Beatrice Puccilli, promessa del cinema italiano, interpreta Vera nella nuova serie Netflix “Adorazione”, tratta dal romanzo di Alice Urciuolo. Con sensibilità e intensità, dà vita a un personaggio complesso, fragile ma resiliente, al centro di una storia che esplora solitudine, identità e relazioni tossiche.
In questa intervista, Beatrice racconta il lavoro emotivo dietro le quinte, il legame con il suo personaggio e le sfide affrontate sul set, condividendo anche riflessioni personali e il messaggio universale della serie: il coraggio di affrontare le proprie paure e vivere autenticamente.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Ne ho due!
Da bambina avevo un appuntamento annuale con mio padre in cui andavamo a vedere i film di Harry Potter: forse sono stati i primi film che ho visto al cinema. Associo quei momenti a ricordi molto belli, perché era un’emozione incredibile andare con mio padre a vivere un’avventura con dei personaggi che sono cresciuti insieme a me, che ho seguito nel tempo.
Invece, con mia madre ci sono andata pochissime volte al cinema, ma un ricordo molto bello che ho è di quando andammo a vedere un film di animazione uscito nel 2003, che si chiama “L’apetta Giulia e la signora vita”, che nonostante la grafica obsoleta al giorno d’oggi, tratta tematiche bellissime: parla di vita e morte attraverso lo sguardo di bambini. Quel film mi sconvolse, anche perché ha per protagonisti un’ape e sua mamma e io lo andai a vedere con la mia di mamma e ricordo che mi segnò profondamente.
Cosa ti ha colpito della storia di “Adorazione” e del tuo personaggio, nello specifico, quando hai letto la sceneggiatura?
Quando ho letto la sceneggiatura, la prima cosa che mi è saltata all’occhio è che, nella coralità della serie, c’erano dei personaggi femminili scritti e descritti molto bene: ho notato subito il modo non convenzionale in cui erano raccontati, piuttosto tridimensionale, a cui non siamo abituati dato che più spesso sono personaggi maschili che muovono le narrazioni. È stato molto bello vedere una serie in cui qualsiasi scelta, azione, decisione fosse in realtà trainata da delle donne che non rispondono, secondo me, a degli stereotipi, magari a degli archetipi, pur restando molto sfaccettate, sfumate.
“Quando ho letto la sceneggiatura, la prima cosa che mi è saltata all’occhio è che, nella coralità della serie, c’erano dei personaggi femminili scritti e descritti molto bene”
La serie è tratta dal romanzo omonimo di Alice Urciuolo. Lo conoscevi prima di entrare a far parte del progetto? In che modo ti è stato utile per la preparazione del personaggio?
Io ho letto prima la sceneggiatura, il romanzo è arrivato in un secondo momento, quando sono stata scelta per la parte. Una volta recuperato, ho finito di leggerlo i primi giorni di set. Il romanzo è strutturato in modo diverso rispetto alla serie, ha quasi un’altra linea temporale, nel senso che parte un anno dopo l’omicidio di Elena, mentre la serie si sviluppa in medias res: per questo, leggerlo dopo aver già lavorato sulla sceneggiatura è stato bello perché ha aggiunto degli elementi e delle giornate di vita al mio personaggio, a cui comunque mi ero già legata tantissimo.
È stato emozionante poter continuare a conoscerla e scavare dentro di lei, aggiungere dettagli, sfumature, momenti, ricordi.
A proposito, Vera sembra essere una ragazza piena di contraddizioni: fragile ma resiliente, distante ma bisognosa di affetto. Come hai lavorato su questi contrasti per renderli credibili sullo schermo?
Ho semplicemente cercato l’umanità, la verità e la sincerità, ho provato a chiedermi: Beatrice, a 15 anni, come avrebbe reagito in questa situazione? È stato un lavoro di fantasia sulla base di quello che è il mio vissuto e quello che conosco sulla vita. Ho cercato di non risparmiarmi, di essere generosa con Vera e darle quello che conoscevo.
Come cambia Vera nel corso della serie? Che impatto pensi che la scomparsa di Elena abbia sulla sua crescita personale?
Vera secondo me è stata toccata di riflesso.
