Per definizione, l’attore è colui che “fa cose”, davanti a un pubblico nella maggior parte dei casi, e che nel fare suddette cose ha un certo talento, innato o più o meno acquisito. Secondo alcune scuole di pensiero, gli attori spesso nascono tali: le loro abilità e propensioni si manifestano in età infantile o poco dopo, per poi svilupparsi ed evolvere e, magari, chissà, trasformarsi o espandersi anche in maniera inaspettata. Queste “cose” che gli attori fanno sono, in sostanza, cambiare aspetto, cambiare abitudini, cambiare voce, per un periodo di tempo limitato: in una parola, “interpretare”. Ed è insito nella natura degli attori, così come parte della loro formazione, spingere i confini delle proprie abilità il più lontano possibile, oltre i loro record, zona di comfort, canoni, consuetudini. D’altra parte, se pensiamo all’origine della settima arte, ovvero il teatro greco, gli attori agli albori non erano solo interpreti di testi, ma anche cantori di poesie epiche, coinvolti in cori e danze elaborate. Insomma, gli attori hanno sempre lavorato per sorprendere, chi li guarda così come sé stessi. Alcune cose, però, a volte proprio non te le immagini – come l’ex 007 Pierce Brosnan che insegue Meryl Streep in un idillico borgo della Grecia cantando (e sottolineo, CANTANDO) gli Abba: “So when you’re near me, darling / Can’t you hear me, S.O.S.? / The love you gave me / Nothing else can save me, S.O.S.”.
Se mi soffermo un attimo a pensare a chi negli ultimi tempi ha fatto cose che mai avrei pensato fosse in grado di (o disposto a) fare… in effetti mi vengono in mente due o tre nomi.
Ryan Tony-Award Gosling
Ryan Gosling, signore e signori: l’attore di “Drive”, “First Man”, “Blade Runner”, “Il caso Thomas Crawford” e, d’accordo, anche di “Crazy, Stupid Love” e “Le pagine della nostra vita”, ma, insomma, uno tutto d’un pezzo, che fa sempre la parte del maschio alfa muscoloso e schivo che ti apre tutti i barattoli e non ha paura dei ragni. Alla prima nota musicale che ha emesso in “La La Land” e, soprattutto, al primo passo di tip tap che gli ho visto fare in “completo di poliestere lana”, ho perso ogni cognizione dello spazio-tempo. Ma la volta in cui Ryan mi ha fatto (piacevolmente) perdere ogni certezza è stata quando si è messo a piroettare nel mondo rosa shocking di “Barbie”, con ciuffo biondo platino e rollerblade. Chi l’avrebbe mai detto che Ryan Gosling sapesse cantare e ballare? E che un giorno avrebbe conquistato il pubblico del Dolby Theater con la performance musicale migliore della cerimonia degli Oscar?
I tempi antichi al Mickey Mouse Club al fianco di Justin Timberlake e Britney Spears devono avuto un certo impatto…
Il Lato Oscuro di Timotheé Chalamet
Timmy, Sweet Tea, Lil’ Timmy Tim, e chi più ne ha più ne metta: Timothée Chalamet è il cutie pie più rinomato sin dal suo debutto internazionale in “Chiamami col tuo nome”, confermando il suo status di Internet boyfriend con una serie di interpretazioni accomunate da un fil rouge: solo personaggi belli, bravi e buoni. Il tossicodipendente pentito di “Beautiful Boy”, il sedotto e abbandonato orfanello di “Piccole donne”, il cioccolatiere sognatore di “Wonka”, l’erede pacifista del duca Leto Atreides di “Dune”… Ma parliamo di “Dune 2”: Paul Atreides è ormai l’unico sopravvissuto della casa Atreides, solo in mezzo ai Fremen, in un deserto abitato dai letali Vermi delle sabbie, minacciato dagli Harkonnen assetati di potere e di Spezia. Così, tra prove di coraggio e test di lealtà, il giovane Paul diventa il grande Paul Muad’Dib Usul, che dalla lingua dei Fremen si traduce come “Paul Topo del deserto Piccolo insetto”. [Qui spoiler alert] Chi se l’aspettava, quindi, la svolta sanguinaria, spietata e insolente di Paul topo-insetto nella seconda metà del film? Ma soprattutto, chi se l’aspettava che Timothée sa fare il brutto e cattivo e che sa anche fare paura?
