Il percorso di Jurnee Smollett come attrice è una testimonianza della sua dedizione, del suo talento e dei ruoli profondi e “pericolosi” che decide di interpretare. Nel suo ultimo film, “The Order”, presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia di quest’anno, Jurnee continua a mettersi alla prova, affrontando un capitolo oscuro della storia americana. Il film tratta temi pesanti come il terrorismo domestico e la supremazia bianca, argomenti che richiedono una profondità emotiva e una comprensione totale delle complessità della natura umana e della società.
La nostra è stata una conversazione piena di spunti, in cui Jurnee ha riflettuto sulla sua esperienza nella preparazione del ruolo, sul suo approccio nel dare vita a personaggi così intensi, e sul suo legame personale con i temi del film. Inoltre, ha parlato del suo processo riflessivo, guidato dal suo impegno nel raccontare storie che riflettono il mondo intorno a noi, pur affrontando i lati più oscuri dell’esperienza umana.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Io e la mia famiglia che guardiamo “The Lucy Show”, una sitcom iconica degli anni ’50 in bianco e nero. Lucille Ball ha avuto un grande impatto sul mio lavoro perché lo guardavo spessissimo! [ride] Il suo film con Gene Kelly, “Mademoiselle du Barry”, è uno dei primi che ho visto. È un sacco che non lo guardo, non ricordo bene di cosa parli, ma ricordo che ero incantata dalla musica, dai balletti, dai costumi e dalla fotografia in technicolor.
Invece, credo che il mio primo ricordo di un film visto al cinema sia “Malcolm X”, il cult di Spike Lee.
“The Order” affronta un argomento pesante – il terrorismo domestico e la supremazia bianca. Qual è stato l’aspetto più difficile del confrontarti con questo pezzo di storia americana e come hai gestito il peso emotivo di questi temi?
È una bella domanda. La sfida più grande è stata fare molte ricerche. Il film si basa su un libro chiamato “The Silent Brotherhood” e leggerlo, oltre a dover fare ricerche quel periodo storico nella nostra nazione e su temi che il mio personaggio avrebbe voluto approfondire, come la supremazia bianca e il gruppo nazionalista ariano e questa fazione chiamata The Order derivata dal movimento ariano. Sicuramente la sfida più grande è stata avere a che fare con questi lati oscuri della storia.
Io stessa sono un calderone di identità: mia madre è afroamericana, di New Orleans, e mio padre era un uomo ebreo di New York, Ashkenazita per discendenza; quindi, come donna di colore cresciuta in America, queste ideologie non mi sono estranee. Mia madre ci ha tenuto molto ad educarci sulla nostra storia e sulla storia molto complessa della nostra nazione, quindi è davvero triste vedere il livello di bigottismo a cui alcune persone, nel corso della storia, sono arrivate.
Non è niente di nuovo, purtroppo, è un fenomeno che va avanti da quando la nostra nazione è stata fondata.
“Sicuramente la sfida più grande è stata avere a che fare con questi lati oscuri della storia.”
Sì, è triste che sembri ancora attuale, che persino ora alcune cose riecheggino.
Hai ragione! È triste che stiamo facendo un film che uscirà nel 2024 che racconta eventi passati ma ancora così attuali; avrebbe potuto essere fatto in qualsiasi momento della storia e sarebbe stato comunque rilevante, perché questo livello di bigottismo è una piaga, una malattia di cui la nostra nazione è ancora malata e da cui non siamo ancora guariti del tutto.
Il tuo personaggio, Joanne Carney, ha una relazione lavorativa e personale unica con il personaggio di Jude Law, Terry, un uomo che lotta con i suoi limiti fisici e i fallimenti del passato. Come hai affrontato questa dinamica, soprattutto considerando i dubbi di Carney sulla capacità di Terry di gestire il caso?
Sai, ho intervistato molte donne che erano ex agenti speciali per avere una base e una comprensione totale dell’ambiente lavorativo. Poi ho stratificato i dettagli del personaggio e gli ho costruito un retroscena e una storia di vita, in pratica.
