Davide Avolio è una voce autentica e poliedrica della nuova generazione artistica italiana. Scrittore del romanzo “I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno”, poeta e content creator, si muove con naturalezza tra pagine di romanzi, palchi teatrali e schermi digitali, intrecciando esperienze personali e visioni del mondo in un flusso continuo di espressione creativa. In questa intervista, ci racconta il suo percorso, dall’amore per la poesia nato sui banchi del liceo classico alla scrittura come strumento di sopravvivenza emotiva, passando per il rapporto complesso con Napoli e il desiderio di condividere cultura attraverso i social. Un viaggio intimo e sincero, dove l’arte diventa specchio dell’anima e chiave per decifrare la realtà che ci circonda.
Scrittore, poeta, content creator che si ritrova in libreria, a teatro e sui social media: chi è davvero Davide Avolio, come riesci a combinare tutte queste passioni e aspetti della tua personalità per esprimerli al meglio?
Davide è un giovane adulto che prova, come tutti i suoi coetanei, a ritagliarsi un piccolo quadro nella complessa trama del nostro tempo, nel vasto e terribile mondo che si dispiega di fronte a quelli nati e cresciuti in quest’epoca. Non ho mai avuto bisogno di combinare particolarmente gli aspetti che, successivamente, sono divenuti elementi della mia carriera artistico-lavorativa poiché sono già mescolati dentro di me. Non tanto per chissà quale genialità, direi più per una semplice inclinazione all’espressione artistica che ho fin da bambino.
Ti ricordi qual è stato il libro che ti ha fatto appassionare prima al mondo della lettura e poi a quello della poesia nello specifico?
Il libro di poesia dopo il quale ho cominciato ad appassionarmi al genere è stato Fiore di poesia, un’antologia di poesie di Alda Merini, edita da Giulio Einaudi Editore. Il libro che mi ha fatto appassionare alla lettura, da bambino, è stato Moby Dick.
Come sei arrivato invece alla scrittura e come si è evoluta questa espressione artistica nel tempo?
Ci sono arrivato per esigenza di vita, la scrittura è stata la mia prima forma d’espressione da adolescente. E devo tutto al liceo Classico, per avermi instradato in ciò. Nel tempo la scrittura si evolve continuamente; ritengo che sia suscettibile ai mutamenti anche quotidiani. Basta un verso altrui letto di sfuggita, una conversazione che mi segni particolarmente, una peonia appassita al lato della strada e la scrittura inevitabilmente cambia e si evolve. Ad oggi sono nella fase riflessiva della mia poesia, in cui ho smesso completamente di scrivere affinché i miei versi potessero anche piacere agli altri. Scrivo per l’esigenza di rielaborare ciò che vivo ma, soprattutto, ciò che subisco. A partire dall’orrore che siamo costretti a vedere nel mondo ogni giorno.
“I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno” è il tuo primo romanzo e come ammetti anche tu nelle note d’autore, ci sono dei rimandi alla tua esperienza personale. Come è stato equilibrare Davide scrittore e Lorenzo protagonista “immaginario”?
E’ stato complesso perché mi sono reso conto spesso di aver sovrapposto quel che pensavo io con quello che avrebbe dovuto pensare Lorenzo. Avrò riletto l’opera almeno una decina di volte completamente, fra bozze e romanzo completo, ma comunque continuo a trovare delle piccole risposte di Lorenzo che affinerei e renderei “meno simili” a quelle che avrei dato io.
Quasi all’inizio del libro, Lorenzo parla della solitudine e del mondo in cui l’ha sconfitta, tramite i libri e i videogiochi, arrivando ad affermare di aver accettato l’etichetta di nerd con molta serenità. È stato effettivamente così anche per te? Considerando quanto poi l’etichetta di nerd sia cambiata negli anni e abbia assunto declinazioni diverse.
Io sono sempre stato pacificamente nerd, al contrario di Lorenzo non ho mai dovuto subire alcun tipo di solitudine a causa di ciò. Ho sempre avuto la fortuna di essere circondato da amici, ragazzi e ragazze ed ho appreso fin da giovanissimo il valore potenziale di una solitudine voluta e ricercata. Come avrebbe detto Faber, un ponte per straordinarie forme di libertà.

Laura, la ragazza che apre a Lorenzo le porte dell’amore, più che un “angelo-mostro” l’ho vista come una donna angelo, quella a cui gli Stilnovisti dedicavano le loro opere (oltre al fatto che si chiama come la danna amata da Petrarca). È effettivo questo rimando?
