Siamo alla Soho House Rome, una casa pensata per accogliere e unire in sinergia tutte le forme di creatività e comunicazione, persone dagli interessi e dalle origini più diverse, tanto che è diventata un centro culturale e un punto di riferimento dell’ambiente artistico romano.
Siamo qui con Federica Zacchia, che con questa filosofia di artisticità e con il concetto di “casa” ha tutto a che fare. Fede è un’artista poliedrica, direttrice creativa, talent, attrice, conduttrice, scrittrice (anche se preferisce pensare alla scrittura come a un qualcosa di solo suo). Ma Federica per noi è anche “casa”, come lo è per tutti i suoi amici, con i quali condivide i pezzi più importanti della sua vita.
Siamo qui con Fede per parlare, semplicemente, di vita: delle perdite, della capacità di lasciar fluire il fallimento, del suo nuovo progetto “Babes” e di come la terapia, come dice lei stessa, le abbia salvato la vita.
Siamo qui anche per parlare di corpi e di come il pensiero contorto che rivolgiamo loro sia a volte un sottofondo di cui non riusciamo a liberarci, ma anche di come questo per Fede sia un momento di serenità, e come si rifletta anche sul suo corpo e sulla libertà di muoverlo come vuole.
Siamo qui e, come sempre, con lei siamo riusciti a creare un mondo.
Ho visto che è appena uscito il tuo ultimo progetto, il talk “Babes”. Sei contenta?
Moltissimo. È un progetto in divenire ed una cosa per me nuovissima, quindi come tutte le cose nuovissime, è piena di difetti. Però per me comunque è un progetto in cui sono finalmente un po’ protagonista del percorso che sto facendo, il che per me è molto importante. Fare la presentatrice/conduttrice di podcast o radio non è mai stato il mio lavoro, quindi per me è una primissima volta e imparerò a farlo proprio facendolo, il che mi mette un po’ d’ansia. Il programma stesso poi è un esperimento in sé, perché è in onda su Radio Rai, su un canale giovanissimo che si chiama No Name, ma lo si può anche vedere su Rai Play ed è presente anche su Spotify.
Io e Nicole Russo siamo le host e invitiamo cantanti e attori, principalmente, come ospiti. A un certo punto mi piacerebbe invitare anche persone “non conosciute”, però non è ancora il momento. Il nome completo del programma in realtà è “Babes – Nessuno ci mette in un angolo”, citazione di “Dirty Dancing”, perché tra l’altro parliamo con gli ospiti di quei momenti in cui si sono sentiti “messi in un angolo”, sia da un punto di vista lavorativo che umano e personale.
È bello perché effettivamente le chiacchiere tendono a diventare man mano più intime e scopriamo lati sconosciuti della vita dei nostri ospiti.
C’è stata una storia, tra quelle raccontate dai vostri ospiti, che ti ha colpito particolarmente?
Più che altro, alcuni personaggi si sono rivelati ben diversi dalle mie aspettative! Per esempio, pensavo che Boss Doms fosse un tipo un po’ più impostato, e invece mi ha sorpresa tantissimo perché si è rivelato l’opposto. Pensa che alla prima domanda che gli abbiamo fatto, “Qual è il momento in cui ti sei sentito messo in un angolo?”, lui si è aperto moltissimo, ha parlato della separazione da sua moglie, dei suoi genitori… E io che pensavo si sarebbe parlato di musica techno! [ride]. Poi facciamo presentare il personaggio a partire dal suo telefono e quindi gli chiediamo le cose che ha salvato su Instagram; Boss Doms aveva salvato ricette di piatti per bambini, frasi motivazionali sull’essere padre, e niente di musica!
Tu, invece, quando ti sei sentita “messa in un angolo”?
Dopo il Centro Sperimentale, che è stata la prima cosa che ho fatto uscendo dal liceo, un periodo meraviglioso, ma ho vissuto un momento di difficoltà importante. Ho iniziato a fare tantissime cose ma ho perso il mio papà in quel periodo, quindi è stato un momento complicato sotto tutti i punti di vista. Facevo l’attrice e contemporaneamente gestivo degli spazi di teatro in qualità di direttore creativo, mi occupavo di coinvolgere registi teatrali nella conduzione di laboratori, poi mi occupavo dell’affitto di tre appartamenti ai turisti, lavoravo nella compagnia teatrale di Valeria Solarino e Giulio Scarpati, con cui abbiamo girato in tournée nazionali per cinque anni, ero parte creativa della gestione del profili social di alcuni amici, organizzavo serate come PR perché conoscevo tantissime persone. Tuttavia, facendo così tante cose insieme, sentivo di avere un’identità molto frammentata, e di tutte queste cose che facevo non ne riconoscevo nessuna come mia.
