Carne y Arena è un’installazione filmica realizzata dal regista, vincitore di quattro premi Oscar, Alejandro G. Inárritu in collaborazione con Emmanuel “Chivo” Lubezki (direttore della fotografia tre volte premio Oscar) e prodotta da Legendary Entertainment con Fondazione Prada. Presentato alla 70esima edizione del Festival del Cinema di Cannes e presente ora negli spazi del Deposito della Fondazione milanese, dal 7 giugno 2017 al 15 gennaio 2018, il film-documentario racconta le vicende dei migranti dell’America centrale nel tragico intento di superare il confine fra Messico e Stati Uniti, narrando il tutto con la nuova tecnologia Virtual Reality.
Grazie al suo pensiero visionario e all’aver portato al pubblico uno storytelling di tipo immersivo nonché una nuova forma di cinema che mixa arte multimediale ed esperienza filmica, il progetto “Carne y arena” è stato premiato dall’Academy’s Board of Governors con lo Special Award Oscar, ovvero un rarissimo riconoscimento assegnato solamente 18 volte in 90 anni di storia dell’ Academy Awards. Premio che verrà assegnato al fondatore dell’opera, Inárritu, il prossimo 11 novembre.
Analizziamo, quindi, gli intenti e le riflessioni del regista messicano attraverso alcuni punti chiave dell’istallazione filmica.
La nascita del progetto:
In un’intervista tenuta al festival di Cannes, il regista confessa che già quattro anni fa l’idea di riuscire a realizzare un progetto sul tema dell’immigrazione cominciava a formarsi nella sua mente. L’intento poi di riuscire a rendere fruibile e visibile il progetto è stato possibile grazie all’incontro del regista con Miuccia Prada, la quale ha scelto di produrre ed ospitare il progetto negli spazi della sua Fondazione a Milano. Durante la fase produttiva, Inàrritu ha vissuto a stretto contatto con i rifugiati messicani e dell’America centrale, ascoltando le loro storie e invitando alcuni di loro a collaborare al progetto. Il risultato di tutto ciò è la realizzazione di un’installazione filmica che attraverso le potenzialità della tecnologia VR rappresenta una metafora della lotta per la sopravvivenza esplorando allo stesso tempo i confini della condizione umana. Lo stesso regista dichiara infatti: “La mia intenzione era di sperimentare la tecnologia VR per esplorare la condizione umana e superare la dittatura dell’inquadratura, attraverso la quale le cose possono essere solo osservate, e reclamare lo spazio necessario al visitatore per vivere un’esperienza diretta nei panni degli immigrati, sotto la loro pelle e dentro i loro cuori”.
Oltre l’esperienza visiva:
Uno degli intenti principali del regista consiste nel rompere qualsiasi tipo di barriera: sociale, partecipativa ed emotiva. Infatti, grazie alla tecnologia VR, il contatto fra spettatore ed opera filmica diventa molto più stretto. L’esperienza vissuta dal pubblico viene definita totalizzante in quanto gran parte dei sensi sono coinvolti; tale immersione è dovuta dal fatto che lo spettatore deve seguire alcune regole precise per entrare a contatto con l’opera come, ad esempio, togliere le scarpe e rimanere a piedi nudi sulla sabbia ed indossare uno zainetto, degli occhiali ed un casco che proietterà per 6 minuti e mezzo un frammento di realtà parallela. Allo spettatore sembrerà così di essere parte di un gruppo di rifugiati i quali dovranno superare diverse difficoltà, fra cui un assalto della polizia di frontiera.
Un cinema molto diverso da cui siamo abituati ma che secondo il regista troverà sicuramente una propria definizione e un proprio linguaggio con le nuove generazioni.
Apertura ad un nuovo linguaggio comunicativo:
Alessandro Celant, soprintendete scientifico e artistico della fondazione Prada, parla di “rivoluzione comunicativa in cui il vedere si trasforma in sentire”. Il soprintendente dichiara, infatti, che la possibilità di “condividere fisicamente il cinema” avviene grazie alla realizzazione di un linguaggio multinarrativo in cui l’esperienza del sensibile si intreccia con quella del visibile causando una fusione di identità fra personaggio e spettatore.
Gli intenti del regista e il pubblico di riferimento:
L’interesse, sottolineato più volte dal regista messicano, non ha fini politici. Egli, infatti, sostiene di voler far sì che le persone facciano un’esperienza umana, tutta riconducibile ad una situazione reale. Inoltre, i soggetti che il regista spera di sensibilizzare si incarnano nelle nuove generazioni in quanto continuamente sviate da racconti di uomini di potere che si sono ormai impadroniti della crisi umanitaria per i propri scopi senza però raccontare le cause vere per le quali tante persone lasciano la propria patria rischiando la vita.
Fondazione Prada: il centro sperimentale delle arti
Non c’è da stupirsi del fatto che Carne y Arena faccia parte della rosa dei progetti di Fondazione Prada. La filosofia sperimentale che anima il progetto è infatti la stessa che viene condivisa dalla Fondazione. Nata nel 1993, nel tentativo di superare le convenzioni e di mostrare lo scambio continuo fra arte, cinema e tecnologia, la mission della fondazione è quella di interrogarsi sul ruolo ricoperto da un’istituzione culturale oggi. Questione che la fondazione si pone di risolvere assegnando alla cultura un ruolo attivo, educativo e soprattutto partecipativo.
Questa deve essere parte integrante della nostra vita quotidiana ed accompagnarci nella comprensione di noi stessi e del mondo. Per questo la Fondazione si presta ad essere un centro sperimentale e un luogo di incontro fra artisti, filosofi, studenti e ricercatori in cui le idee vengono concretizzate in manifestazioni della cultura del nostro tempo.