Abbiamo incontrato Jessica Ellerby in una bellissima mattinata a Londra, e non vedevamo l’ora di conoscerla: una donna ed attrice che non solo desidera sempre di più recitare personaggi che siano ben costruiti e tridimensionali, ma è anche un’ambiziosa scrittrice e regista, e che definisce i suoi stessi lavoro “un parto di vero amore”.
Tra risate, epic fail e la sua nuova serie tv “Living the Dream” (dove interpreterà Stecee, una dolce ragazza americana che è una leggenda nel cucinare le torte), abbiamo scoperto che Jessica potrebbe essere una delle nostre donne preferite nel cinema indipendente, che ha sempre voglia di scoprire quali sono gli elementi che costruiscono la mente umana e che non vede l’ora di potersi sedere a guardare una commedia che la faccia ridere. E tanto.
Regia, recitazione e scrittura: come è iniziato tutto?
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La recitazione è stata la prima che ho incontrato, in termini di carriera, e la scrittura e la regia sono delle novità per me. Ho da poco scritto e diretto il mio primo cortometraggio, che ho anche prodotto oltre ad aver curato i capelli e il makeup, i costumi e le prove, mi piaceva tutto.
Ti è piaciuta come esperienza?
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Mi è piaciuto molto. In realtà, è un’esperienza scaturita da un momento in cui non stavo lavorando ed ero frustata dai personaggi che interpretavo. Allora ho pensato: “Mi scriverò qualcosa da sola“.
É successo più o meno così. Anche se la cosa divertente è che ogni volta che parlo con mia madre lei mi dice: “Tu hai sempre scritto, hai sempre creato storie e personaggi”, sembra che non siano cose separate rispetto a quello che faccio di solito. Man mano che si invecchia le cose si classificano da sole, ma in quel momento appare come un processo creativo generale al quale ti sottoponi.
Tutto ciò a cui penso è creare mondi e persone che risiedono in quei mondi. In un certo senso, penso che i vari aspetti artistici siano intrinsecamente collegati. Certo, hai più controllo artistico quando scrivi perché è la tua creazione, ogni cosa è una tua decisione e con questo a volte viene anche una maggiore responsabilità piuttosto che limitarti a interpretare una parte, ma c’è anche maggiore libertà. Puoi scatenarti.
“…è la tua creazione, ogni cosa è una tua decisione…”
Qual è stata, per te, la parte migliore nel girare il tuo cortometraggio?
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Penso che due cose mi abbiano colpita.
1- Avere persone che dicono di sì e si mostrano entusiaste rispetto a qualcosa che ti sembra essere un piccolo, piccolo seme che appartiene solo a te. Ti ritrovi ad avere persone che si mostrano appassionate nei confronti di qualcosa che è indubbiamente abbastanza personale e ti fa sentire vulnerabile. È stato bello.
2 – Vedere tutto prendere forma: forse è lo stesso che si prova quando fai uno shooting e un’intervista e poi vedi il pezzo finito, forse è una sensazione simile. É incredibilmente graficamente quando finisci l’editing o metti insieme una piccola parte dell’editing e tutto va al proprio posto, tutto prende senso.
Capisco benissimo cosa intendi. Tutti danno una mano e ad un certo punto tutto va al proprio posto…
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Succede perché è un vero e proprio “parto d’amore”, non è vero? Nessuno viene pagato, è un lavoro difficile e devi pensare a tutto, anche perché magari tre persone stanno facendo un lavoro. In realtà, quello che ho provato è stata una forte gratitudine per il lavoro di tutti, quando poi sono tornata sul set. Ti rendi conto di quanto siano importanti tutte le mansioni, di come un film sia una macchina con ingranaggi ben oliati con tutti si spaccano la schiena per realizzarlo.
I runner, chi si occupa delle pubblicità e chi delle location, ciò che normalmente è dato per scontato quando ti trovi su un set. Come attrice pensi, “quell’auto è stata tirata fuori perché è un oggetto che ci serve per la scena”, mentre quando stai lavorando al tuo progetto è una delle cose a cui devi pensare, devi lavorare a tutto.
“…è un vero e proprio ‘parto d’amore’, non è vero?”
Da dove è nata l’ispirazione per “The Hungry Games”?
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Sembra sciocco, ma penso che sia arrivata dalla vita in generale. Ho tanti amici che dimostrano questa sorta di ossessione per l’aspetto fisico, anche in famiglia o persone che conosco in generale, per lo più donne ma anche uomini: le persone passano così tanto tempo curando il modo in cui appaiono, sembrano ossessionati dall’avere un certo look.
