“Apostasy” (tradotto in italiano anche come “Apostasia”) è uno di quei film che tutti dovrebbero guardare, uno di quei film che ti lasciano con la voglia di parlare per ore di quanto appena visto. Ti lascia con molti “perchè” e “come” su una realtà della quale non si conosceva quasi niente, o forse troppo.
Nominato a 6 British Independent Film Awards e come Miglior esordio britannico da regista, sceneggiatore o produttore ai BAFTA, e vincitore del premio Miglior prima sceneggiatura ai Writers’ Guild of Great Britain Awards, il film, nonostante sia di finzione, trova la sua ispirazione nell’esperienza personale del regista Daniel Kokotaljo nato e cresciuto all’interno della comunità dei Testimoni di Geova.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Daniel Kokotaljo a Londra e chiedergli cosa l’avesse portato a scegliere una tematica così personale per il suo debutto alla regia, le difficoltà, l’esplorazione e il senso di liberazione nel vedere il film prendere vita.
Come ti senti dopo le nomination ai BIFA? È stato un momento entusiasmante, per te?
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È stato emoziante. Abbiamo ricevuto 6 nominations per i BIFA Awards nel weekend e, anche se siamo tornati a casa a mani vuotepurtroppo, per me è stato bello solo l’essere nominati. Inoltre, proprio oggi, ho scoperto che il film ha ricevuto una nomination per il Writers Guild Award come miglior sceneggiatura per la TV e ne sono stato molto felice.
Come hai reagito quando hai scoperto che “Apostasy” aveva ricevuto così tante nomination ai BIFA?
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Ero come stordito. È stato davvero fantastico, soprattutto per il numero di nomination. Molly Wright ne ha ottenute due, sia come “Miglior attrice emergente” che come come “miglior attrice non protagonista”, sono stato davvero felice per lei.
Come sei giunto alla decisione di raccontare una storia così personale, per te, nel tuo primo film?
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È stato un processo lungo e in realtà alcune persone mi hanno un po’ spronato a farlo, perché per molto tempo non ho voluto affrontare questo argomento. Ci sono voluti 15 anni prima che mi sentissi a mio agio nel raccontare questa storia.
Ho iniziato leggendo del libri e degli articoli che si mostravano critici nei confronti dei Testimoni di Geova: all’inizio ero molto nervoso e spaventato, ma poi ho capito che questa realtà fa parte della mia vita e che ho il diritto di parlarne e di inserirla in una storia. Ho parlato con un produttore e con qualche persona, e tutti mi hanno detto: “È un argomento molto interessante, vale la pena esplorarlo in una storia”. Così è cominciato tutto. Quindi mi sono iscritto ad un progetto che si chiama iFeature che abbiamo qui nel Regno Unito in cui BFI, BBC e Creative England si uniscono per supportare nuovi registi, storie interessanti e voci regionali.
“Ci sono voluti 15 anni prima che mi sentissi a mio agio nel raccontare questa storia”
Cosa ci puoi dire riguardo il processo di creazione della sceneggiatura? Come hai lavorato per intrecciare la tua esperienza personale con la storia di queste tre donne?
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L’idea di queste tre donne è liberamente ispirata a persone che conosco, ma la loro vicenda immaginaria è stata poi ispirata alle mie esperienze passate e alla religione, quindi è stata una combinazione e, per un po’, ho avuto delle difficoltà nel trovare il modo di raccontare la vicenda in modo condensato senza farla apparire troppo melodrammatica.
Ho avuto una sorta di “falsa partenza” con la prima sceneggiatura, che ho poi accantonato.
Quando ho ricominciato a scrivere, l’ho fatto attraverso la prospettiva di qualcuno che parla con Dio, spiegando e raccontando cosa fa ogni giorno, proprio come una sorta di diario rivolto a Dio. Questa era la prima bozza che ho realizzato e che era abbastanza interessante da essere mostrata alla gente, così l’ho sottoposta ad alcuni dirigenti e ai membri di BFI che l’hanno apprezzato. Hanno detto: “È molto bella, sarebbe interessanti se potessi trasformarla in un copione.”
Ecco perché nel film ci sono questi personaggi che parlano a Dio, ma che non sono chiari e in cui quello che sta accadendo risulta ambiguo. La ragazza sta parlando a Dio all’interno della scena, ma allo stesso tempo è come se i personaggi recitassero la scena davanti ai suoi occhi. Quello è un retaggio del documento originale, il primo della sceneggiatura.