Sì, Laura è rappresentata in questo modo perché a raccontarcela è Lorenzo (peraltro un Lorenzo adulto, che scrive dopo anni) e che la vede ancora in quel modo. Le paranoie di cui parla quando definisce quell’angelo-mostro sono riferite ad eventi che voi non avete ancora letto e che spero di farvi leggere nei prossimi libri. Il rimando a Laura di Petrarca non è voluto, se non nella misura in cui sia Laura che Lorenzo derivano dalla parola latina Laurus, che indicava la pianta d’alloro, simbolo rappresentativo di Apollo, dio delle arti e della Poesia. ( Laurentius ha una radice meno forte, ma comunque deriva da quello ) Laura è anche la rappresentazione della Poesia di Lorenzo, che nasce come vergine, pura e casta, ancora non ferita dal mondo, ancora incapace di ferirlo, eppure così categorica e presente.
Amore vero, amore inteso come amicizia, amore per la famiglia, per quello che si studia e come mezzo per scoprirsi e riscoprirsi. Viste le numerose sfaccettature del termine, che sono anche molto personali, che cos’è per te oggi l’amore?
L’equilibrio preciso e perfetto della bilancia fra vita e morte, la quiete di una relazione salda e pacata.
Il libro è anche una rappresentazione quasi odi et amo verso la città di Napoli, che esploriamo attraverso le vicende di Lorenzo: qual è il tuo rapporto con questa città?
E’ esattamente un rapporti di Odi et amo catulliano. Devo tutto a Napoli, ma spesso avverto con drammaticità ogni sua contraddizione.
Come sta andando invece il tour nei teatri con La Genovese? Come ti sei preparato all’interpretazione che richiede la poesia performativa?
Il tour sta andando molto bene. Nelle prime date abbiamo avuto una partecipazione numerica esigua ma corposa dal punto di vista emotivo. Gli spettatori lasciano il teatro entusiasti e contenti, si fermano con noi a chiacchierare, far foto e farsi firmare libri. E questo, per me per Gennaro, è davvero ciò che conta. Per la preparazione dovuta alla poesia performativa, sono impegnato da ormai due anni in eventi dal vivo in cui interpreto e recito poesie, tra cui i Poetry Slam, a cui ho partecipato svariate volte, sia come slammer che come Mc.
Parlando di forme d’espressione, non possiamo non menzionare la tua attività di divulgazione: come si sviluppa il processo di creazione contenuti e di selezione dei materiali di cui tratti?
Ormai parte solo ed esclusivamente da ciò che mi colpisce: qualcosa che leggo, qualcosa che vedo sui social, banalmente una conversazione che mi illumini particolarmente. Ogni tanto ci sono poi dei classici che recupero e che leggo, nonostante non abbiano bisogno di essere da me “divulgati”. C’è anche l’attualità, nella sua manifestazione terribile, che mi offre molti spunti a partire dalla letteratura per la creazione di video.

Qual è stata fino ad ora la reazione più bella rispetto a ciò che fai, sia sui social che come feedback agli spettacoli o al romanzo?
Quella di persone, spesso giovani, che mi hanno ammesso di aver cominciato a leggere/scrivere poesie dopo aver visto alcuni miei video. Agli spettacoli quelli che mi lasciano sempre col cuore pieno sono le persone più grandi, gli adulti, che vengono a complimentarsi.
Il libro, o i libri, sul tuo comodino.
Attualmente sto leggendo Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa; Amuleti di Lorenzo Pataro; Teutoburgo di Valerio Massimo Manfredi; Venuto al mondo di Margaret Mazzantini.
Qual è il verso della poesia o la citazione letteraria che ti rappresenta di più in questo momento?
Io metto una lente
dinanzi al mio cuore,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
Palazzeschi.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stesso grazie anche a tutto ciò che fai?
Che sono molto più insicuro di quello che pensassi e che ci vorranno anni di lavoro e terapia per arrivare ad annullare la ricerca dell’approvazione altrui rispetto a ciò che faccio.
Qual è la tua isola felice?
Il momento a tarda sera quando posso scrivere, scrollare, ascoltare musica e fumare lontano dal mondo, da tutti e dalle preoccupazioni; che sia il balcone di casa mia o il davanzale di una stanza d’hotel.
Thanks to Mondadori
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