Avevo la sensazione che fosse qualcosa che non ha nulla a che fare con l’essere sano, né con il raggiungere la versione migliore di noi stessi o qualcosa del genere. Era solo un gesto molto, molto vanitoso. Inoltre, trovavo ridicolo ciò che le persone mi hanno detto riguardo questo argomento, cose come “questa è la mia nuova dieta”.
E poi una mia amica mi ha detto che una sua amica, un’attrice, stava provando una nuova dieta. C’era una foto di questa ragazza sul red carpet ed è così che abbiamo iniziato a parlare: stavamo parlando di quanto fosse bella perchè aveva un meraviglioso vestito e anche la pelle e i capelli erano fantastici, inoltre era davvero molto magra. Così ho chiesto e mi ha detto che la sua amica stava seguendo una dieta chiamata “two chews and out”, ovvero “due morsi e sputa”, ed io ero tipo: “No, scusa, che cos’è? Ripetilo.”
In sostanza, mastichi due volte e poi sputi il cibo. E la mia reazione immediata è stata una risata perché è da fuori di testa, una cosa del genere deve essere uno scherzo.
È stato divertente da un lato, ma dall’altro ho capito quanto questo comportamento sia dannoso, quanto sia una sorta di veleno per il corpo. Quindi “The Hungry Games” è nato come commedia perché dovevo prendere in giro tutto ciò, perché è ridicolo. Questa è una delle diete presenti nel cortometraggio: la gente pensa che me la sia inventata perchè è una cosa ridicola, ma è reale.
“Ti rendi conto di quanto siano importanti tutte le mansioni, di come un film sia una macchina con ingranaggi ben oliati con tutti si spaccano la schiena per realizzarlo”.
Sembra che lo schermo, sia che si tratti di cinema o di uno smartphone, possa avere influenze negative su una persona. Pensi che, magari, questa influenza possa essere contrastata con messaggi come quello del tuo cortometraggio?
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Sì, naturalmente. Penso che il contenuto che scegli di guardare abbia un impatto molto diverso dallo scrollare Instagram senza darci troppo peso, o guardando le Kardashian. Penso che tutto abbia il proprio significato.
Oltretutto, in questo momento ci sono serie come “Black Mirror” che stanno mostrando, ovviamente in modo esagerato, ciò che è negativo. Penso che questo possa apportare un piccolo cambiamento nel comportamento delle persone, magari.
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Spero che le persone possano essere più consapevoli e, in un certo senso, più istruite riguardo ciò che lo schermo può causare. Dicono che la luce blu imiti la luce dell’alba, che ad esempio fa alzare i nostri livelli di cortisolo e di conseguenza i livelli di stress aumentano. E, a quanto pare, il suono di un telefono acceso o l’impianto sonoro di alcuni cinema possono essere dannosi per il sistema nervoso.
D’altronde penso che la commedia faccia sempre bene all’anima, giusto? Ma credo anche che sia importante non essere troppo seri quando si tratta di intrattenimento, a volte è solo fine a se stesso. Questa è una parte molto importante della mia vita: lasciarsi andare, in un certo senso viverla come l’evasione rispetto ai notiziari o a quello che sta succedendo.
A volte vuoi solo guardare una bella commedia prima di andare a dormire, anche per evadere dalla realtà.
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Esatto, non ci devi pensare.
“Questa è una parte molto importante della mia vita: lasciarsi andare, in un certo senso viverla come l’evasione rispetto ai notiziari o a quello che sta succedendo”.
Perché hai scelto proprio la satira come mezzo per diffondere “The Hungry Games”?
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Penso che la commedia sia disarmante: se riesci a far ridere qualcuno sei già entrato un po’ in sintonia, puoi fare appello a qualcosa di molto umano all’interno della sua anima. Quindi sì, credo sia per questo. Ho preso parte ad un sacco di commedie come attrice e mi è sembrata una strada naturale da percorrere, è stata spontanea. Non ci stavo pensando troppo e non era qualcosa di premeditato. É stato divertente da realizzare e ho voluto mettere in risalto il lato ridicolo nella realtà che raccontiamo, credo.
C’è un personaggio che vorresti interpretare in futuro?
