Nato in Argentina da genitori coreani, cresciuto in Australia, Leonardo Nam è un attore a tutto tondo, creativo, di talento, un po’ idealista, che sta facendo impazzire Los Angeles.
Innamorato dei film di Luca Guadagnino “Io sono l’amore” e “Chiamami con il tuo nome”, Leonardo è aperto alle nuove opportunità senza prendersi troppo sul serio e vanta un background multiculturale che non è sempre stato pienamente compreso e apprezzato dall’industria cinematografica: infatti ricorda quanto raramente vedesse volti asiatici nella TV australiana. Ma ha superato tutte le difficoltà ed è un grande attore, molto amato dall’ampia fanbase del suo lavoro più recente.
Principalmente noto per i suoi ruoli in “Quattro amiche e un paio di Jeans” e “Fast and Furious” e ovviamente come il tecnico di laboratorio, impiegato del parco, Felix Lutz nella famosa e acclamata serie della HBO “Westworld – dove tutto è concesso“.
Lo abbiamo incontrato a Silver Lake, Los Angeles, e siamo stati immediatamente conquistati dalla sua personalità brillante, dalla sua grande passione per la recitazione e dalla genuinità nel raccontare le proprie esperienze, rendendo ancora più elettrizzante la discussione su uno show così complicato e misterioso come “Westworld”, che tornerà con la seconda stagione il 22 Aprile.
Certamente, da bravi fan della serie, non potremmo che essere pienamente coinvolti dal buzz che sta creando l’imminente ritorno di “Westworld”. In questa intervista, che getta una luce su alcuni dei retroscena della prima stagione, possiamo assicurarvi che sarà una seconda stagione da paura.
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Com’è cominciato tutto, per te?
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È iniziato perché volevo essere qualcuno. È importante per chiunque, penso, sapere che sei in grado di vivere davvero il tuo sogno e, vivendo i tuoi sogni, diventi qualcuno.
E così, per me, le cose hanno iniziato a connettersi quando ero in Australia. Studiavo architettura, ma avevo sempre desiderato studiare anche teatro. Ma all’epoca, in Australia, non c’era nessun volto asiatico sullo schermo, in TV o nei film, quindi non mi ero davvero reso conto che avrei potuto diventare un attore. Ho cercato di seguire il mio percorso e di essere un buon architetto. Poi, ricordo che dovevo fare un esame di architettura, ma ero anche stato ammesso al round finale di audizioni per la NIDA, l’università, che è un po’ come la Julliard dell’Australia. Era lo stesso giorno del mio importantissimo esame per architettura.
E lo ricordo molto chiaramente, ricordo di essere sceso dall’autobus e di dover scegliere. Se fossi andato a sinistra, c’era la scuola di architettura ad attendermi; se fossi andato a destra, la scuola di recitazione. Ricordo di aver pensato “Devo andare a destra“.
In quel momento, ho sentito qualcosa che prendeva forma, e ho deciso di andare a destra… Una decisione che mi ha portato qui, ora!
“Penso che tutti abbiano quei momenti.
Se ascolti te stesso e la voce sincera che parla dentro di te, quella non mente mai.”
Le vere vocazioni e gli scopi importanti nella vita vengono dalle volte in ci diamo ascolto a quella voce interiore. Quella parte di me mi ha portato a recitare. Nonostante non sia stato ammesso, alla fine, all’epoca lavoravo con una mentore, che mi ha detto: “Ok, non sei entrato. Va bene lo stesso: dovevi comunque lasciare l’Australia. Non ci sono facce come te, qui, e non ci sono ruoli per te in questo momento. Quello che devi fare è andare a studiare: devi conoscere il mestiere in modo che, indipendentemente da ciò che si dice, che si presentino o meno dei ruoli e che il mondo si trasformi, iniziando a trovare spazio per personaggi più inclusivi e diversi, o no, tu avrai sempre la tua arte. In ogni caso, sarai comunque un grande attore.” Alla fine, vedo la recitazione un po’ come l’artigianato, come fare mobili. Una volta che ne capisci la fisica e come realizzare effettivamente un tavolo, devi metterci gusto per fare in modo che il legno sia come appare. Questo è quello che ho iniziato a capire, studiando: come creare qualcosa, un personaggio e una storia. Come essere quel qualcosa che aggiunge valore alla trama.
