“A cosa stai pensando?”
È una domanda così apparentemente semplice ma così profondamente complessa. Implica l’essere qui ed ora, l’essere centrati su se stessi: è quello che tutti domandano a Parthenope, la protagonista dell’omonimo film di Paolo Sorrentino. È quello che abbiamo chiesto anche noi a Dario Aita, l’interprete di Sandrino; l’ultima domanda in ordine cronologico di una chiacchierata profonda e sincera durante la quale Dario ci ha parlato dei suoi personaggi e, quindi, di sé stesso.
Abbiamo parlato delle sfumature dell’amore e del modo in cui sia un sentimento sempre nuovo, del sentire il tempo che scorre, del rapporto profondo creatosi sul set di Parthenope con gli altri attori protagonisti e con il regista, della magica dinamica dell’incontro e del riuscire a lasciarsi osservare. Tra i ricordi delle esperienza passate, la bellezza del momento presente e le aspettative per il futuro (anche come regista), Dario Aita è la nostra Cover Story di Dicembre.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
La prima volta che sono andato al cinema ho visto un cartone, “Aladdin”, ed è un’esperienza che ricorderò per sempre. Ho pochi ricordi della mia infanzia, però questo è un ricordo abbastanza nitido.
Un altro ricordo vivido che ho è quando ho visto “The Dreamers” di Bertolucci, avrò avuto circa 14 anni. Allora non ero solito andare al cinema, perché ero abbastanza squattrinato, di solito registravo film in TV e guardavo molte videocassette, avevo una collezione abbastanza grande. Quindi, quella di “The Dreamers” fu una delle pochissime volte che andai al cinema fisicamente: quel film mi aprì un mondo, da tutti i punti di vista. Fu un racconto formativo determinante per la mia adolescenza rispetto all’impegno politico, all’arte, al cinema, all’amore, al sesso. C’era tanta roba dentro che mi ha aperto delle porte.
Interessante che poi ti sia ritrovato a far parte di un progetto come “Parthenope”, che con “The Dreamers” ha alcuni punti in comune!
Sì [ride]. Io l’ho rivisto prima di iniziare le riprese, perché mi sembrava che il personaggio di Michael Pitt potesse in qualche modo aiutarmi. Rientra in una sorta di topos letterario, il giovane uomo innamorato che vive un amore impossibile. Un’altra analogia tra le due storie è il terzo elemento all’interno di un rapporto tra due fratelli con delle tensioni sentimentali. Poi, la questione dello straniero, topos anche questo: Bertolucci mette in scena uno straniero a tutti gli effetti, l’americano che arriva a Parigi, ma anche Sandrino è uno straniero: lo è sempre all’interno della famiglia, perché ha un background socioculturale diverso, e quindi viene accolto in modo diverso.
Il triangolo rappresentato dal tuo personaggio, Sandrino, e da Parthenope e Raimondo rappresenta una dinamica dove sentimento, ossessione, ingenuità e fragilità si incontrano e scontrano. Come è stato costruire un rapporto così “complesso” con Celeste e Daniele?
Paolo ci ha messi in condizioni molto favorevoli per creare il nostro rapporto. Ci ha fatti conoscere quasi un anno prima dell’inizio delle riprese, il che è un’eccezione perché di solito conosci i tuoi colleghi poco prima di cominciare a girare, se non addirittura una volta sul set. Poi, quando abbiamo cominciato le riprese, Paolo [Sorrentino] è stato un’ottima guida nel gestire o nel provare a suggerire delle strade alternative alla semplice conoscenza.
Sai, alle volte il quotidiano mina il mistero che dovremmo provare a mantenere tra colleghi quando si lavora su dei personaggi. Conoscere perfettamente te come persona potrebbe essere un’arma a doppio taglio, perché probabilmente io ho bisogno di conoscere o di indagare quelle parti di te che mi servono per il lavoro – il che è un processo strettamente professionale, che va al di là della questione umana – e che servono per costruire un incontro favorevole sul set, tra i personaggi.
Alle volte però, quando conosci delle persone che ti cominciano a stare simpatiche, com’è successo a tra me, Daniele [Rienzo] e Celeste [Dalla Porta], è facile dimenticarsi del lavoro e perdersi negli altri. Siamo tutti e tre abbastanza giovani, Celeste e Daniele sono delle persone molto divertenti, quindi, è stato facile instaurare subito un rapporto di amicizia senza filtri, senza costruzioni, senza obiettivi. In quel senso lì, Paolo ci è stato di aiuto nel cercare di gestire le energie in maniera più consapevole rispetto a quello che ci serviva sul set. Anche perché poi l’incontro nella vita è una cosa bellissima, ma a volte l’incontro sul set, l’incontro su una scena con un partner, paradossalmente può essere molto più sorprendente, molto più autentico di quell’intensità che crediamo di vivere nel quotidiano.
