Due sono i doni più preziosi della vita: saper vivere il presente e trovare qualcuno con il quale ci si sente talmente in sintonia da sentirsi liberi di sperimentare di lasciarsi andare. Quando si guarda “Hoard“, si ha la sensazione che Saura Lightfoot-Leon e Joseph Quinn, che interpretano i protagonisti Maria e Michael, abbiamo avuto questa fortuna. Quando li si incontra per parlare del film e della loro esperienza sul set, se ne ha la conferma: Saura e Joseph raccontano di questa storia così densa e viscerale, che ha richiesto una grande fiducia nelle loro capacità e l’uno con l’altra, che sembra quasi di poter percepire l’atmosfera sul set, la chimica che si è instaurata tra loro e il desiderio di dare il massimo, proprio perché nel progetto e nelle relazioni umane che ne sono scaturite ci hanno creduto veramente. Senza mai dimenticare l’importanza del presente in quanto dono da vivere a pieno e dell’amore, intenso sia come mezzo per tornare in sé che come sentimento che ci aiuta a connetterci con noi stessi e con gli altri.
“Hoard” è stato un film piuttosto intenso. Qual è stata la vostra prima reazione quando avete letto la sceneggiatura?
S: Mi ha lasciata confusa, perché il dialetto è molto specifico, quello di Maria non è il mio accento personale, e nella sceneggiatura c’è un’abbondanza di gergo che non capivo interamente cosa significasse… Ma più leggevo, e più provavo emozioni forti. Ricordo che ero sul mio letto e leggevo la sceneggiatura in continuazione; la prima cosa che ho fatto è stata metabolizzarla, perché ho avuto una reazione fisica molto intensa che da allora non mi ha mai lasciata. Dal momento in cui ho fatto l’audizione, non mi ha mai abbandonata. Ho iniziato a sognare questa storia abbastanza rapidamente. Quando si sono verificate tutte queste reazioni intense, mi sono resa conto di quanto siano rare per me, non sempre accadono e quello che stavo per fare era molto viscerale. Quindi, non appena ho ricevuto la sceneggiatura, ho realizzato che avevo ricevuto un dono e che dovevo viverlo in prima persona, perchè stava crescendo dentro di me abbastanza rapidamente.
Vi ricordate la prima domanda che avete fatto a Luna Carmoon?
J: Ma che problemi hai? [ride]
S: All’inizio non le ho fatto molte domande, volevo solo incontrarla. Volevo avere un’idea di chi fosse la persona dietro la storia, anche se avevo già una mia ipotesi, grazie al suo lavoro. C’è molto di se stessa nel suo lavoro, è realistico sotto molti, molti aspetti. Non penso che siano emerse domande. Non ho chiesto troppo perché mi piaceva il mistero.
Come avete costruito i personaggi di Maria e Michael? Quali sono state le principali sfide in questo processo?
J: Penso che il lavoro con Luna abbia avuto molto a che fare con il trauma, i rapporti traumatici e la comprensione: c’era una certa reciprocità nelle esperienze di questi due personaggi che li accomunava, che accresceva in loro il desiderio di conoscersi a vicenda. Alla fine, quindi, abbiamo lavorato su questo concetto. Naturalmente, abbiamo avuto i nostri processi indipendenti di preparazione, io ad esempio ho dovuto mettere su un po’ di peso, ma a parte questo, gran parte del materiale dipendeva da ciò che accadeva sul momento. Non è una peculiarità esclusiva di questo film, ma penso che risuoni davvero in quei momenti di spontaneità e quando sembra davvero che stia accadendo, e questo può verificarsi solo se hai la massima fiducia nel tuo partner di scena e nel loro talento. E l’ho avuta fin da subito con Saura, quindi sono stato molto fortunato.
S: Il mio accento era molto strano, ne ero consapevole, e lo sono tutt’ora, mi ci è voluto parecchio per renderlo mio. È decisamente migliorato dall’inizio! La tua voce è uno strumento in quanto attore attore, e le parole mi terrorizzano, motivo per cui ho iniziato a recitare… È strano, ma a volte ho paura di parlare, mi sento molto più a mio agio fisicamente, quindi penso di aver realizzato che molto del personaggio che avrei dovuto interpretare, che non viveva già dentro di me, era la mia vera voce. Il tuo tono cambia il modo in cui ti muovi, cambia il modo in cui interagisci, cambia ciò che senti, quindi è stato un lavoro enorme. L’accento è stata la sfida più grande per me.
“C’era una certa reciprocità nelle esperienze di questi due personaggi che li accomunava, che accresceva in loro il desiderio di conoscersi a vicenda”
E sul rapporto che avete costruito per interpretare Maria e Michael? C’è questa bellissima scena in salotto, quando giocano, litigano, si lasciano andare, ed è fondamentalmente un crescendo che rappresenta molto bene il legame tra loro.