Harry Styles (Non?) Sa Recitare
Per restare nel giardino degli Internet boyfriend, oggi per Harry Styles sono tempi ben lontani dall’era di “What Makes You Beautiful”/”Stockholm Syndrome”/”Made in the A.M.” della boy band che lo ha partorito. Sono tempi più vicini ai tour mondiali da solista e ai Grammy Award e alle Gucci campaign. Sono i tempi dell’esplorazione e della sperimentazione. E così, tra una ricerca dell’identità e l’altra, l’ex One Direction ci ha sfornato ben tre film nel giro di pressoché un anno, perché why not, quanto può essere diverso il mestiere del cantante da quello dell’attore? (Spoiler: un po’). Ci ha disorientati in tutina spandex nel ruolo del supereroe Starfox in “Eternals”, ci ha sconvolti nella parte del co-protagonista manipolatore sessuale di “Don’t Worry Darling”, ci ha sorpresi nei panni del protagonista poliziotto omosessuale di “My Policeman”. Insomma, il tempo di dire watermelon sugar e Harry ci ha disorientati, sconvolti e sorpresi. E come se non bastasse, ora si è tagliato i capelli.
La Trachea di Florence Pugh
Sapevate che Florence Pugh ha un fratello che fa il musicista? In arte Toby Sebastian, ad oggi ha pubblicato un album e un EP. E se già lo sapevate, avete mai ascoltato la sua “Midnight”? E se conoscete la canzone, avete presente la voce femminile in sottofondo? Ecco, quella lì è la voce di Florence. Rauca, profonda, piacevolissima, non solo quando recita, ma anche quando canta. Sin da bambina, Florence soffre di una rara patologia che condiziona il corretto funzionamento della sua trachea, causandole difficoltà respiratorie (se si becca un brutto raffreddore). Questa malattia, che è anche all’origine della voce bassa e sensuale che la contraddistingue, non le ha mai impedito di usare le sue corde vocali non solo per recitare ma anche per cantare. Da ragazzina pubblicava su YouTube cover di canzoni famose con lo pseudonimo di Flossie Rose, e adesso fa duetti con suo fratello e canta anche nei suoi film, dietro le quinte come per la colonna sonora di “Don’t Worry Darling”, o davanti alla camera come in “A Good Person”.
Alessandro Borghi (Inter)nazionale
L’attore italiano del momento, ora sulla bocca di tutti per la sua interpretazione di Rocco Siffredi nella serie Netflix “Supersex”, è protagonista di alcuni dei film italiani più popolari dell’ultimo decennio, tra “Napoli Velata”, “Non essere cattivo”, “Sulla mia pelle” e la serie TV sulla mafia romana “Suburra”. Ma come ci è finito sullo schermo insieme a Patrik Dempsey? E com’è che sembra più madrelingua inglese di lui? Ebbene, il nostro Alesssandrone nazionale si sta facendo conoscere sempre di più all’estero, forse proprio grazie alla serie di Sky “Diavoli” in cui interpreta il responsabile del trading presso la New York-London Investment Bank (NYL) in piena crisi finanziaria, e Dempsey è il suo mentore-complice speculatore. Guadagnando sempre più visibilità internazionale, Borghi poi ha anche collaborato con il regista olandese Felix Van Groeningen (“Alabama Monroe”, “Beautiful Boy”) recitando ne “Le otto montagne”.
In due parole: orgoglio nazionale.
Austin Butler-Presley
“We’re caught in a trap / I can’t walk out / Because I love you too much, baby”, canta Elvis Presley in uno dei suoi più grandi successi, e in una delle sue esibizioni più iconiche, che è anche una delle scene più iconiche di “Elvis”, il suo biopic. Qui un Austin Butler mega truccato e mega sudato impersona il re del rock ‘n’ roll durante uno dei primi concerti che hanno consacrato il suo successo. Il film alterna canzoni originali a cover cantate da Butler in persona, e incredibile ma vero, si fa davvero fatica a notare la differenza tra le due voci. Plausibile che l’aiuto del sound mixing e di vari strumenti tecnologici nelle canzoni abbia manipolato la voce dell’attore per renderla il più simile possibile a quella di Elvis. Ma sulle parti recitate, sui dialoghi e monologhi c’è ben poco da manipolare. La voce di Austin, nel film, è spaventosamente uguale a quella di Elvis. Il suo vocal e dialect coach ha svolto un lavoro magistrale nell’aiutarlo a perfezionare timbro e accento, così magistrale che alla fine la situazione dev’essere sfuggita a tutti di mano: l’attore ha dichiaratamente confessato che sta facendo una fatica immane a liberarsi di Elvis. E così, Austin Butler ci ha regalato una delle personificazioni migliori del cinema degli ultimi anni, appropriandosi della voce del cantante come se gli fosse naturale. Tuttavia, ahimè, quest’ultima non se n’è mai andata via.