Per questo motivo, identificherei quel periodo come un “periodo dell’angolo” che però poi negli anni mi ha portata ad essere quello che sono oggi. Il mio punto di forza penso sia avere tante qualità, tutte appartenenti più o meno allo stesso mondo, ma che fanno di me un’artista poliedrica.
“Sentivo di avere un’identità molto frammentata, e di tutte queste cose che facevo non ne riconoscevo nessuna come mia”
Immagino che capire qual è il tuo posto non dev’essere stato facile. Mi rivedo in questo, perché anche per me è stato difficile capire la direzione da prendere, restando comunque “vera” e fedele a me stessa.
Infatti. Io poi sentivo di sprecare tanta energia per tanti progetti nei quali mi riconoscevo come partecipante ma non come “identità”. Mi sembrava di “regalare” energie. In seguito, ovviamente, mi sono resa conto che quel periodo è stato un passaggio fondamentale per poi arrivare a fare quello che faccio adesso. Ho dovuto smettere di fare alcuni lavori che mi consumavano e scegliere su quali attività concentrarmi e strutturarmi, per far sì che potessi fare ciò che mi piaceva. Certo, ancora oggi continuo a fare tante cose, ma la direzione creativa di Your Mood, per esempio, così come la radio, sono stati i primi lavori per cui ho pensato, “Se non ci fossi stata io sarebbe stato un casino”.
Questo mi fa pensare che sono nel posto giusto.
Ad oggi cosa ti fare dire di sì ad un progetto?
Una cosa fondamentale per me è l’ambiente e le persone che fanno parte di quel progetto, l’ho capito dopo una serie di esperienze. Poi sicuramente il progetto dev’essere stimolante, come lo è stato Your Mood, per esempio: sono arrivata che mi occupavo solo di singoli progetti come parte creativa e poi, nel giro di un paio di anni, sono diventata direttrice creativa, il che significa che non ci sono campagne che non passano per me. Il mio percorso è stato molto bello, ma anche molto ripido e molto veloce, e fondamentale è sempre stato il team. Col tempo, le persone con cui lavoro mi hanno dimostrato di essere empaticamente allineate a me, per cui ci lavoro molto bene insieme: credono tantissimo in me e non ho mai avuto problemi di fiducia con loro.
In più, io al lavoro mi diverto tanto; infatti, un altro aspetto importante che mi fa dire di sì ad un progetto, è il fatto di sapere che mi divertirò. Questo vale anche per “Babes”: il team della radio è fighissimo, l’ho capito dalla prima volta che li ho incontrati, sono super simpatici e so che di loro posso fidarmi.
Invece, che rapporto hai con il fallimento?
Ci sono passata molte volte per il fallimento. Alla fine, se ci pensi, le strade che ho percorso sono state tante e varie, quindi automaticamente la percentuale di fallimento era più alta della media. In tante cose ho sicuramente fallito, però una cosa positiva è che, per quanto io tema molto il fallimento, perché soffro d’ansia performativa e sento tanta responsabilità, alla fine faccio sempre tesoro di quello che mi accade.
Una cosa che ho capito e che mi aiutata molto è che non bisogna remare contro quello che ci accade. La mia carriera attoriale, per esempio, l’ho messa da parte perché il mio percorso mi ha portata verso un’altra direzione e se io fossi andata contro quella direzione, il percorso sarebbe stato faticoso e frustrante. Invece, assecondando il susseguirsi di eventi, ho trovato la strada che più mi appassiona e mi sono portata dietro l’esperienza che ho fatto senza sentire il peso del fallimento. È stato semplicemente un pezzo di vita che mi ha portata dove sono ora, a fare quello che faccio nel modo in cui lo faccio.
“Una cosa che ho capito e che mi aiutata molto è che non bisogna remare contro quello che ci accade”
Dato che l’hai menzionato, come vivi il cinema adesso? Resta una parte importante della tua vita? Per me, per esempio, guardare un film è quasi un qualcosa di catartico, a cui tengo molto. È così anche per te?
Assolutamente. Una passione che mi è rimasta è quella di andare al cinema e vivere l’esperienza come un’esperienza collettiva. Preferisco di gran lunga andare al cinema piuttosto che vedere una serie a casa. Trovo che la visione dei film al cinema sia un momento di commozione collettiva, in cui spegni tutto, pensieri e telefono, e ti concentri sullo schermo. Anche per me il cinema è catarsi, anche perché vedere un film significa che mi fermo, e già questo è incredibile [ride], ed entro in una sfera intima, motivo per cui mi piace anche andarci da sola. Poi, ovviamente, i film sono stimolanti anche per il lavoro che faccio, quindi un po’ mi faccio trasportare dalle storie che vedo, un po’ mi lascio prendere da pensieri più tecnici, orientati al mio lavoro.