J: La chimica è una di quelle cose che non puoi coltivare o forzare penso, succede o non succede.
È fidarsi l’uno dell’altro e dire di sì a ciò che hanno pensato e cercare di tirarne fuori qualcosa, e questo si spera generi una reazione a catena a livello fisico. Non è colpa di nessuno se la chimica non c’è, ma è una cosa bellissima quando accade ed è molto stimolante lavorare con qualcuno che ti sorprende e che ha voglia di rischiare. Ed è proprio quello che Saura fa!
S: [A Joseph] Sono d’accordo con tutto quello che hai detto. Se ti siedi con le persone per un gioco, puoi vedere come sono fatte veramente. Come hai detto, non si può creare la chimica, non puoi forzarla, è lì, la senti, è una vibrazione, è una sensazione di formicolio, e poi il gioco inizia. Gran parte della recitazione è come un gioco, penso, specialmente con “Hoard”, è molto divertente. [A Joseph] Mi hai fatto venire voglia di giocare ancora di più, mi hai fatto venire voglia di lanciare più carte e vedere cosa avevi da offrire. Quando ci si mette alla prova l’un l’altro e iniziate a costruire quel tipo relazione, e si fanno cazzate pazzesche insieme per sei settimane, ci si inizia a conoscere abbastanza bene e a gestire i momenti più intensi. È una combinazione diversa di cose, ma non la crei in laboratorio; è lì, e si possono aggiungere gli ingredienti giusti per averla.
Ho avuto la sensazione che Michael sia in qualche modo sospeso tra passato, presente e futuro. Ti capita mai di sentirti così?
J: Immagino che tutti lo facciano a volte, penso che tutti attraversiamo delle fasi della nostra vita in cui ci sentiamo intrappolati, o sentiamo che qualcosa ci sta trattenendo, o in cui siamo incerti sul futuro. Cercare di rimanere presenti ti assolve dagli errori che hai fatto in passato, ti permette di perdonare te stesso e di non preoccuparti del futuro. Se continui a ripensare al passato, non stai vivendo nel presente; se sei preoccupato per il futuro, non stai vivendo nel presente. E sapete perché lo chiamano “il presente”? Perché è un regalo! Quindi, devi essere grato per il presente, per ottenere il massimo da questo dono … Non farti fare una ricevuta per questo regalo, non restituirlo, ne hai bisogno.
Ad ogni modo, questa è la migliore domanda che penso mi sia mai stata fatta! Domanda incredibile.
“E sapete perché lo chiamano ‘il presente’? Perché è un regalo!”
All’inizio del film, Maria dice “si è trovata nelle cose”. Quali sono le cose che aiutano entrambi a ritrovare se stessi quando vi sentite persi?
S: Una di queste è effettivamente presente nel film, è un oggetto personale. Sai quella domanda “Cosa porteresti su un’isola deserta con te?”. Beh, quello che porterei con me è un orsetto di peluche, che non è più così coccoloso. È stato con me tutto il tempo e ha viaggiato per il mondo con me. Quindi, è un mio ninnolo. Il mio orsetto profuma di casa, mi tranquillizza, lo porto davvero ovunque, penso che avrei un attacco di panico se lo perdessi! [ride] È stata la prima cosa che i miei genitori mi hanno preso, l’unica cosa che i miei genitori mi hanno preso prima che io nascessi; è con me pure ora, qui a Venezia, si sta divertendo molto.
J: Per me, penso che sia parlare con persone di cui mi fido e a cui tengo, trovo che funzioni sempre. Questo stile di vita può essere parecchio inebriante e confusionario, è fantastico ovviamente, ma può essere solitario, quindi mantenere il contatto con i miei amici mi motiva davvero e mi riporta a me stesso.
Quali sono i vostri cataloghi d’amore?
S: Musica, la musica che condivido con la mia famiglia. Alcune persone nella mia famiglia sono ballerini e artisti, e ho imparato che la musica è un mezzo immediato per entrare in contatto con i propri sentimenti.
J: Il mio catalogo è Spotify! [ride]
S: Sì! [ride] La musica è ciò che ti aiuta a sentire le emozioni e che ti connette a te stesso. Qual è qualcosa che puoi condividere invece? Tipo il cibo…
J: Oh sì… Tutte le cose che ami: questo è il catalogo dell’amore!
S: Cose di cui non puoi fare a meno e che tirano fuori qualcosa da te che è spontaneo e che sembra facile, leggero e amorevole.
Photos by Johnny Carrano.