Così sono volato a New York per studiare recitazione e, da lì, ho ottenuto il mio primo film, che era “Perfect Score”. La trama raccontava di come i personaggi cercassero di rubare i punteggi SAT, c’erano Chris Evans, Scarlett Johansson e io: è stato davvero emozionante per me. Era il sogno impossibile, per così tante ragioni, per me era un film impossibile da realizzare: immaginate questo volto asiatico che parla come un Australiano ma che sa e può imitare diversi accenti americani. Ma l’unico modo in cui potevo rimanere lì, lavorando, era a patto di ottenere un ruolo da protagonista in un film. Ricordo le persone che ridevano che mi dicevano: “Non ce la farai mai“.
Ma ci sono riuscito! É meraviglioso. Da allora, mi sono aperto una strada ad Hollywood e mi sono trasferito a Los Angeles: poi, un ruolo ha portato all’altro, e ho iniziato a fare “Quattro Amiche e Un Paio di Jeans”, “Fast and Furious” e, ora, “Westworld”.
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Hai lavorato in diverse produzioni, ma hai notato delle differenze nel modo in cui un film viene creato a New York, piuttosto che a Hollywood o in Australia?
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Sì, credo ci siano delle differenze notevoli.
Voglio dire, mi sento come se ci fosse un’energia, nelle produzioni newyorkesi, una presenza che ti fa sentire come se tutto non dovesse essere necessariamente bello. La considero una scelta che potrebbe essere più interessante, che porta a storia e narrazione più “interessanti“. Penso che sia qualcosa che accomuna le produzioni di New York o quelle straniere, come il cinema australiano o italiano: hanno un diverso tipo di mood. Qui a Los Angeles, certo, hanno dei registi meravigliosi, ma la strada è spianata per un tipo di film o show più commerciale, mentre a New York e nelle produzioni straniere c’è più spazio per qualcosa di diverso.
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Dal momento che parliamo di produzioni estere…ti piacerebbe, in futuro, lavorare ad un film non prodotto in America o Australia?
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Decisamente!
Amo “Chiamami Con Il Tuo Nome“, che è anche il film più recente che ho visto. Oh mio dio, quel film: come è stato girato e diretto, è semplicemente bellissimo! Uno dei miei film preferiti è un altro film italiano: “Io sono l’amore”. É con Tilda Swinton, dove parla italiano, e poi gli abiti sono di design Fendi. È semplicemente bellissimo. Ma mi piacerebbe lavorare in un film italiano, giapponese, coreano o francese … È un sogno poter collaborare con qualsiasi tipo di produzione che riprenda e onori il paese da cui proviene.
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Serie TV e film: hai lavorato in entrambi i mondi, quale ti è sembrata la differenza più grande?
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La differenza principale tra le due, secondo me, è la quantità di tempo a disposizione per filmare. A volte in una serie televisiva hai poco tempo, devi trasporre in azioni quante più pagine possibili, ma con un film, di solito, c’è un po’ più di calma. L’altra cosa, in uno show non tutto il copione è sempre scritto, mentre in un film è tutto ben definito e delineato. Sai che il tuo personaggio andrà da qui a lì, e poi finirà lì, mentre in una serie tv ti viene data un’idea generale di dove sta andando il personaggio: puoi fidarti che si finirà in un certo modo e che ti godrai il viaggio.
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Insomma, in una serie si può formare il proprio personaggio in corso d’opera…
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Sì, in un certo senso. Se c’è un bel processo di collaborazione, si può lavorare allo sviluppo del personaggio insieme. É meraviglioso, quando succede.