Lo Chiamavano Luca Marinelli
Luca Marinelli AKA l’attore più timido e goffo d’Italia. Mi viene subito in mente un aneddoto che mi piace raccontare su quella volta in cui, alla Mostra del Cinema di Venezia, l’ho incrociato sulla soglia dell’ingresso secondario di un hotel. Luca stava uscendo e io invece dovevo entrare, ma la porta era molto stretta e in due contemporaneamente non ci potevamo passare; insomma, avete presente quando in situazioni del genere non ci si coordina e si finisce uno addosso all’altro? Ecco, quella volta noi due non solo ci siamo scontrati, ma gli ho anche trafitto lo stomaco col mio gomito affilato. A quel punto, mi ha assalito un senso di mortificazione letale, ma Marinelli sembrava dieci volte più mortificato di me. Mi ha chiesto scusa lui prima che lo facessi io (scusa perché le mie costole non avrebbero mai dovuto intralciare il tuo gomito???). Se il quadro dell’attore è questo qui, quello di una persona estremamente gentile, riservata, semplice, sulle sue, la genesi dello Zingaro di “Lo chiamavano Jeeg Robot” qual è stata? Non me lo sarei mai immaginato Luca Marinelli che canta la migliore cover di “Un’emozione da poco” in completo di lustrini e guanti di pelle. È proprio vero che davanti a camera e luci tutto ciò che c’è intorno smette di avere importanza, ed esiste solo l’arte.
Diane Keaton Dietro la Camera
Gli attori-registi sono tantissimi, tra i nomi più noti Bradley Cooper, Clint Eastwood, Woody Allen, Kenneth Branagh, Ben Affleck. Un trend degli ultimi anni è stato anche dare visibilità al lavoro direttoriale meno conosciuto e riconosciuto delle attrici, come Olivia Wilde, Greta Gerwig, Angelina Jolie, la nostra Paola Cortellesi. La figura dell’attore-regista, dunque, non è niente di straordinario, anzi, una combo di mestieri piuttosto diffusa e che prima o poi ci si aspetta accada. Tuttavia, quando io, in pieno binge-watch della seconda stagione de “I segreti di Twin Peaks” – quella in cui David Lynch ha mollato baracche e burattini e lasciato dirigere le puntate ad altre persone – sono arrivata all’episodio 15, “Schiavi e padroni”, e tra i titoli di testa ho letto “Directed by Diane Keaton”, sono saltata in aria e ho emesso un urletto sonoro. Numero uno, perché Diane Keaton è una delle mie attrici preferite in assoluto e qualsiasi cosa lei abbia fatto, io l’ho vista; numero due, perché non sapevo e non mi aspettavo che Diane Keaton avesse anche esperienze di regia; i suoi lavori probabilmente non sono mai stati “sponsorizzati” tanto quanto quelli delle registe-attrici del momento. Quella puntata di “Twin Peaks” non è, infatti, il suo directorial debut, e nemmeno un episodio isolato, ma è stata preceduta e seguita da una serie di altri progetti di regia.
Il Primo Amore di David Lynch?
La pittura. Il regista David Lynch (“Elephant Man”, “Mullholland Drive”, “Blue Velvet”, “I segreti di Twin Peaks”) nasce pittore, quando di studiare e della scuola non voleva saperne niente e passava ore e ore nello studio del padre di un suo amico a dipingere, mentre i suoi genitori pensavano che non rispettasse il coprifuoco perché era un depravato alcolista e tossico. C’è un bellissimo documentario intitolato “David Lynch: The Art Life” che esplora proprio questo: come il regista abbia scoperto il mestiere che alla fine gli ha dato più soddisfazioni (quantomeno a livello economico e di popolarità) a partire da una forma d’arte molto diversa, che è stata il suo primo amore e che, come tale, continua ad occupare un posto di rilievo nel suo cuore e nella sua vita. L’arte di Lynch è criptica e cupa come i suoi film, uno specchio più splatter e, se vogliamo, perfino più onirico di questi ultimi, la manifestazione più chiara ed evidente di cosa diavolo c’è nella testa di uno degli artisti più versatili e visionari dei nostri tempi.