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Non c’è un ruolo specifico di per sé, penso che come attore si cerchi di ottenere una carriera più variegata possibile: poter interpretare molti personaggi realistici, interessanti e a tutto tondo ma che sono soprattutto credibili — personaggi che sono umani o ai quali puoi attribuire alcune qualità umane, anche se sono personalità orribili. Penso che a volte quello sia il lato più interessante del lavoro, penso di essere affascinata da ciò che fa reagire le persone, come o perché si comportano in certi modi. Ad esempio, qual è il modo di vivere di questo personaggio oppure scoprire cose personali che solo tu sai, o che sa solo chi vive con te, come ad esempio: “Di cosa si compone la tua routine mattutina? Cosa fai la mattina?”
Si tratta di trovare l’umano dietro quella psicologia, anche se stai magari interpretando un serial killer: cosa lo rende tale? Per loro quello che fanno è del tutto normale, è solo un unire i punti per andare da A a B: inizialmente pensi che non potrai mai arrivarci, ma devi trovare il modo di seguire quella strada.
Quindi sì, al momento sono molto felice di assistere a questa sorta di nuova ondata di protagoniste dal carattere forte, o anche solo ben sviluppato, e spero che continui.
Non penso che tutte siano forti, non devi essere necessariamente una protagonista femminile forte, ma interessante sì, perché i riflettori per la prima volta sono puntati sulla donna. Non devi necessariamente bruciarti il reggiseno in segno di protesta e cose così, non voglio ghettizzare gli uomini e penso che il mondo dovrebbe essere egualitario, ma trovo che sia eccitante come donna ricevere improvvisamente delle sceneggiature e pensare “questo sarebbe divertente”. Questa è normalmente una cosa che dico a mio marito (che è un attore anche lui), quando leggo le parti che mi arrivano e gli dico: “Voglio recitare in questa parte, sembra carina. È pensata per un uomo, ma…”
“…al momento sono molto felice di assistere a questa sorta di nuova ondata di protagoniste dal carattere forte, o anche solo ben sviluppato, e spero che continui.“
“Non devi essere una protagonista femminile forte, ma interessante sì…”
Stai scrivendo qualcosa al momento?
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Si!
Ho appena scritto una sceneggiatura per un altro corto: effettivamente l’ho mandato alla mia famiglia giusto la notte scorsa. Non so perché proprio alla mia famiglia, in genere non mando mai le cose a loro.
Ho appena scritto un horror che non era nei piani, ma mi sono ispirata alla vita o alle cose che mi capita di vedere tutti i giorni. Ho un sacco di piccole idee. Ricordo di averne scritto un pezzo che diceva che le idee erano come nuvole sopra la testa di una ragazza e che man mano si gonfiavano in nuvole temporalesche, finché un giorno piove e lei pensa, “ok, ok.” Descrive come mi sento, ho un sacco di idee che mi ispirano. A volte guardo il telefono o i miei appunti e penso: “Ah, sì, ricordo di aver pensato questa cosa,” li modifico un po’ e all’improvviso mi siedo e scrivo. Normalmente ho un processo di scrittura molto veloce, perché lavoro già su un’idea completa.
Ho scritto un altro cortometraggio che non è ancora finito, più lungo: si aggira sulla ventina di minuti e tratta dell’avere trent’anni e di rimanere fedele a te stessa. Parla di cosa succede quando non lo sei, cosa succede quando non dai ascolto alle voci nella tua testa.
La risposta definitiva è che voglio raccontare tutto ciò che mi interessa e avere storie guidate da un mondo che posso creare, uno diverso.
“Ho scritto un altro cortometraggio che tratta dell’avere trent’anni e di rimanere fedele a te stessa. Parla di cosa succede quando non lo sei, cosa succede quando non dai ascolto alle voci nella tua testa?”
Cosa puoi dirci invece riguardo la tua nuova serie tv “Living The Dream”?
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Mi sono unita al cast per la seconda stagione. Onestamente, è il lavoro più bello che abbia mai fatto. Abbiamo girato in Spagna, vicino a Gibilterra, vicino a Marbella e a Sotogrande, dove ero solitamente. È un posto molto bello, il cast e la troupe sono adorabili e tutti sono gentili, generosi e premurosi. Era come essere in vacanza.
