Un film fatto di sensazioni, silenzi, parole urlate e cose mai dette.
“La seconda vita” del regista Vito Palmieri parla di riparazione, perdono ma, soprattutto, di perdono impossibile.
La protagonista Anna, interpretata da Marianna Fontana, incarna con cura e riflessione un personaggio tanto complesso quanto affascinante. Marianna è una donna dalla grande sensibilità, che emerge sempre sullo schermo, e che si rivela altrettanto autentica nella sua vita.
Ho rivisto Marianna dopo alcuni anni ed è stato bello parlare con lei di vita e del film: con noi ha condiviso i suoi pensieri su Anna, un personaggio che, nonostante le sue ombre, riesce a risplendere di umanità.
Abbiamo parlato di cinema, di umanità, di crescita personale, un nuovo approccio alla vita e al lavoro, che la porta a dare più spazio a sé stessa e alle sue esigenze.
Con uno sguardo sempre autentico sul mondo, abbiamo scoperto il potere dei piccoli gesti, l’importanza del perdono e la bellezza di rimanere fedeli a se stessi.
Mi è piaciuto molto “La seconda vita”, l’ho trovato un film sincero e molto delicato su un argomento davvero grande, c’è un po’ di tutto lì dentro: il perdono, la gentilezza, la cattiveria, l’indecisione, la violenza e la delicatezza. Come è stato leggere la sceneggiatura per la prima volta?
La sceneggiatura di quel film mi è arrivata l’anno scorso: quando l’ho letta mi ha colpita moltissimo. Il mio è un personaggio che non si vede mai al cinema, perché è una di quelle figure che nella vita restano sempre nell’ombra; della sceneggiatura, quindi, mi è piaciuta subito l’idea di dare luce a questo personaggio, soprattutto perché ha capito i suoi errori.
Tra l’altro, qualche giorno fa siamo stati nel carcere di Volterra, dove ho incontrato i detenuti: un’emozione indescrivibile che mi porto ancora addosso.
Insomma, ho subito voluto lavorare su questo personaggio. C’è stata una preparazione di circa due mesi con Vito Palmieri, il regista, che ha diretto anche un documentario su questo tema, intitolato “Riparazioni”, e ha fatto delle lezioni di cinema nel carcere di Bologna e Volterra, quindi conosceva molto bene l’argomento. Poi, ho incontrato una criminologa che mi ha spiegato tutto il processo che queste persone compiono durante il loro percorso: così, piano piano, mi sono relazionata ad Anna. È stato anche un grande lavoro interiore, fatto di silenzi, perché questo personaggio porta con sé una solitudine importante. Questi sono stati gli aspetti del film che mi hanno colpito per primi.
Ho notato che Anna ha un’aria spesso spaventata e titubante, fa fatica a guardare negli occhi le persone quando parla, ma allo stesso tempo è molto decisa quando deve rispondere/difendersi. Come hai unito queste due parti di lei?
Su questo con Vito abbiamo ragionato molto: Anna è un personaggio che ha vissuto in carcere, quindi ovviamente la sua non è stata vita, ma sopravvivenza, perché in carcere si “lotta” per la sopravvivenza, con passati turbolenti alle spalle. Quindi, quando esce dal carcere, si sente quasi come una bambina, che esce dalla sua stanza e si affaccia nel mondo. Non riesce ad affrontare lo sguardo degli altri perché è uno sguardo che farebbe di lei una persona del futuro, vedendola come lei vorrebbe essere, e per questo abbiamo lavorato molto sull’evitare questi sguardi, anche se Antonio, da un certo punto in poi Anna lo inizia a guardare negli occhi.
Abbiamo unito queste due parti di lei con un lavoro sempre graduale, sempre incentrato sull’importanza dei silenzi. Anna si porta addosso un grande peso, e la sua pena continua a scontarla anche fuori dal carcere, perché è un dolore che non si risanerà mai. Ecco perché sono gli altri che la guardano, mentre lei non guarda mai.
“SILENZI”
Un tema del film è anche quello de “il tempo per stare bene”. Quanto importante è per te personalmente avere il tempo per sentirti bene?
È tanto importante. Devo dire che nell’ultimo anno sto cercando di trovare molto più tempo per me stessa. Dai 18 ai 25 anni, infatti, non ci ho mai pensato molto, sono sempre stata molto di fretta; quest’ultimo anno, invece, sarà perché sto entrando in un’altra fase della mia vita, ma ho deciso che tutto quello che farò lo farò “per me stessa”: mi prenderò più tempo per me, a partire da piccole cose come farmi fare massaggi ogni tanto, andare in palestra, passare più tempo in famiglia, con gli amici e le persone a cui voglio bene.