Anche a me succede, un amico una volta mi ha detto, “Secondo me voi non avete mai un momento libero, perché anche quando guardate un film, pensate a quanto vi piacerebbe girare qualcosa in quel modo o intervistare quell’attore, ecc., la vostra testa non si ferma mai”. Ed è proprio così!
Esatto, anche io! Io mi soffermo sempre sui product placement, sull’estetica, sulla fotografia, e mi distraggo dalla trama! Però, riesco sempre a farmi coinvolgere alla fine, perché mi piace tantissimo commuovermi al cinema, prendermi quel momento per me su cui rimuginare dopo, all’uscita dalla sala. Sono innamorata di quest’arte.
Io e te abbiamo parlato spesso di psicoterapia, dei nostri percorsi. Quanto è stato importante per te, nella tua vita, intraprendere questo percorso? Come ti ha “cambiata”?
La psicoterapia mi ha salvato la vita.
La prima volta che ho pensato, “Ho fatto una cosa mia”, è stata quando ho scritto un libro, quattro anni fa, una biografia in capitoletti che ho scritto durante il lockdown come una cosa che sarebbe rimasta a me e basta, ma poi mi hanno proposto di pubblicarlo e io ho accettato, anche sotto consiglio della mia psicologa. Lei mi diceva di farlo perché ci avrei messo la mia firma, e quello sarebbe stato il mio primo lavoro che parla di me, in cui io sarei stata protagonista e sui cui io avrei fatto delle scelte. Dal mio libro in poi, ho trovato “il mio centro” dal punto di vista lavorativo.
Dal punto di vista personale ed emotivo, la psicoterapia mi ha aiutata tanto a superare alcune difficoltà dovute ad alcune perdite improvvise che ho vissuto. Io, poi, somatizzo molto, e infatti in quel periodo difficile tutt’un tratto il mio fisico è cambiato, mi sono gonfiata tanto, e tutte le ansie che avevo hanno inciso tantissimo sulla mia autostima e anche sul mio percorso lavorativo, che era un percorso in cui il fisico è “importante”.
È stato un incubo subire questo cambiamento fisico per cui non mi riconoscevo più, anche perché io per tantissimo tempo ho fatto ginnastica artistica a livello agonistico, quindi il corpo per me è stato sempre un mio punto di forza, e il suo cambiamento improvviso mi ha devastata. Mi giudicavo tanto e sentivo addosso il giudizio delle altre persone costantemente. La fase di accettazione di me stessa è stata difficilissima e la terapia mi ha aiutata tantissimo. Adesso, a distanza di anni, posso dire che è stato un percorso di amore nei miei confronti complicato ma che sento che mi ha cambiata in positivo.
“un percorso di amore nei miei confronti”
E adesso invece cosa diresti che è il tuo corpo per te? Ti ci senti a casa?
Purtroppo, è sempre un tema. Al momento mi sento molto serena, mi sento bene, ho fatto un grande cambiamento, sia fisico sia mentale rispetto a questa questione. Però, non posso dire che non sia un pensiero persistente per me. Non ho ricordi di periodi in cui io non abbia pensato a cosa stessi mangiando, sebbene ora il mio rapporto con il corpo sia migliorato tanto: non mi giudico più, anche se resta un pensiero costante.
A volte a me quel pensiero sembra quasi un sottofondo: è sempre lì, lo senti sempre, a volte te ne freghi un po’ di più, altre ci stai più attenta…
Sì, e quello incide tantissimo sul tipo di energia che metto nel mio lavoro e nella mia vita privata. Ricordo di periodi, fortunatamente lontani, in cui non volevo andare agli eventi perché pensavo, “Oh mio Dio, mi dovranno fare una foto”. Facevo pensieri “faticosi” un tempo, mentre adesso mi diverte molto pensare a come vestirmi, giocare con lo stile, con i capelli, fare gli shooting. Prima invece, finivo un servizio fotografico e avevo bisogno di una settimana per riprendermi dal mal di testa da ansia.
Qual è stato il miglior “vaffanculo” della tua vita?
Sai che non lo so? I “vaffanculo” non sono da me. In realtà, è una grana, perché io non so dire di no, per esempio. Solo adesso ho iniziato a darmi del valore, purtroppo, perché ho sempre avuto grandi difficoltà a porre dei paletti.
Siamo qui a fare lo shooting alla Soho House Rome, che per te è un luogo davvero speciale. Com’è diventato così importante nella tua vita? E come vivi questa seconda “casa”?