“…l’incontro nella vita è una cosa bellissima, ma a volte l’incontro sul set, l’incontro su una scena con un partner, paradossalmente può essere molto più sorprendente, molto più autentico…”
Qual è la cosa che più ti ha sorpreso dei colleghi con cui hai lavorato in “Parthenope”? Rappresentare tutto quello che c’è nel film immagino sia stata un’esperienza molto umana, molto “sentita”…
Difficile dire con una sola parola cosa mi ha sorpreso. Sono tutte persone con dei caratteri molto forti, ognuno a modo proprio, con delle sensibilità altissime. Ogni volta che incontri delle anime così sensibili e con delle personalità così forti, è sempre qualcosa che ti cambia, che ti sposta gli equilibri, perché l’incontro ti mette in discussione, pensi di arrivare lì con delle certezze e poi invece incontri i tuoi colleghi e te le “spostano”, perché anche loro ne hanno di loro.
Del lavoro con Paolo è stato tutto sorprendente, ogni giorno era pieno di un racconto diverso ed elettrizzante.
Com’è stato l’incontro con il tuo personaggio, invece? Sandrino rappresenta l’amore giovanile, quel sentimento di dedizione e ammirazione verso una persona quasi totalizzante. Quanto di te c’è in questo personaggio, e quanto al contrario ti ha lasciato lui?
C’è tutto di me nel personaggio. Nei personaggi che uno porta in scena, c’è tutto di sé. Non credo che esista la possibilità di interpretare personaggi in cui non c’è nulla di te; anche quando interpreti un serial killer sarai costretto ad attingere a delle zone di te così nascoste, così segrete, i desideri più scabrosi, dei tabù, quell’istinto di violenza che fa parte di tutti noi esseri umani ma che, essendo animali civili, impariamo a gestire, metabolizzare, a trasfigurare, rielaborare. Il cinema serve anche, soprattutto, a quello. Perché la gente è così appassionata dei crime? Perché è un modo per elaborare tutti quegli istinti più segreti, nascosti, vergognosi che appartengono alla nostra anima.
Per il provino, ho recitato la scena “di addio” tra Sandrino e Parthenope, e fin da quel momento ho sentito un trasporto fortissimo per questo personaggio e per i temi che portava e il contributo che dava alla storia. Sandrino rappresenta uno dei temi principali del film, cioè lo scorrere del tempo e il passaggio a volte doloroso tra la giovinezza e l’età adulta, un tema che mi ha sempre chiamato moltissimo, e poi il tema dell’amore incondizionato che Sandrino prova per questa donna mezza essere umano e mezza divinità nel suo immaginario.
Anche io mi innamoro moltissimo delle persone, delle cose, e quindi quel tipo di amore mi appartiene sicuramente molto.
“Non credo che esista la possibilità di interpretare personaggi in cui non c’è nulla di te”
Così hai anticipato due domande che volevo farti: come vivi il tuo rapporto con lo scorrere del tempo e qual è la tipologia di amore che più ti affascina, anche come attore, viste le diverse rappresentazioni di amore che ci sono nel film?
Lo scorrere del tempo, come ti dicevo, mi riguarda molto, sento il tempo che passa, lo sento scorrere molto velocemente, è come se avessi un grande debito con la mia adolescenza. Non so se ce l’ho davvero, perché penso di averla vissuta abbastanza pienamente, però ho sempre sentito questo, di avere un debito nei confronti della vita, come se volessi avere tutto a disposizione, esperire tutto, e so che non c’è né il tempo né la possibilità di farlo. Questo debito mi fa sentire che il tempo scorre più velocemente ma anche più lentamente, ed è il più grande paradosso. Quando stai vivendo il presente, per esempio durante la giovinezza, il tempo scorre molto velocemente, ma tu non te ne accorgi; il fatto di accorgersi di quanto velocemente il tempo scorra, invece, ti lascia una strana sensazione di arresto, stasi, che alle volte può essere spaventosa.
Invece, per quanto riguarda la tua domanda sull’amore, è difficile trovare una risposta. Io e la mia compagna abbiamo recentemente avuto una figlia, e una cosa che mi piace spesso dire è che sto scoprendo una forma di amore completamente sconosciuta per me fino ad oggi e non pensavo che ad un certo punto, a 37 anni, avrei avuto la possibilità di scoprire una nuova forma di amore. È stato molto sorprendente, l’amore per mia figlia, un’esperienza sentimentale del tutto nuova: è come vedere qualcosa che non hai mai visto, provare un sapore che non hai mai provato.
Sul lavoro, mi piace molto innamorarmi delle persone con cui lavoro, mi impegno sempre molto perché succeda, perché credo che giovi molto al film. Durante le riprese, mi sono innamorato di Daniele, Celeste e Paolo, sono state le tre persone con cui ho condiviso momenti felici ma anche meno felici: fortunatamente tra noi si è creato un bellissimo rapporto di amore e condivisione.
