Nel 1982 Ridley Scott rivoluzionò il mondo della fantascienza cinematografica, un mondo che in quegli anni era in continua evoluzione, realizzando un film che riusciva ad unire il passato, il presente e il futuro.
Forte di una base letteraria importante come quella del maestro Philip K. Dick, “Blade Runner” presentò un mondo futuro con ambientazioni scure, quasi noir, completamente diverse dal mondo reale, ma in cui ci si riusciva ad immergerci facilmente.
La fortuna di “Blade Runner” non è dovuta quindi solo ad una trama avvincente con temi filosofici assolutamente non banali e a personaggi iconici, ma soprattutto ad un’impostazione nel “fare” della fantascienza completamente differente.
Parlare di un sequel di un’opera così importante, che ha segnato un’epoca e che era rimasta come punto fisso in quel lontano 1982, sembrava un’assurdità quando fu annunciato un paio d’anni fa. Nel periodo in cui ci troviamo, inoltre, in cui il passato sta tornando prepotentemente nelle sale cinematografiche con reboot e remake di ogni specie, l’annuncio di un secondo capitolo di un film che di un secondo capitolo non ne aveva bisogno lasciava un po’ titubanti e spaventati.
La mossa di far uscire tre cortometraggi per introdurre al 2049 di Villeneuve si è rivelata però geniale, riuscendo a conquistare la maggior parte dei fan e a far salire a livelli esponenziali l’hype di chiunque. Da sottolineare a tal proposito la qualità dell’ultimo cortometraggio, quindici minuti di anime girato da Shin’ichirō Watanabe (Cowboy Bebop) con le musiche di Flying Lotus.
Così, carichi di aspettative, la cosa peggiore prima di entrare in sala, è arrivato finalmente il 5 ottobre (negli States è uscito il 6.10, ricordatevi questa data, così tanto per dire…).
Quando si pensa a “Blade Runner” gli elementi chiave sono soprattutto tre: le ambientazioni, i replicanti e la musica. E sta proprio in questo la grandezza di “Blade Runner 2049”, l’essere riuscito a rispettare tutti gli elementi fondanti del capitolo originale ma dando comunque molto di più (163 minuti sono tantissimo di più!).
Andando in ordine, le ambientazioni. Sin dalle prime scene sembra di essere tornati fra le strade di quella Los Angeles cupa, senza sole, dove piove sempre (tipo la Scozia per intenderci), con le strade affollate e illuminate dalle insegne. E sono proprio quelle insegne a dare la marcia in più. Nel 1982 i grandi cartelloni multimediali con i brand famosi che recitavano i loro sponsor erano stati la marcia in più per rendere quel futuro legato alla Terra che conosciamo, per renderlo più riconoscibile. Nel 2049 riescono a legare lo spettatore a quel futuro che sta vedendo ma contemporaneamente anche al passato.
I Replicanti continuano a rimanere un ottimo punto di partenza per argomenti filosofici sul senso dell’essere uomo o dell’essenza dell’Io, creando un volto perfetto per rappresentare l’eterna lotta macchina-uomo. Nel Blade Runner originale lo scontro era quello fra Rick Deckard (Harrison Ford) e un gruppo di Replicanti arrivati sulla Terra illegalmente per convincere il loro creatore ad allungare le proprie vite. Il fulcro stava quindi nella fisicità della macchina, nella sua morte e nel senso della vita.
In “Blade Runner 2049” Villeneuve punta più sulla mente della macchina, sui sentimenti, sui ricordi, sulle emozioni, costruendo una trama piena di tensione, riflessioni e colpi di scena, seguendo l’Agente K (Ryan Gosling) in ogni suo spostamento.
Come ha detto il regista in un’intervista prima dell’uscita del film, questo “Blade Runner” risponderà a domande poste trent’anni fa, ed è vero, ma pone le basi per una miriade di altre domande.
Infine le musiche. Nell’82 le avventure di Deckard erano accompagnate dalle musiche avanguardiste di Vangelis, che ha segnato tutte le generazioni di compositori a venire. E due dei migliori compositori a venire hanno raccolto la sua eredità. Come Villeneuve ha raccolto quella di Scott, Hanz Zimmer e il suo inseparabile Benjamin Wallfisch (“It”) hanno seguito egregiamente le orme di Vangelis.
Inizialmente la colonna sonora era stata affidata a Jóhann Jóhannsson, collaboratore storico di Villeneuve nonchè compositore per “mother!”, ma all’ultimo è stato deciso di volere delle musiche più vicine a quelle del maestro greco.
Zimmer e Wallfisch (che insieme hanno composto anche le musiche di “Dunkirk”) hanno perfettamente soddisfatto le richieste, creando una colonna sonora che unisce i loro stili, tipicamente orchestrali e con molti archi, con quello di Vangelis. Ne sono uscite così delle musiche ora angoscianti con molta suspense, ora aperte e spensierate ma con i suoni poco familiari. Molto interessanti i passaggi che sembrano iniziare con gli archi tirati sulle loro note più alte per poi passare ai suoni del synth tremolante ma allo stesso tempo liberatorio.
“Blade Runner 2049” è il sequel che l’opera di Ridley Scott merita, e sarà molto difficile riuscire a vedere qualsiasi altro sequel senza andare col pensiero al confronto col lavoro di Villeneuve. A questo punto non ci resta che attendere con ansia il suo “Dune”.