Beh, come sai, quando valutavamo la location per questo shooting, che doveva essere un servizio intimo, le opzioni erano due: o casa mia, dove abito, o la mia casa artistica, che in questo momento, appunto, identifico con la Soho House Rome. Il momento in cui ho avuto il “risveglio lavorativo” di cui parlavamo prima, la Soho è diventata la mia seconda casa, prima di tutto perché lì in qualche modo mi sono sentita desiderata. Il team che la gestisce mi ha conosciuta e mi ha voluto bene, e mi ha fatta sentire accolta e stimata, motivo per il quale ho iniziato a frequentarla. Con il tempo, la Soho è diventata un centro culturale importante a Roma, un polo dove si sono incontrate molte realtà e sono nati molti progetti importanti. Banalmente, il mio più grande amico e tutto il mio gruppo di amici in generale, che combacia per mia fortuna con il mio gruppo artistico, frequenta la Soho, che quindi è un posto che ti dà la possibilità di entrare e lavorare per te stesso, e sfruttare quell’occasione per conoscere persone e lavorare in gruppo, che per me è fondamentale e super stimolante.
È una fucina di eventi, idee, progetti che sono diventati preziosissimi nella scena artistica romana, è un punto di riferimento.
“La Soho è diventata la mia seconda casa, prima di tutto perché lì in qualche modo mi sono sentita desiderata”
Che ruolo ha, invece, la scrittura nella tua vita?
Scrivere mi piace tantissimo, è una cosa che trovo fondamentale, non è il mio lavoro ma mi ha sempre interessata. Il mio libro, per esempio, è nato come una cosa che avevo intenzione di scrivere per me. La scrittura per me è sempre stata un’attività divertente proprio perché non ha mai avuto un secondo fine, non mi ha mai causato ansie performative.
Il mio stile di scrittura poi mi rappresenta, è poco canonico e molto spontaneo: il mio libro, per esempio, è pieno di pezzetti in romanesco, con un mix di prima e terza persona e una struttura un po’ disorganizzata. Insomma, la scrittura è una parte fondamentale della mia vita che sono felice non sia un pilastro del mio lavoro.
Cosa ti fa ridere di più?
Direi le situazioni che vivo con il mio gruppo di amici. Loro mi fanno stare bene, i miei amici sono il mio pilastro, fondamentali per vivermi al meglio il mio lavoro e la mia vita al di fuori del lavoro.
Invece qual è la tua più grande paura?
La perdita, sia personale, dato che sicuramente ho avuto esperienze traumatiche, sia relazionale. Mi fa paura, per esempio, lo sgranarsi delle relazioni, o di alcune situazioni lavorative. Infatti, sono incredibilmente brava a non perdere nulla, e ho un tatuaggio con la scritta “Fine” sbarrata, perché la fine è qualcosa che proprio non mi appartiene. Piuttosto, le relazioni sentimentali, per esempio, le ho trasformate in amicizie importanti.
“Fine“
Cosa troviamo in questo momento nella tua cartella “Preferiti”?
I miei amici; tutto ciò che è creatività, quindi fotografie, musica, cinema, dato che in quest’ultimo periodo sto ritrovando tanto quell’arte con cui sono cresciuta e sto anche frequentando persone che hanno uno spiccato senso della creatività, il che è ossigeno per me; una parte sentimentale viva che mi fa sentire bene; tanti viaggi, su cui voglio buttarmi a capofitto: “Libri, viaggi e teatro noi non li paghiamo”, come diceva mio padre per farmi sentire libera di fruire di quelle esperienze quanto volevo.
Che libro stai leggendo adesso?
Purtroppo, è un periodo in cui non sto riuscendo a leggere nulla. Faccio tantissime cose che mi arricchiscono sicuramente da un punto di vista culturale e artistico, ma non riesco a fermarmi mai a leggere, perché non riesco a star ferma. Vado un po’ a periodi, ora per esempio sto attraversando una fase in cui riguardo tanti film.
Effettivamente, almeno per me, la lettura è indicativa del momento che sto vivendo: leggo tanto quando ho bisogno di staccarmi dalla realtà e isolarmi. La lettura è incomparabile, ti fa andare in un altro mondo e non esiste più niente intorno.
Sì, sono d’accordo, è il bello della lettura. Io penso di essere bloccata attualmente da questo punto di vista perché sto vivendo un periodo in cui sento dentro un’energia che non mi consente di tuffarmi nella lettura.
Invece, una canzone che descrive questo momento particolare della tua vita?
Ti direi in generale canzoni che hanno un “friccicore” dentro, tipo la colonna sonora di “Juno”, musica che ha una felicità di sottofondo, perché è un periodo in cui sono molto serena. Ad ogni modo, la mia playlist è molto varia, come me.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa?
Ho scoperto che trovo belle soprattutto le cose semplici. Purtroppo, io ho passato molto tempo a subire il fascino di cose molto complesse e faticose, di percorsi sofferti pensando che potessero essere gli unici gratificanti.
Invece, in questo momento mi rendo conto che le cose semplici e spontanee sono quelle più belle.
Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup & Hair by Sofia Caspani.
Styling by Eleonora Gaspari e Alessandra Caponegro.
Location: Soho House Rome.
Total Look by Saelf.
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