Grande protagonista della narrativa di Sorrentino, e in questo film forse più che mai, è Napoli, che rappresenta quasi una persona a sé stante, con tutte le sue sfaccettature, bellezze e complessità. Come hai vissuto questa città e anche Capri, mentre giravate il film?
Io vengo da Palermo, una città di porto che ha molto in comune con Napoli, sia rispetto al tipo di città che all’umanità che si può incontrare: quell’accoglienza, quel frastuono, quel caos che si portano dietro e che la croce e la delizia di queste due città. È bellissimo perdersi in quel caos, la sensazione di vivere in una dimensione di libertà e di possibilità senza limiti. In quelle città, puoi ancora vivere quella sensazione di festa mobile, peregrinare in giro di notte, spostarsi da un bar all’altro, incontrare gente nuova e parlare con le persone. Napoli conserva ancora questo tipo di accoglienza, ma allo stesso tempo la grande libertà della città si scontra con la libertà degli altri, e a volte quella sensazione di inafferrabilità, il caos stesso, diventano un po’ ingombranti, il frastuono eccede, e senti la necessità di un po’ di pace.
Se vuoi la pace, Capri è il posto giusto.
Secondo me, al di là di via Condotti, al di là della piazzetta, del Quisisana per intenderci, al di là di quella dimensione così turistica ed esposta, che sicuramente non è un luogo in cui trovare pace, se riesci un attimo a perderti nella natura di Capri, ad andare in bassa stagione e riscovare quella che era la Capri prima degli anni ’50, scopri uno dei luoghi più riposanti che si possano visitare. Mi sono un po’ perso nella natura di Capri durante le riprese e devo dire che perdersi nella natura è sempre bello, e nella natura delle isole ancora di più, quando riesci a raggiungere le cime e lì in alto riesci ad avere una visione a 360° sul mare e sull’orizzonte: penso sia una delle esperienze più riposanti che ti possano capitare di fare.
Prima dicevi che tu metti tutto te stesso nella rappresentazione di un personaggio. Essere attore, d’altra parte, presuppone anche il calarsi nei panni di qualcun altro. È difficile mantenere l’equilibrio tra ciò che si è e quel che si interpreta? Cosa ti aiuta a “ricordarti” chi sei?
I teorici del teatro potrebbero essere non troppo d’accordo, io però penso che si sia abusato tantissimo della dicotomia personaggio-interprete. I discorsi spesso tendono a cadere nel cliché, parlare di me come attore e di me come personaggio ultimamente mi risulta un po’ più difficile, quindi tendo a non fare differenza. Sono io il personaggio nel momento in cui vengo chiamato a interpretare un ruolo, sono alcuni aspetti di me che con un lavoro più o meno accurato, approfondito, faticoso, riesco a tirare fuori. Sono convinto che ognuno di noi contenga degli universi, delle infinite possibilità, infiniti desideri, infinite sfumature, e la capacità di un attore sta nel riuscire a scoprirle in sé e a tirarle fuori. Alle volte ci sono delle cose che uno non vorrebbe tirare fuori, che ha paura di tirare fuori, aspetti che non ama di sé stesso, che non vuole scoprire, condividere, raccontare, e la difficoltà spesso sta in quello. Per questo alcuni attori giudicano i personaggi, è una sorta di forma di difesa: ciò che stiamo giudicando in un personaggio è qualcosa che ci riguarda strettamente, più di quanto pensiamo probabilmente.
Spesso si chiede: come fai a ritornare in te tra una ripresa e l’altra? Io mi auguro di non ritornare in me, il mio lavoro costante è quello di non tornare in me e allontanarmi quanto più possibile da me, dalla narrazione che voglio fare di me, dal personaggio che mi sono scelto nella vita. Perché poi alla fine anche quello che siamo nella vita è un personaggio, in qualche modo. Io cerco di evitare quel personaggio della mia quotidianità e frequentare molto di più quell’altra parte di me stesso e coltivarla il quanto più possibile. A volte è un po’ rischioso, perché puoi scoprire cose di te che non hai ancora scoperto e che possono mandare in crisi te e il tuo quotidiano. Però, a quel punto, che avvenga pure. Poi, ci sono personaggi e personaggi: mi viene in mente Heath Ledger quando interpreta Joker, o in generale personaggi che portano alla luce zone d’ombra, in quei casi può essere un po’ rischioso scoprire certi aspetti.
Nel mio caso, posso dire di scoprire cose accettabili.
“Sono convinto che ognuno di noi contenga degli universi, delle infinite possibilità, infiniti desideri, infinite sfumature, e la capacità di un attore sta nel riuscire a scoprirle in sé e a tirarle fuori.”