La presenza di Terry è stata un’ispirazione per lei – lui era il suo mentore e ora lei si trova ad occupare una posizione di potere superiore a lui, cosa difficile da gestire per entrambi. Poi, guarda Terry sapendo che in qualche modo lui rappresenta il suo futuro, perché anche lui in passato era un giovane e vigoroso agente ma adesso non è più quel ragazzo là. Quello che i due hanno in comune è che non hanno vita al di fuori del lavoro [ride]. Il lavoro è tutto per entrambi. Carney è più giovane di lui, ma anche lei è diretta verso lo stesso destino.
Abbiamo improvvisato la scena in cui il mio personaggio gli chiede “se ne vale la pena”, fare tutti quei sacrifici, domanda che in realtà Carney rivolge a sé stessa prima che a Terry. Intervistando le ex agenti speciali che ho incontrato, ho notato che per davvero il lavoro prende il sopravvento sulla loro vita, ho capito quanto impegno richieda essere bravi in quel mestiere e quanto sacrificio richieda, non solo a te, alla tua mente, al tuo corpo e spirito, ma anche a tutti quelli che ti circondano, alla tua famiglia.
I casi diventano così personali che porti il lavoro a casa, e non è un interruttore che puoi accendere e spegnere.
Nel corso della tua carriera hai interpretato personaggi femminili forti e dinamici. In cosa Carney è diversa dai tuoi ruoli precedenti e cosa ti ha entusiasmato di più nell’interpretare questo personaggio?
Sai, è la prima volta che interpreto un agente delle forze dell’ordine ed è stato entusiasmante. Lei è a caccia di qualcosa e qualcuno, mentre in passato, ho interpretao personaggi che venivano “cacciati”. Per esempio, con Leti [di “Lovecraft Country”], ho interpretato un personaggio di cui forze esterne erano a caccia. Interpretare qualcuno come Carney che corre a testa alta verso il pericolo ha stimolato una parte diversa del cervello, quindi accedere a quella mentalità impavida della serie, “So che questa situazione è pericolosa ma ci corro dritta dentro”, e non allontanarsi dal pericolo, anche se penso che entrambe le situazioni richiedano coraggio.
Sono attratta da personaggi che sono disposti ad affrontare le cose nonostante la loro paura, ad affrontare le situazioni pur sapendo di avere paura.
“Sono attratta da personaggi che sono disposti ad affrontare le cose nonostante la loro paura”
Dato che “The Order” è basato su eventi reali, che tipo di preparazione o ricerca hai fatto per comprendere meglio il periodo storico e il pericolo rappresentato dai gruppi estremisti negli anni ’80?
Ho fatto molte cose diverse. Ho lavorato con i miei coach di recitazione, ho letto molti libri su questi argomenti, tante interviste su Bob Matthews, ho visto documentari su di lui e video su YouTube riguardanti The Order. Ci sono in giro molte loro immagini inquietanti e servizi televisivi su di loro, e vederli mettere armi nelle mani dei bambini mi ha fatto capire come questa ideologia penetrasse nelle persone in uno stato così precoce e vulnerabile. Ho letto un libro scritto da un ex agente speciale su come Hollywood sbaglia nel rappresentare l’FBI. Quindi, dopo averlo letto, ho pensato: “Ok, devo evitare tutti questi cliché!” [ride].
Ho fatto quante più domande possibile alle ex agenti sulla loro fisicità, ho chiesto se usassero trucco o meno, e come si acconciassero i capelli. Sono arrivata alla conclusione che il lavoro per Carney è tutto e che non è una donna vanitosa, non ha tempo per le vanità. Infatti, una delle direttive di Justin [Kurzel] era che non dovevo truccarmi, ma il bello è che il primo giorno di lavoro, la truccatrice mi ha messo in faccia un sacco di crema solare e correttore, poi sono arrivata sul set e Justin ha detto: “Toglile tutto”. Ad ogni modo, abbiamo usato un po’ di crema idratante colorata senza dirglielo e ogni tanto mi mettevano un po’ di bronzer sulle guance [ride]. Ad ogni modo, ad essere sincera, è stato molto liberatorio non indossare quasi per niente makeup ed essere semplicemente me stessa.
Non preoccuparsi di che aspetto abbiamo mentre interpretiamo un personaggio è una grande conquista per un attore.
Il regista è noto per il suo stile di regia intenso e crudo, per esempio in altri suoi film come “Nitram”. Com’è stato lavorare con lui su una storia così cupa ed emotivamente intensa?