“Ho ricominciato a scrivere […] attraverso la prospettiva di qualcuno che parla con Dio…“
Abbiamo fatto la stessa domanda sia a Molly Wright che a Robert Emms. “Apostasy” è sicuramente un film che fa parlare e che fa riflettere. Quale reazione ti aspetti dal pubblico dopo aver visto il film?
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Spero che le persone imparino qualcosa di più sui Testimoni e sui problemi, le difficoltà o anche solo le attività quotidiane che formano la loro vita. Mi piacerebbe creare un senso di empatia o comprensione per quello che stanno attraversando. È il primo passo nel tentativo di capire come gestire questa situazione, perché non mi sento a mio agio con il fatto che alcuni gruppi religiosi siano autorizzati a fare determinate cose, come scomunicare: in questo modo creano davvero molti problemi a questi individui. Tali persone vivono costantemente con una pressione cognitiva esercitata su di loro, su ogni piccola decisione che prendono per tutta la loro vita: io, onestamente, credo che ciò influisca anche sulla loro salute mentale.
Quindi spero che le persone che non sanno queste cose vedano il film e capiscano meglio questa religione.
“Spero che le persone imparino qualcosa di più sui Testimoni e sui problemi, le difficoltà o anche solo le attività quotidiane che formano la loro vita“
Come hai lavorato con gli attori e specialmente sulla loro fisicità che, a volte, parla più forte dei dialoghi stessi?
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All’inizio abbiamo parlato molto. Volevo tenere alcuni workshop e diverse audizioni in cui potevamo semplicemente parlare di cosa significhi essere un Testimone di Geova. Stavo cercando attori che mi ricordassero in qualche modo le persone che conoscevo, o i personaggi su cui erano basati, persone che avevano già l’atteggiamento giusto e la giusta fisicità, in modo che potessi semplicemente parlar loro di cosa significhi essere un Testimone di Geova. Ecco perché ho scelto persone che provengono da Manchester o dalle aree in cui è ambientata la storia: perché sapevano già com’era la vita in quelle zone e l’attenzione poteva essere completamente rivolta a rappresentare il come ci si sente ad avere qualcuno che veglia costantemente su di te mentre prendi delle decisioni. Abbiamo lavorato su un senso di oppressione continua.
Riguardava tutto l’internalizzare, il conflitto, se ciò che fai è ciò che pensi sia giusto fare o se è ciò che il dogma e la religione vogliono che tu faccia.
“Riguardava tutto l’internalizzare, il conflitto, se ciò che fai è ciò che pensi sia giusto fare o se è ciò che il dogma e la religione vogliono che tu faccia”.
La nostra reazione è stata un senso di impotenza, volevamo scrollare lo schermo per salvare Alex o per far parlare Ivanna e Luisa. Il silenzio a volte è esasperante. Cosa significa per te il silenzio in questo film?
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Dipende quale. Il senso generale del film è di silenzio ma è una mia preferenza personale, non mi piace il rumore esagerato. È un riflesso delle vite dei personaggi e dei loro spazi religiosi, non c’è rumore, il loro mondo è silenzioso e la gente è umile. È esattamente così che volevo si sentisse.
Ma non tutti sono così, ecco perché ho usato molti contrasti nel film: quella famiglia in particolare è calma e riflessiva, ma poi vanno a casa di zia Linda dove c’è una festa e della musica. Stavo cercando di comunicare un senso di contrasto, ma allo stesso tempo il film si basa su personaggi silenziosi. È un gusto personale o uno stile di regia che mi piace, non è negativo e se si guardano i personaggi si può percepire ciò che pensano semplicemente osservandoli.
So che non è una preferenza che tutti sanno capire e alcune persone magari lo trovano lento, ma per me è l’esatto opposto. Credo che il silenzio sia molto intenso, e che sia impregnato dei pensieri dei personaggi.
A volte il silenzio è ottimo per dare modo al pubblico di seguire la vicenda. Qual è l’aspetto del film, se c’è stato, che hai trovato più difficile durante le riprese?
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È sempre difficile quando devi interpretare personaggi con cui non ti trovi necessariamente d’accordo, specialmente nel caso della madre.