Sicuramente, come hai detto anche tu, è anche una conseguenza dell’età, della tua crescita, motivo per cui hai acquisito anche più consapevolezza di te stessa e riesci a darti delle priorità. Piano piano capisci che trovare del tempo per trattarti un po’ meglio è fondamentale e spesso viene prima del resto.
Tornando al film, Antonio ha paura di cominciare a lavorare alla campana perché “è troppo importante per tutti”. Hai mai avuto paura di intraprendere un progetto proprio per questo motivo? E poi, lo hai fatto?
Sono sempre abbastanza istintiva: se accetto di fare una cosa, non ho paura di farla, mi butto. Di questo progetto, non ho mai avuto paura. Sicuramente c’è stata una ricerca importante, perché Anna è un personaggio importante, con un passato molto importante.
Se inizio ad avere paura, mi blocco, quindi cerco sempre di andare oltre quella che è “la paura di Marianna”, cerco sempre di mettere davanti il personaggio, quelli che sono i sentimenti e la vita del personaggio che poi prenderà una forma.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa? Dopo questa esperienza, magari, hai acquisito nuove consapevolezze o imparato qualcosa di nuovo su di te?
Io sono sempre stata una grande ascoltatrice e ultimamente lo sono diventata ancora di più. Questo lavoro, con il tempo, mi ha insegnato ad ascoltare gli altri ancora di più, a non fuggire dalle situazioni, perché essendo molto istintiva, avevo la tendenza a scappare. Ormai sono quasi 10 anni che lavoro in questo ambiente, e negli ultimi tempi ho scoperto che riesco a stare più nelle cose e semplicemente ad ascoltare. Lo facevo anche prima, ma diversamente, ora ci do ancora più importanza.
A volte i piccoli gesti fanno la differenza, come la commessa alla tabaccheria che fa una gentilezza nei confronti di Anna, quasi per farla sentire integrata (anche se poi sappiamo che non sarà sempre gentile) e quel momento così breve scalda un po’ il cuore. Quanto sono importanti per te, nella vita di tutti i giorni, i piccoli gesti di gentilezza?
Tantissimo, io vivo di piccoli gesti. Mi basta una telefonata, un caffè, una chiacchiera, e io ti do tutta l’anima. È a partire dalle piccole cose che si costruiscono i rapporti umani, le grandi amicizie e i grandi amori. Non sono sempre bravissima, ma quando posso cerco sempre di fare piccole cose per gli altri.
A me piace tanto anche pensare ai piccoli gesti di gentilezza nei confronti degli sconosciuti e a quanto possano essere importanti. Sembrano stupidaggini, ma oggi, dove siamo tutti sempre di fretta, possono cambiarti la giornata.
E poi quando trovi una persona sola e tu, da essere umano, lo percepisci, come Anna, che ha una solitudine importante addosso, compiere per lui o lei un piccolo gesto di gentilezza, come può essere anche solo un sorriso, può essere una grande rivoluzione.
“È a partire dalle piccole cose che si costruiscono i rapporti umani, le grandi amicizie e i grandi amori”.
“Riparazione” è una parola bellissima, sia che si tratti del lavoro di un fabbro come Antonio che quella del percorso che deve fare Anna. A te cosa fa pensare la parola “riparazione”?
Parto dal presupposto che a me piace molto la medicina. “Riparazione” è una parola che mi trasmette un senso di “cura” fisica e spirituale e, infatti, per me “riparare” significa cercare di lenire la ferita di una persona e mettere insieme dei pezzi, aggiustare, costruire una casa mattoncino per mattoncino. Ecco, la parola “riparazione” mi dà l’immagine di una casa a soqquadro che viene messa a posto. Nella casa noi ci viviamo, e infatti rappresenta un po’ noi stessi. Poi, mi fa anche pensare a una crema messa su una ferita.
Il film parla molto di perdono, di quello degli altri, di quello che sembra anche impossibile, come quello della madre… ma forse quello che diamo, o non diamo, a noi stessi è il più difficile, non credi?
Anna non si è perdonata, nonostante sia andata in un nuovo paese per cercare di ricostruirsi una nuova vita; non si perdonerà mai per quello che ha fatto, soprattutto perché ha capito la gravità del suo errore. Nonostante il processo di riparazione, la sua ferita rimarrà sempre aperta. Il personaggio di Anna mi è piaciuto molto anche perché lei cerca costantemente di rivoluzionarsi e migliorarsi, e questa è una cosa molto bella.
Mi chiedo: chi sono io per non perdonare una persona che magari ha capito il suo errore? Ci vedo molta umanità in questo elemento del perdono, credo sia visibile quando una persona non si è perdonata oppure ha commesso un errore e ha capito. Anna sicuramente cerca di farsi una nuova vita, ma questo suo passato le farà sempre visita. Le cose passate, sì, sono passate, ma ti restano sempre dentro; si può migliorare, certo, ma quando si commettono errori importanti, è complicato.