Inoltre, pur venendo da un set già stabilito dal momento che molte di queste persone hanno lavorato insieme per un anno e tutti i protagonisti sono alla loro seconda stagione, c’erano molti volti nuovi e il clima era sempre molto accogliente. Anche se abbiamo girato in Spagna, lo show è ambientato in Florida: torniamo alla famiglia e al Trailer Park che stanno cercando di gestire, cosicché i loro Visti siano ancora validi e che i risparmi di una vita siano ancora lì, cercando di capire se non abbiano commesso un terribile errore andando a vivere dall’altra parte del mondo per cercare il sogno americano.
Io interpreto Stacee, una donna americana: è una mamma single, cosa che in qualche modo abbiamo “scoperto” con l’avanzare della serie, e assolutamente americana, del tipo che cucina torta di mele, è dolce, tutti i clichè. Stacee è tutto ciò che immagineresti per il tipico personaggio americano: gentile, super competente.
Inizia a lavorare per la famiglia, si unisce alla loro squadra e in qualche modo contribuisce a cambiare le cose. È una persona davvero carina e ho fatto del mio meglio per non renderla nauseante.
Il genere di personaggio così dolce che finisci per odiare.
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Esatto, perché la reazione è quella: il personaggio di Lesley Sharp pensa costantemente, “Oh mio Dio, quanto è fastidiosa!”. Ma solo perché Stacee è davvero molto carina. É stato bello lavorare sul set, però: il personaggio mi ha trasmesso energia, è piena di entusiasmo e super gentile con tutti. Stacee è una bella persona da interpretare.
“I play Stacey, who’s American: she’s a single mum, apple-pie-baking, sweet-as-pie.”
Must-Have sul set: Snack.
Superpotere: Mi piacerebbe essere in grado di teletrasportarmi. I miei genitori vivono in Medio Oriente e mio fratello vive in Australia, la domenica vorrei poter schioccare le dita e tornare a casa.
La tua isola felice: La spiaggia e, nello specifico, nel mare. A nuotare.
Epic fail sul lavoro: Ho lavorato per un musical nel West End, l’unico che abbia mai fatto. L’ho adorato, è stato fantastico. Era uno show sugli anni ’50 e quindi indossavamo queste bellissime sottovesti e gonne vintage. Sopra le calze indossavamo dei pantaloni, una sorta di “biancheria intima” anni ’50, e poi sottoveste e gonna. Eravamo nel bel mezzo di uno spettacolo, dovevi girare e saltare un po’ sul palco come sempre, e in quel momento il tacco si è impigliato nella gonna. Dovevamo lasciarci cadere sul pavimento in ginocchio e ho sentito cadere tutto: la sottoveste, la gonna, tutto. Quindi sono sul pavimento, davanti al vasto audience del West End che applaudiva; mi sono detta, “devi alzarti adesso”, ma quando l’ho fatto mi sentivo leggera…perchè la gonna e la sottogonna erano rimaste sul palco, ai miei piedi!
Penso che quello sia un vero epic-fail, è stato orrendo.
Parola preferita: Rimbalzare. E mi piace anche molto dire Benjamin Netanyahu.
Accento preferito: Da ascoltare, l’accento irlandese. Da fare invece quello di Liverpool, che è molto divertente.
Film preferito da bambino: “Gli Aristogatti”! È un cartone molto sottovalutato. Lo guardavo in continuazione!
“…adoro l’accento irlandese…”
Il tuo momento preferito per girare una scena: Direi sicuramente non tra le 3 e le 4 del mattino, è una zona “morta” per me. Forse direi che la mia preferita è la seconda scena: non quando la caffeina sta entrando in circolo e non hai avuto il tempo per la colazione, la scena dopo. Indicativamente direi tra le nove e le dieci.
L’ultimo Binge-Watch: “Informer”, una serie della BBC. Ma ho anche guardato di recente una serie di Netflix chiamata “The Good Place“. È davvero veloce da guardare perchè ogni puntata dura solo mezz’ora, e per me è una mezz’oretta in cui posso solo spegnere il cervello. È ben realizzata ed è divertente, davvero. Solitamente non sono una di quelle persone che ride facilmente di fronte ad una commedia ma è stata esilarante.
Cos’è la recitazione per te?
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Penso significhi entrare in contatto con qualcun altro, mettersi nei suoi panni. Trovo che ci sia qualcosa di molto umanizzante e penso che sia importante vedere le cose dalla prospettiva di un’altra persona. In un certo senso, è anche perdersi in qualcun altro: non perchè voglia necessariamente scappare da me stessa, ma per essere qualcun altro, vedere cosa lo spinge a reagire.