Con questo non voglio dire che sia egoista, perché in realtà è un personaggio mosso sempre dall’amore, anche se può sembrare brusca o avventata in quello che fa, in realtà è molto buona e generosa. Però, nel caso specifico, quelli che secondo me sono gli incidenti scatenanti che vanno poi a cambiare la sua essenza, sono un riflesso del fatto in sé. Vera si è trovata in questo turbinio di eventi, persone e situazioni: all’inizio ha faticato a tenersi a galla, poi ha trovato tutte le risorse dentro sé stessa per ritrovare un po’ la rotta. È una situazione che anche io nella mia vita ho conosciuto; quindi, ho cercato di riprodurre quella confusione e volontà di ritrovare le forze dentro di sé e rimettere insieme i pezzi.
“…ho cercato di riprodurre quella confusione e volontà di ritrovare le forze dentro di sé e rimettere insieme i pezzi.”
La disfunzionalità della sua famiglia è probabilmente anche responsabile di questo “disordine”.
Assolutamente. Soprattutto in confronto ad altre famiglie. Per esempio, Vanessa, la cugina di Vera, ha una famiglia più ordinaria, presente che, pur avendo i suoi problemi e i suoi scheletri nell’armadio, mostra un altro tipo di presenza e vicinanza. Vera invece è abituata a dover sbrigare le sue faccende da sola, il che richiede uno sforzo ancora più grande rispetto a quello che l’adolescenza già richiede di per sé.
Qual è stata la scena più intensa o difficile da girare per via delle dinamiche tossiche tra i personaggi?
È difficile rispondere a questa domanda perché ci sono vari tipi di difficoltà. Ci può essere la difficoltà legata all’imbarazzo delle scene intime, o la difficoltà legata a un tecnicismo, come la scena in cui in cui faccio uso di droghe, e poi c’è la difficoltà emotiva.
Forse, un momento difficile è stato quando ho avuto gli scambi di battute con mio padre: quel tipo di relazione è stata complessa da esplorare. Io credo che le persone cambino a seconda del loro interlocutore: a seconda di con chi parlo, divento un’altra persona, pur mantenendo ovviamente la mia integrità ed identità che si declina in tante sfaccettature. Declinarla sul set nel rapporto con mio padre è stato difficile, perché in qualche modo c’era tutto un altro tipo di energia, di bisogni e necessità; quindi, ho dovuto fare un nuovo percorso di ricerca.
“Io credo che le persone cambino a seconda del loro interlocutore: a seconda di con chi parlo, divento un’altra persona, pur mantenendo ovviamente la mia integrità ed identità”
“Adorazione” parla di solitudine, identità e relazioni tossiche. Ti sei rivista in qualche modo nei sentimenti di Vera o in quelli del gruppo di adolescenti?
Io mi ci sono rivista molto, per carità, per fattori scatenanti completamente diversi rispetto a quelli che accadono a Vera o nella serie in generale. Però, interpretare questo personaggio è stato quasi catartico per me, un modo per esorcizzare i miei dolori e la mia paura di rimanere sola. Io sono terrorizzata dall’idea di rimanere sola e perdere le persone che amo, un po’ per il mio vissuto, un po’ perché è qualcosa che sento da sempre, sin da quando ero piccola. Penso di essere un soggetto molto predisposto ad aver paura di rimanere sola.
La serie ti ha aiutata in qualche modo ad affrontare questa paura o metabolizzarla?
Non direi, piuttosto mi ha aiutata a dare un nome a delle emozioni, a farmele conoscere meglio. Però, penso che certe cose non cambino e forse non debbano neanche cambiare. Se uno nasce con una certa inclinazione o sensibilità, è giusto preservarla, ma conoscerla meglio è utile.
Secondo te, qual è il messaggio più importante che la serie vuole trasmettere ai giovani spettatori?
Secondo me, la cosa più bella che è successa è stata che abbiamo tutti cominciato a parlare di varie tematiche che si affrontano nella serie, di cui ovviamente la più importante è quella del femminicidio. Il fatto che sia successa questa cosa quasi “metafilmica”, ovvero che le riflessioni che avevamo affrontato durante quella giornata le portassimo fuori mentre eravamo tutti a cena insieme è stato molto bello e secondo me ha dato a tutti molto.