Quindi la recitazione è un modo per conoscere te stesso.
Per me sì. Frequentare un personaggio o una nuova drammaturgia è sempre un’occasione per conoscere sé stessi.
Ti piacerebbe un giorno avvicinarti al mondo della regia e/o sceneggiatura?
Assolutamente sì, l’ho già fatto, ho girato dei cortometraggi e dei mediometraggi, ho scritto delle cose. Sono mondi che mi interessano e mi hanno sempre appassionato: ho cominciato a fare questo lavoro più per un interesse registico che per un interesse attoriale. Mi auguro che prima o poi questa cosa riesca a trovare un suo spazio.
La Saint Laurent Productions ha prodotto “Parthenope” ma penso ad un’esperienza anche “opposta” che hai avuto recentemente come attore ossia quella sul set de “La Legge di Lidia Poet”, che è in costume. Ti affascina la moda come mondo e modo di raccontarsi? Perché anche i vestiti, come i film, raccontano una storia.
Sì, la moda mi affascina moltissimo, è un mondo che mi incuriosisce molto.
Nel caso di Saint Laurent, credo sia un incontro molto felice quello tra la moda e il cinema, con la scelta di una Maison di moda come quella di produrre dei film. Saint Laurent si è sempre contraddistinto per un impegno artistico nel mondo della moda, al di là del brand e del mercato.
Moda: già il termine ha assunto un doppio significato nel nostro linguaggio attuale, il “mondo della moda” e ciò che “va di moda”. A me le cose che “vanno di moda” tendenzialmente non piacciono molto, ma il mondo della moda inteso come “arte” è qualcosa che rispetto e guardo con grande curiosità e passione. Sono andato di recente all’ultima sfilata della stagione autunno-inverno donna di Saint Laurent di Anthony Vaccarello ed è stata uno spettacolo a tutti gli effetti, come andare a vedere una performance, uno spettacolo teatrale, qualcosa di meravigliosamente suggestivo, come guardare un quadro, un film. La sensazione di stupore che ti davano quelle creazioni era più o meno simile. Poi, ovviamente, c’è tutto il resto, ovvero le tendenze, il mercato, che sono una devianza della questione. In particolar modo Saint Laurent mi appassiona molto, e trovo che Anthony Vaccarello stia facendo un lavoro meraviglioso.
“A me le cose che ‘vanno di moda’ tendenzialmente non piacciono molto, ma il mondo della moda inteso come ‘arte’ è qualcosa che rispetto e guardo con grande curiosità e passione.”
Sono super d’accordo.
Qual è stato il vaffanculo più grande della tua vita finora?
Bella domanda! Avrei dovuto fare un film da regista e ho mollato a una settimana dall’inizio delle riprese: ho mandato a fanculo il produttore. Le condizioni a cui avrei dovuto girare quel film continuavano a non convincermi, e piuttosto che iniziare dicendo “Vediamo come si mette”, ho preferito non accettare quelle condizioni.
Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Credo significhi riuscire a lasciarsi osservare.
Lasciarsi osservare è per un attore la conditio sine qua non, però credo che per tutti noi sia allo stesso tempo il nostro grande spauracchio, il nostro mostro dentro l’armadio. Per noi attori, è il nostro lavoro, ma allo stesso tempo è la cosa più difficile da fare.
Quindi, sentirsi bene nella propria pelle rappresenta, secondo me, il lavoro quotidiano che un attore deve fare, dando agli altri la possibilità di osservarlo. Alle volte, la questione dell’interpretazione aiuta molto: trasfigurarsi, essere altro, parlare con parole di altri, attraverso l’alibi di un personaggio, parlare di sé “nascondendosi” dietro qualcun altro, per me è una grande forma di libertà. Spesso mi sento più a mio agio nella mia pelle quando sto nella pelle di qualcun altro o fingo di stare nella pelle di qualcun altro, che non quando sono nella mia vera pelle.
Tutti lo chiedono continuamente a Parthenope durante il film quindi non possiamo non chiedertelo anche noi: a cosa stai pensando?
Di fronte a me c’è un albero di noce, che si affaccia alla finestra della mia camera da letto e quasi ci entra dentro, i rami bucano la zanzariera: ogni tanto devo spingere le imposte della finestra per spostarlo fuori dalla stanza. Vivo a Roma, eppure ho quest’albero di noce nel giardino del mio condominio. Tra pochissime settimane lascerò questa casa per trasferirmi da un’altra parte e sto pensando che quest’albero di noce mi mancherà molto, sarà una delle cose di questa casa che ricorderò con più nostalgia.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Grooming by Sofia Caspani.
Styling by Sara Castelli Gattinara.
Assistant Styling Ginevra Cipolloni.
Thanks to Other srl.
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