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Quindi, parlando di sviluppo del personaggio, parliamo di “Westworld”! Come hai lavorato al tuo personaggio, Lutz?
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É stato meraviglioso.
“Westworld” è strutturato in modo tale che sembrino cinque film in uno: di certo, sembra un film quando entri e lavori a contatto con la produzione. Nella prima stagione non mi hanno dato la sceneggiatura, mi hanno dato solo le mie scene. Era tutto oscurato a parte le mie battute, così ho detto allo sceneggiatore: “Ho una domanda: cos’è questo? Chi è Arnold?” E lui era tipo: “Oh, non possiamo dirtelo”.
Ero sconvolto. Cioè, cosa? Era così folle! Poi, più ho iniziato a parlare con gli altri attori, più ho capito che era così per tutti. Nessuno ha veramente capito dove sarebbe andata la storia completa finché non l’hai vista nella versione finale. Eravamo sul set e la gente chiedeva: “Ehy, sei un robot? Perché pensavo fossi umano… Ieri. Ma ora questo script dice che… Quindi, sei un robot? Sono un robot? Sono gli altri i robot?”
Ricordo che Jonathan (Nolan) e Lisa (Joy), sempre bravissimi e sorprendenti, ci hanno detto: “C’è un senso per questa follia. C’è un motivo per cui ti stiamo dando soltanto questo, e non è perché vogliamo rendere il lavoro ancor più difficile”: sentivano che avrebbe aumentato la tensione e avrebbero veicolato meglio le emozioni. É stato un lavoro sfiancante: ogni persona con uno spirito creativo può passare momenti di profonda insicurezza, e in quei momenti devi trovare cose con cui ancorarti, con cui allenarti, ma essere in quello show e non sapere molto della storia è stato duro. Era tutto basato sul fidarsi e sull’avere fiducia che tutto avrebbe trovato un senso… e così è stato.
“Tutti coloro che erano coinvolti erano in assoluto i migliori.
Tutti portavano solo il meglio del loro settore”.
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Com’era il mood sul set, allora? Eravate tutti un po’ confusi?
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É stato un gruppo meraviglioso con cui lavorare.
Come primo impatto, quando arrivi sul set e leggi la call sheet, vedi nomi del tipo: Anthony Hopkins, Thandie (Newton) e James Marsden. Io ero tipo “Oh, mio Dio” e anche la produzione era sorpresa dai nomi nel cast. Ma poi andavo a lavorare e tutti erano così sinceramente simpatici: profondamente professionali ma, allo stesso, molto premurosi.
Noi attori uscivamo insieme, ogni tanto. Abbiamo organizzato un barbecue una volta, ricordo che è stato Luke Hemsworth a fare gli inviti ma penso che fosse la casa di suo fratello, nel bel mezzo delle riprese.
Era la prima volta che ci trovavamo tutti insieme fuori dal set, quindi ci siamo messi a scambiarci informazioni tipo “Ok, ok, cosa sta succedendo? Tu hai capito? Oh, bene, nemmeno io ho capito!”
Insomma, stavamo condividendo le teorie! Ed è stato un esperimento davvero divertente. Devo dire che una delle altre cose bellissime di lavorare su “Westworld” era la presenza dei migliori del settore in ogni campo, e tutti stavano facendo del proprio meglio. Il costumista, il direttore alla fotografia, chiunque portava il meglio del proprio settore, e tutti erano super concentrati.
Assistere ad anni di lavorazione per arrivare a quel momento, che sapevo di aver aiutato a realizzare, era semplicemente meraviglioso. Ovviamente, anche vedere altri attori all’opera lo era, ma mi è davvero piaciuto osservare gli altri dipartimenti al lavoro.
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Se potessi visitare il parco di Westworld… Dove andresti? Chi saresti?