La cosa più importante che mi viene da dire è: parlate quando avete un dubbio, trovate qualcuno con cui confrontarvi, che sia un genitore, un amico, un fratello. È importante non sottovalutare le red flag, perché quello che succede in “Adorazione” ha chiaramente il suo colpevole, ma la colpa può estendersi ad un’intera comunità che non ha saputo “vedere”.
“PARLATE QUANDO AVETE UN DUBBIO”
Se potessi scegliere un altro personaggio di “Adorazione” da interpretare, quale sarebbe e per quale motivo?
Quando ho letto la sceneggiatura, sapendo che avrei interpretato Vera, ero super contenta, mi sentivo onorata. Sinceramente, non la cambierei con nessun altro. Trovo che siano tutti personaggi incredibili e, a loro modo, unici e memorabili, quindi alla fine sarebbe stato bello interpretare qualsiasi personaggio.
La colonna sonora, supervisionata da Fabri Fibra, ha un ruolo importante per scandire e arricchire la storia. Qual è stata la tua canzone preferita della serie?
Una delle mie canzoni preferite, anche prima che uscisse la serie, è “Quanto forte ti pensavo” di Madame. Per me, ritrovarla nella serie, quando ho visto in anteprima le prime due puntate, è stato pazzesco, ho pensato fosse una coincidenza incredibile, un segno del destino.
Il tuo più grande atto di coraggio?
Guardare avanti e smettere di vivere nel passato.
Invece, il tuo più grande atto di ribellione?
Fare l’attrice [ride].
Qual è la tua più grande paura?
Ricollegandoci un po’ a quello che dicevamo prima, è restare sola, essere abbandonata.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
È un qualcosa su cui mi sono interrogata spesso.
Io penso che tutti quanti siamo sempre molto legati alle norme sociali e a tutto quello che abbiamo appreso su come ci si “deve” comportare, su come “dovremmo essere”, come se ci fosse un modo giusto e uno sbagliato. Se c’è un regalo bellissimo che mi ha fatto la recitazione è proprio il fatto di insegnarmi che non c’è nulla di giusto e di sbagliato. Ovviamente ci sono delle cose che non si possono fare per questioni etiche e morali, però in merito a come appariamo nel contesto sociale, non c’è giusto e sbagliato, c’è solo come ci sentiamo. La cosa più bella è quando non ci snaturiamo per compiacere qualcun altro.
Sentirmi a mio agio nella mia pelle significa sentirmi libera, se voglio ballare ma ci sono delle persone che non conosco, io ballo lo stesso perché non devo rendere conto a nessuno. Sai, siamo sempre molto giudicanti rispetto a come appariamo e la recitazione mi ha dato degli strumenti per combattere questo atteggiamento, perché quando reciti, più ti metti in gioco e più valore stai dando a quello che fai. Perché ciò avvenga, chiaramente devi cancellare tutte le paure di sembrare brutto o non abbastanza figo.
“La cosa più bella è quando non ci snaturiamo per compiacere qualcun altro.”
A proposito, qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa grazie anche al tuo lavoro di attrice?
Tramite Vera ho scoperto che, pur avendo sempre pensato di essere molto sensibile e fragile, in realtà ho anche una corazza molto forte.
Ti definiresti un early bird o un animale notturno? E qual è il tuo momento preferito della giornata?
Io sono un gufo notturno. Capovolgerei i ritmi dormiveglia, farei un referendum per chiedere di spostare gli orari lavorativi di notte e dormire di giorno [ride]. Sai, c’è una spiegazione scientifica dietro, secondo me, perché un tempo si viveva in villaggi e qualcuno doveva rimanere sveglio a fare da guardia mentre gli altri dormivano, quindi era giusto che non ci fosse un ciclo dormiveglia omologato per tutti. Di conseguenza, ognuno è fatto in modo diverso. Io sarei stata una di quelli che faceva la guardia di notte [ride].
“Sono un gufo notturno”
Qual è la tua isola felice?
La mia isola felice sono le braccia di mia madre.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Styling by Valentina Palumbo.
Makeup & Hair by Sofia Caspani.
Thanks to laPalumbo Comunicazione.