Siobhan Finneran ha davvero faticato a capire perché Ivanna ha fatto quello che ha fatto alle sue figlie, quindi non poteva connettere completamente con il personaggio a livello emotivo. Ma per me è stato lo stesso, devo sempre dire a me stesso: “No, queste persone credono con tutto il loro cuore nel loro Dio e credono nel loro destino, e ciò viene prima della famiglia.” Quindi, è stato difficile per gli attori ed ogni volta è stata una sfida per tutti noi, dovevamo ricordare a noi stessi che quello che stavamo facendo è reale per i Testimoni. C’è una spinta istintiva nelle persone a prendere in giro questa realtà e non ad accettarla completamente e spesso, durante le riprese, è capitato di dover dire: “Dobbiamo prendere il tutto molto seriamente e mostrare il conflitto in modo onesto e veritiero”.
C’erano moltissime cose in ballo.
“È sempre difficile quando ti trovi ad interpretare personaggi con cui non ti trovi necessariamente d’accordo“.
Cosa diresti ai tuoi personaggi se ne avessi la possibilità?
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Alla madre direi: “Guarda il film”.
Perché questo è, in parte, uno dei motivi per cui ho deciso di realizzare il film sin dall’inizio: ti dà uno spazio oggettivo, dal momento che conosco persone che fanno davvero le cose che si vedono nel film e pensano che non ci sia nulla di sbagliato nelle loro azioni. Dunque mi chiedo: se potessero vedere se stessi, se potessero guardarsi allo specchio e vedere cosa stanno facendo, magari nel loro animo potrebbero pensare, “forse quello che sto facendo non è completamente giusto.”
Quindi se potessi incontrare qualcuno come Ivanna, le direi di guardare il film “Apostasy” e magari lei inizierebbe a mettere in discussione ciò che sta facendo; ma chi sono io per mettere in dubbio la fede di qualcuno, se proprio la sua fede è così forte e se ha perso una figlia pur di rifiutare una donazione di sangue? Non sono sicuro di sentirmi a mio agio nel dire che è sbagliato, perché non credo che abbia perso una figlia senza una ragione.
Alla fine, Ivanna è in una situazione tragica. Non può parlare né incontrare la figlia ancora viva, perché questo significherebbe non solo perdere la possibilità di vedere l’altra figlia una volta in paradiso, ma anche che l’ha lasciata morire senza una ragione.
“Alla madre direi: ‘Guarda il film'”.
Qual è stato l’ultimo film che hai visto e che ti ha fatto venire voglia di urlare allo schermo, un po’ come “Apostasy” ha fatto con noi?
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Ci sono un sacco di film contro cui vorrei urlare, non perché sono coinvolgenti, ma semplicemente perché non mi piacciono.
Però c’è un altro film basato sulla religione, “Stations of the Cross“, che mi ha colpito in modo simile. Ancora una volta è un film che tratta di fondamentalismo e di quanto lontano le persone si possano spingere per seguire la loro fede: mi sono sentito così dispiaciuto per il personaggio principale che volevo urlare.
Che storie sogni di raccontare?
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Mi concentro principalmente su storie contemporanee basate qui, in Gran Bretagna, perché sento che ci sono tante storie da raccontare sulla vita regionale in Inghilterra. C’è ancora tanto da esplorare, e spero di farlo di nuovo.
Stai lavorando a qualche progetto, al momento?
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Sì, sto lavorando a un nuovo progetto. Si tratta di una storia ambientata nel Nord dell’Inghilterra e, di nuovo, la trama si focalizza su una subcultura di cui le persone solitamente non sanno molto.
Dato che “Apostasy” è stato il tuo primo film, qual è stata la cosa più bella nel girarlo, la più grande soddisfazione alla fine del progetto?
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Penso che sia stato lavorare con gli attori: ho avuto la sensazione di aver trovato il mio posto nel mondo, guardando persone che davano vita alle parole, e nel viaggiare insieme. Tutte le parti della realizzazione del film mi sono piaciute tanto, davvero: anche il montaggio, che è stato il momento in cui mi sono reso conto che quello che avevamo per le mani era un film, qualcosa che la gente avrebbe davvero voluto vedere.
Quello mi è sembrato un momento molto speciale.
Photos by Johnny Carrano.