È stato fenomenale, è uno dei miei registi preferiti con cui ho lavorato. Il suo approccio alla narrazione è così delicato e sfumato, non si attiene a nessun livello di sentimentalismo o a niente che sembri falso o cliché. Il suo radar per l’inautenticità è altissimo – se il racconto non è autentico, non si va avanti. È così liberatorio lavorare con un regista che vuole che provi, improvvisi e scopra le cose al momento. Ogni ripresa sembrava diversa e unica: la scena tra Carney e Terry al bar, quando si incontrano per la prima volta, l’abbiamo fatta in tanti modi diversi, e tra una ripresa e l’altra, prima di dire azione, Justin ha messo “Africa” dei Toto e ha chiesto a me e Jude [Law] di ballare un lento. Voleva ricordarci la connessione tra i due e la relazione che esiste al di là della conversazione sul caso. La storia di queste due persone è molto più profonda delle parole scambiate sul caso, e penso che sia per questo che ti sembra di guardare un film con persone reali e non un semplice poliziesco.
Anche se lavoriamo al caso, restano tangibili le relazioni personali, l’umanità, gli errori che ci sono dietro tutte quelle parole.
E cosa speri che il pubblico tragga dal film, soprattutto alla luce degli eventi attuali? E cosa hai imparato tu da esso?
Come artista, mi sento incredibilmente privilegiata di poter collaborare con artisti come il cast di questo film e di poter raccontare una storia importantissima. Credo in quello che dice Nina Simone, che è compito di un artista riflettere i propri tempi, e quindi siamo privilegiati, noi artisti, a poter fare da specchio alla società e stimolare una conversazione. Il livello di terrorismo domestico rappresentato nel film è qualcosa di endemico, e come nazione, ma anche come società a livello globale, dovremmo chiederci cosa stiamo facendo e perché permettiamo a questo livello di bigottismo e odio di prosperare ancora e senza controllo.
Come possiamo migliorare la situazione?
Penso che questo film appartenga ad un genere specifico, è un crime thriller, è intrattenimento e ti fa fare un bel viaggio, ma ti chiede anche di porti alcune domande davvero scomode. Per me, come artista, quelli sono i film più emozionanti, perché è vero che amo quel genere di film che ci fanno vivere un’avventura, ma amo anche i film che ci sfidano, ci mettono a disagio e ci costringono a guardare il peggio dell’umanità e a confrontarci con esso.
“è compito di un’artista riflettere i propri tempi”
The world of cinema and art in general are linked under several aspects to the world of mental health. Is there anything you keep witnessing that bothers you or that you would like to change?
Where do I begin? It’s a great question you asked about mental health.
I think it’s partly what we’re exploring as artists and the inner turmoil that we all have. Mental health exists on a spectrum though, some of us struggle more over something and someone else over something else, but I think cinema can help us feel less alone with our mental health struggles. I think there’s a need for us to address this level of masculine toxicity, and I don’t mean that in terms of men because, regardless of gender, anyone can embody that level of toxicity.
I don’t think masculinity or femininity is about gender, but they’re about energies.
So, when we talk about leadership, we’re talking about assessing what world we’re living in and how we’re leading – are we leading with more of a nurturing, caring, loving energy or are we leading with energy to dominate each other, rule each other? These are all great questions that cinema helps us explore.
In generale, cosa ti spinge ad accettare un nuovo progetto?
Sono disposta a rischiare in alcune condizioni specifiche: se il regista e la sceneggiatura mi piacciono, se il cast mi stimola, se non conosco il regista ma la sceneggiatura è forte. Devono esserci certi elementi che mi entusiasmano. Non ho regole fisse, ma se è qualcosa che non ho mai fatto, se è un regista che mi mette alla prova e con cui sono entusiasta di lavorare, se è un cast di cui sono fan, allora ci sto. Comunque, la cosa più importante è che il personaggio mi parli e mi sfidi, che mi faccia quasi esercitare qualcosa dentro di me. Questi sono i criteri con cui scelgo i ruoli, voglio la sfida.
“Voglio la sfida”
Tendi ad essere più istintiva o razionale quando prepari e interpreti un nuovo personaggio?
Istintiva. C’è molto lavoro invisibile che viene fatto fuori dal set che speri diventi invisibile quando sei davanti alla telecamera. Sai, prestiamo letteralmente il nostro spirito a un altro spirito.