“Le cose passate, sì, sono passate, ma ti restano sempre dentro”.
L’acqua nel film rappresenta la morte, ma verso la fine anche la salvezza e poi la rassegnazione… Per te cosa rappresenta invece?
Io bevo un sacco di acqua, per esempio, e lo trovo un elemento molto affascinante. Mi dà un senso di femminilità, forse perché già nell’utero materno noi siamo nell’acqua. In questo film, è stato molto importante lavorare su questo elemento e sulle sensazioni che trasmette. L’immersione di Anna è, sì, rassegnazione, ma anche una sorta di accettazione di quello che ha fatto. Nel monologo finale, infatti, lei dice, “Io sono questa, io ho fatto questo e non ce la faccio più a nascondermi”. Così accetta quello che ha fatto, in un certo senso, rassegnata anche, come dicevi.
Io poi sono di Caserta, ma ho vissuto anche a Napoli, e quindi il mare è un elemento che sento molto: ho sempre bisogno di tornare a Napoli e di vedere il mare. Il mare mi dà nuova energia, anche solo il suo odore. L’acqua, insomma, anche per il fatto che viene depurata, nutre la terra, è un elemento che mi affascina tanto.
In un’intervista il regista ha parlato dell’importanza dei dettagli nel paesaggio come metafora per le emozioni dei protagonisti. Come hai trovato il modo di esprimere questo simbolismo attraverso la tua interpretazione e le interazioni con l’ambiente circostante?
Io Peccioli non la conoscevo, è una bellissima città e lì si mangia benissimo. Prima di girare il film, io e Vito ci siamo andati per fare alcuni sopralluoghi, e subito ho sentito una connessione con il personaggio. È un paese molto emblematico; basti pensare alla discarica come posto dove vengono portati i rifiuti e gli scarti tossici: in quel posto, invece, quelli che possono sembrare scarti vengono portati in un posto bellissimo con un odore particolare, buono. Girare lì è stato fondamentale per questo personaggio perché è un posto che lo rappresenta appieno, proprio metaforicamente parlando: è il luogo di rinascita, dove non si respira aria sporca, è puro, anche le persone lo sono, è un paesino molto accogliente, anche se Anna ci mette un po’ ad ambientarsi nel film.
Ho subito avuto la sensazione che solo a Peccioli si potesse girare quella storia, con quel personaggio lì.
E si nota vedendo il film. Poi, c’è una bellissima fotografia, immagini che si legano perfettamente alle emozioni dei personaggi. “La seconda vita”: tu, Marianna, cosa faresti in una seconda vita?
Che domandona, me lo chiedo spesso!
In una seconda vita, sicuramente avrei fatto qualcosa di artistico. Musica, cinema e l’arte in generale mi sono sempre piaciuti. Anche il mestiere del medico mi ha sempre affascinata, ma non so fino a che punto mi spingerei, perché sono abbastanza ipocondriaca! Ti dirò la verità, io in una seconda vita farei quello che faccio in questa, non so dove e come, ma rimarrei sempre nel mondo dell’arte.
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Sai che forse non c’è ancora stato? È un atto importante, per cui devi uscire al di fuori delle regole… Nel mio piccolo, magari trasferirmi da un paesino in una città può essere stato un atto di ribellione, così come fare il mestiere che faccio e crederci sempre. È un lavoro difficile, che non ti dà sicurezze, soprattutto se lo porti avanti per un po’. Ecco, il mio atto di ribellione è stato credere in questo, avere la fortuna di farlo abbastanza presto con film molto belli che mi hanno aiutata molto a crescere.
Credere che nel futuro potrò fare questo credo sia un grande atto di ribellione.
“CREDERE IN QUESTO”
Di cosa hai paura?
Della cattiveria. Dell’odio. Delle guerre. Ho paura quando al telegiornale ascolto che ci sono uomini che si odiano. Se continuiamo così non so dove andremo e questa prospettiva mi fa molta paura.
Quand’è invece che ti senti più al sicuro?
Mi sento molto al sicuro al cinema, perché mi trasmette sensazioni che mi fanno stare bene e sentire protetta. Forse perché attraverso lo schermo hai modo di viaggiare, entrando in un mondo diverso.
Qual è la tua isola felice?
Sempre il cinema. Io se potessi ci andrei tutti i giorni.
Qual è l’ultimo film che hai visto e ti è piaciuto?
L’ultimo è stato “Another End” di Piero Messina, mi è piaciuto molto. Anche “La sala professori”, “La zona d’interesse”: direi che ultimamente al cinema sto vedendo tanti bei film.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup and Hair by Maddalena Pasquini.
Styling by Andreas Mercante.
Location: Agriturismo Colle dell’acero – Azienda agricola Elio Iacchelli.
Total Look: Fendi.
Thanks to Andreas Mercante & Edoardo Andrini PR Talent Agency.