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Credo che sarei L’Uomo in Nero. Alla fine puoi sempre tornare a propendere verso il lato buono, se il resto diventa troppo pesante. Ma dove andrei? Mi piacerebbe vedere il mondo sottomarino, o lo spazio. Mi ricordo nel film, quando visitarono il mondo degli antichi Romani… Recentemente sono stato in Turchia e ho visto le rovine d’epoca romana. Ricordo di aver pensato “non sarebbe bellissimo riviverle?”. Potevo quasi vedere le persone camminare. Potevo vederlo.
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Quindi hai visto il film originale! Come ti è sembrato?
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Davvero spaventoso. Quando l’ho visto ho pensato: certo che ne trarranno una serie tv! Ha senso, funziona. La cosa pazzesca è che lo sviluppo tecnologico di adesso potrebbe portare a Westworld, un giorno… stiamo andando verso quella direzione, in un certo senso.
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Cosa ti fa pensare “sì, voglio accettare questa parte e creare questo personaggio”?
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Beh, di sicuro deve essere un ruolo intrigante. Deve creare una sorta di connessione con me, magari un ruolo divertente che mi fa ridere… Insomma, devo avere una reazione emotiva. Penso che, come narratore e come attore, sia giunto il tempo di concentrarsi su progetti che comprendono anche le minoranze meno rappresentate. E penso che questo sia anche mio compito, dare spessore a quelle voci che altrimenti rimarrebbero inascoltate. Penso che questo momento rappresenti una meravigliosa opportunità, perché le persone iniziano a vedere con tutte queste angolazioni diverse, ci sono diversi tipi di storie che la gente vuole finalmente conoscere, tipi di volti che le persone vogliono finalmente vedere. Dev’esserci qualcosa che mi invogli a collaborare alla storia, deve emozionarmi.
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C’è un regista con cui vorresti collaborare?
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Sì, certo, ce ne sono molti.
Recentemente ho lavorato con Ava DuVernay, è una persona meravigliosa e una regista con cui ho amato lavorare: mi ha ricordato che ci sono così tanti registi là fuori che ora stanno davvero inseguendo il successo con tutte le loro forze. Poi, ancora, c’è un regista americano di nome Andrew Ann con cui mi piacerebbe lavorare: è assolutamente fenomenale.
Anche con Luca Guadagnino, il regista di “Chiamami con il tuo nome”: ho quasi bisogno di lavorare con lui. Il film è assolutamente geniale, proprio nel modo in cui è stato pensato, formato e realizzato.
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Cosa riserverà il futuro, ora?
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Ho un film in uscita su Netflix, dal titolo “Happy Anniversary”. Ho anche appena girato un pilot per una nuova serie, a Vancouver: il titolo è “Dead Inside”, vedremo se andrà bene. Mi è sembrato un ruolo molto divertente.
Sto anche sviluppando un paio di altri progetti: uno è un film di gangster ambientato ai tempi di Al Capone, il classico film d’epoca a sfondo gangster, e poi un altro lavoro a cui mi sto dedicando, che è più simile ad un thriller, interamente basato su una storia vera.
Must have on set: Tè
Superpower: Mi piacerebbe avere una voce incantevole, quel tipo di voce che la ascolti e ti si scioglie il cuore per la commozione o l’emozione. Sarebbe bellissimo.
Epic fail sul lavoro: Ricordo un episodio particolarmente triste, la storia dell’audizione peggiore di sempre. C’è questa casting director che mi conosce, è davvero meravigliosa e mi mette sempre al corrente di progetti che mi possono piacere. Quindi c’era questo casting che mi aveva consigliato, era per un lavoro con Sacha Baron Cohen. So che Sacha lavora molto d’improvvisazione, avevo fatto tutte le mie ricerche e in più avevo studiato anche nell’ambito di workshop per clown, lavorando sotto lo stesso coach che aveva seguito Sacha… Quindi ho deciso di rimanere nel personaggio per tutta la durata del provino. Volevo essere quel personaggio, stravagante ed appariscente, fino in fondo. La cast director mi conosceva molto bene, anche alcuni degli altri produttori mi conoscevano: sono entrato nella stanza senza mai uscire dal personaggio, nonostante mi rendessi conto della loro perplessità. Continuavo a rispondere come il personaggio, anche se me ne stavo andando. Era anche il mio compleanno, quel giorno, me lo ricordo benissimo. Insomma, un compleanno davvero triste. Alla fine mi hanno guardato tutti e, nonostante la cast director stesse cercando di nuovo di fare conversazione, e io non ho mai smesso di recitare.