Interpretando personaggi diversi di volta in volta, finisci per passare molto tempo con te stessa, esplorando i tuoi vari lati, mettendoti alla prova e conoscendoti sempre di più. Qual è l’ultima cosa che hai imparato su te stessa attraverso il tuo lavoro?
Ho appena finito di lavorare a una serie per Apple TV creata da Dennis Lehane, che uscirà l’anno prossimo, con un cast incredibile tra cui: Taron Egerton, John Leguizamo, Greg Kinnear, Anna Chlumsky. La scrittura di Dennis è eccezionale.
Ho imparato molto su me stessa in questo processo – il mio personaggio ha a che fare con alcuni traumi del passato legati alle figure genitoriali, e ho imparato che io stessa ho ancora molto da risolvere nella mia relazione con mio padre, che è morto qualche anno fa. È stato immensamente terapeutico realizzare che ha fatto il meglio che poteva con quello che aveva; ho imparato che c’erano ancora alcune cose su cui mi aggrappavo in maniera non sana.
Faccio arte e ne fruisco per motivi molto egoistici, è catartica per me.
Penso sia un dato di fatto che l’arte possa essere una cura.
Bravissima, e si spera che attraverso la tua guarigione, tu possa aiutare il resto del mondo a guarire. Spero che la mia arte, che è catartica per me, possa essere catartica e una cura anche per coloro che vivono l’avventura con me.
Quando ti senti più sicura? E quando ti senti più sicura di te stessa?
Mi sento più sicura di me stessa dopo aver affrontato le cose di cui avevo più paura.
D’altra parte, non so se cerco sicurezza nella mia arte, in realtà cerco l’opposto, cerco il pericolo. E le persone intorno a me devono stare bene attente a questa mia inclinazione. Una delle cose che Misha Green – la creatrice di “Lovecraft Country” – fa sempre è rimproverarmi quando faccio gli stunt: viene sempre sul set a dirmi: “No, non puoi farlo tu, dobbiamo farlo fare alla stuntwoman!” perché io tendo sempre a spingermi oltre i miei limiti.
“Non so se cerco sicurezza nella mia arte, in realtà cerco l’opposto, cerco il pericolo”
Sei molto coraggiosa! A tal proposito, qual è stato il tuo più grande atto di ribellione finora?
Pensando all’ultimo progetto che ho fatto, perché l’ho appena terminato e quindi è fresco, il mio più grande atto di ribellione è stato interpretare un personaggio che fa cose che io non farei mai, e non giudicarla per questo. Il mio personaggio fa alcune cose moralmente discutibili, e io sono orgogliosa di essere una persona con certi valori e di attenermi a certi principi morali, quindi è stato molto interessante interpretare un personaggio i cui principi morali sono piuttosto discutibili.
E qual è la tua più grande paura?
Non raggiungere il mio potenziale nella vita. Morire prima di aver raggiunto il mio pieno potenziale ed esplorato il mio mestiere al massimo. Voglio aver dato il massimo quando sarà il mio momento di andarmene.
Tra i tanti modi in cui possiamo classificare le persone, ci sono gli animali notturni e i mattinieri. Chi sei tu? E qual è il tuo momento preferito della notte o del giorno?
Sono così notturna che mi piace guardare il sole sorgere! [ride]
Sono cambiata da quando sono diventata mamma: prima andavo a letto presto e mi svegliavo presto, ma ora è l’opposto. In realtà, devo comunque svegliarmi presto perché devo portare mio figlio a scuola, ma sai, come si chiama quel momento dopo che hai messo a letto il tuo bambino e sei nel tuo letto a leggere, o usare il telefono o a rispondere alle e-mail? Le tue “ore di rivincita”? [ride] Sono io adesso, sveglia tutta la notte e per poi pentirmene, perché devo comunque svegliarmi presto la mattina.
E cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
È una domanda davvero bella alla quale sto ancora cercando di dare una risposta, a essere onesta. Non saprei, ci sono momenti in cui mi sento molto a mio agio nella mia pelle e momenti in cui combatto un allarme nella mia testa, quello di cui parla Julia Cameron, l’autrice di “The Artist’s Way”, un sensore che ti riempie di dubbi.
Sono un work in progress e ne sono consapevole.
Photos by Johnny Carrano.
Makeup by Chynara Kojoeva.
Hair by Luke Pluckrose.
Styling by Jamie Mizrahi.