni sono intense e stagnanti, ed è qualcosa che ho realizzato mentre facevo questo film; riguardo al film stesso, ogni volta, e anche quando si tratta di me stessa, ho scoperto cose che non avrei mai collegato o sincronizzato. È uno di quei film che guarderesti più e più volte e scopriresti sempre più cose. Sto imparando che il mondo ti rende più umile… Ho imparato molto su me stessa durante questo progetto, e soprattutto che posso farcela.
Di solito durante le nostre interviste chiediamo “qual è il tuo posto felice,” ma invece a te chiederei: qial è il tuo nidus, il tuo nido?
Vuoi la verità? Quattro giorni senza lavarmi. Nel mio letto. Probabilmente perdendo un paio di strati di pelle, mangiando pane tostato e tè zuccherato, e guardando film. Il collo sul petto e le braccia sospese dal letto.
Photos by Luca Ortolani