Insomma… Ho deciso che non è stata una scelta saggia.
La tua isola felice: dovunque io possa meditare, ovunque.
Accento preferito: Italiano! Quando parlo con accento italiano, mi sembra che l’intera gestualità cambi.
Film preferito, da bambino ed adesso: Il mio film preferito da bambino era “I Goonies”. L’ho sempre trovato divertentissimo, ho adorato quel film.
Mentre il mio film preferito ora… Forse “Chiamami con il tuo nome“. Inizialmente non sapevo nulla di questo film, ma era l’Award Season e mi trovavo a dover esprimere un giudizio, quindi sono andato a vedere un sacco di film.
Quando sono uscito dalla sala, sono andato in un bar e, mentre ero in piedi ad aspettare il mio caffè, mi sono appoggiato al bancone e ho detto: “Non è sorprendente l’amore?”.
Prima che ne me rendessi conto, quel commento era uscito dalla mia bocca! Continuavo a parlare di amore e mi sono reso conto che era a causa del film: mi aveva davvero colpito, tanto che sentivo il bisogno di condividere pensieri sull’amore con altre persone. Era una cosa davvero speciale: è l’effetto che vuoi che un film, o qualsiasi progetto, produca sull’audience.
Parola preferita: Grazie mille, e sinceramente, da ben prima di sapere che avrei fatto un’intervista con un magazine italiano. Lo dico tutto il tempo: grazie mille. Adoro come gli italiani lo ripetano in continuazione.
“La mia parola preferita è ‘Grazie Mille’…
Adoro come gli italiani lo ripetano in continuazione”.
Il personaggio che vorresti essere: mi piacerebbe molto essere James Bond
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Film Italiano: “Otto e Mezzo”
Citazione preferita: “Andrà tutto bene”
L’ultimo binge-watch: Sto guardando “American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace”. Sono a tre episodi dalla fine, si sta rivelando davvero bello.
Cosa hai già spuntato dalla tua Lista dei Desideri: Sono andato in Egitto, ho visto le piramidi: è stata una grande cosa da vedere. E anche la crociera sul Nilo: quella finisce definitivamente nelle cose da spuntare dalla mia Bucket List!
Ho sognato di… Qualcosa sulla guerra in Corea. Non necessariamente che si focalizzi solo sulla guerra, ma che ne rappresenti l’epoca. Sono nato in Argentina e cresciuto in Australia, ma una delle ragioni per cui sono nato in un altro paese è la guerra che ha imperversato, e sta ancora imperversando, in Corea. Proprio come “Salvate il Soldato Ryan”, ma con uno sfondo coreano.
Oppure un film di spionaggio!
La cosa più bella mentre giravi… “Westworld”: Ricordo molto chiaramente un momento della prima stagione in cui filmavo di giorno: ho chiuso gli occhi e sentito il sole. E questa stagione, invece, in una scena guardo la luna: quando ho chiuso gli occhi, ho sentito davvero la differenza. Ed è semplicemente fantastico.
Ops! Break Time:
Snack Crush: Trader’s Joe ha delle meravigliose scorze di arancia immerse nel cioccolato fondente, sono buonissime! E anche i mirtilli, allo stesso modo.
Dolci o Popcorn? Entrambi! Insieme.
Visto che siamo italiani… Hawaiian pizza, sì o no? Sì, ovviamente!…Oh, ragazzi, sembrate proprio contrariati! [ride]
Credits:
Photos by Johnny Carrano
Grooming by Nathaniel Dezan at Opus Beauty using R+CO & CHANEL Palette Essentielle.