“Pili” non doveva essere un film, un documentario forse, ma la regista Leanne Welham ha colto un’opportunità, ha rischiato, come dice lei stessa, e ha deciso di girare un film con non-attori (tranne per la protagonista interpretata da Bello Rashid) che racconta le vicissitudini di Pili, madre single e malata di HIV alla ricerca di una vita migliore per sé stessa e per i suoi figli.
Ne è sicuramente valsa la pena di rischiare, il film è una storia commovente e intensa alla quale, secondo la regista, tutti, indipendentemente da dove vivono, possono relazionarsi.
Abbiamo incontrato Leanne a Londra dove ci ha raccontato di come è nato questo film nominato poi ai BIFA e dei suoi prossimi progetti in uscita: il documentario “Keep On Running” e il thriller “The Warning”.
Come ti senti dopo la nomination ai BIFA e in che modo “Pili” è diventato il tuo primo lungometraggio?
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Ero assolutamente entusiasta della nomination ed ero in ottima compagnia: nella mia categoria c’erano molte persone valide e di grande talento, quindi ero molto emozionata e sicuramente contenta.
Il modo in cui è nato “Pili” è piuttosto insolito. Sono stata contattata da Sophie Harman, che detiene la cattedra di Global Health presso la Queen Mary University di Londra. Sophie voleva realizzare un documentario basato su alcune sue ricerche per la AXA Insurance, che è simile ad un Outlook Inspiration Award ma per la ricerca. Avevamo un’amica in comune, lei era stata in Sierra Leone a lavorare sul caso dell’ebola mentre io ero stata in Sierra Leone per un documentario incentrato su una squadra di maratoneti, e Sophie mi ha contattato per fare questo documentario. Io però ho pensato che sarebbe stato molto più interessante provare a renderlo un film: abbiamo girato basandoci sulle storie delle donne che vivevano nelle comunità dove è stato ambientato: le abbiamo condensate in una sceneggiatura e il casting l’abbiamo fatto all’interno delle comunità e le donne di queste hanno recitato nel film. In totale, abbiamo intervistato 85 donne.
“…il casting l’abbiamo fatto all’interno delle comunità e le donne di queste hanno recitato nel film”.
Qual è stata la sfida di lavorare con persone alla prima esperienza recitativa, per questo film?
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Il progetto ha presentato molte sfide perché solo un membro del cast aveva recitato in precedenza, e ovviamente era tutto in swahili. Quindi, sì, è stato piuttosto difficile. Inoltre, la maggior parte delle donne della comunità non sa leggere perché non è riuscita a rimanere a scuola abbastanza a lungo da imparare, quindi era un misto di improvvisazione e di sceneggiatura.
Ad esempio, Bello Rashid, la protagonista e attrice che interpreta Pili, sa leggere: le piaceva molto leggere le battute e impararle, ma alcune delle altre donne non volevano leggere perchè la cosa le spaventava un po’, quindi ogni scena era una combinazione sempre diversa di questi due aspetti.
È un processo diverso rispetto ai classici film drammatici, ed è probabilmente anche più interessante.
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Sì, assolutamente: è sicuramente un modo insolito per girare un film. È stato anche un grosso rischio, perchè quando abbiamo iniziato a girare non sapevamo come sarebbe andata a finire, ma il risultato è stato bellissimo.
Come hai affrontato e superato le sfide?
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Avevamo tre interpreti che lavoravano con noi al film, ma per un motivo o per l’altro sono stati tutti ricoverati in ospedale durante le riprese, perché in queste aree è facile venire a contatto con molte malattie. È stato difficile, ma l’importante era che mi consultassi con le donne mentre stavo scrivendo la sceneggiatura: sono state coinvolte da vicino nello sviluppo della storia ed hanno capito davvero cosa volevamo fare.
Quello che voglio dire è che questa era la loro storia, e loro ci tenevano davvero molto a raccontarla, ci hanno messo passione. Ci tenevano a raccontare le loro storie anche se è stato davvero, davvero difficile per loro. Alcuni giorni non volevano farlo o non sembravano interessate, ma ci siamo riusciti e penso che ci sia stato un genuino entusiasmo da entrambe le parti.
“…l’importante era che mi consultassi con le donne mentre stavo scrivendo la sceneggiatura”.
Il personaggio di Pili è una donna che lotta per i suoi figli, contro la sua malattia, e il film è ricco di messaggi importanti. Qual è il messaggio che vuoi urlare al mondo attraverso lo schermo?
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Ad essere onesta, non ho iniziato a fare questo film con un messaggio chiaro in mente. Non ero interessata a creare un film che parlasse di una problematica in particolare, anche se Pili deve affrontare davvero molti problemi: convive con l’HIV, è una madre single che vive in povertà. Non volevo realizzare un film guidato da problematiche sociali, ma volevo raccontare la storia di una donna che sta cercando di creare una vita migliore per se stessa e i suoi figli. Quindi, è una storia che chiunque può vedere, capire e in cui può immedesimarsi: non volevo fare un film in cui l’eroe è una vittima.
Penso che molto spesso nei film si vedano personaggi che vivono in circostanze difficili, ma sono anche ritratti come persone straordinarie sotto ogni aspetto che non fanno mai nulla di sbagliato, che sono perfette ma sfortunate. Non penso che sia una visione molto realistica e quindi indubbiamente ci sono molti problemi importanti trattati all’interno del film, ma non sto cercando di mandare messaggi articolati.
Penso che Sophie, la produttrice, ed io volessimo ricordare a tutti quelli che vedranno il film in qualsiasi area rurale della Tanzania, o in qualsiasi altro Paese dell’Africa sub-sahariana, e che vivono negli stessi problemi con cui Pili si scontra, che non sono soli.
“Non volevo realizzare un film guidato da problematiche sociali, ma volevo raccontare la storia di una donna che sta cercando di creare una vita migliore per se stessa e i suoi figli”.
Qual è stato il momento più bello nel girare “Pili”?
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Abbiamo visto alcuni tramonti spettacolari mentre eravamo in questo paesaggio rurale, perchè il villaggio era piuttosto isolato e lo scenario intorno è sbalorditivo. Sul piano emotivo, penso che sia stata davvero bella una scena girata da tutte le donne, durante il monologo di Bello in cui Pili parla di come ha davvero bisogno di un prestito per poter ottenere questo spazio al mercato. È stata una scena molto emozionante e quando abbiamo finito molte donne erano commosse e hanno iniziato a piangere, perché le battute che Bello stava recitando erano le loro vite. É stata una scena emotivamente molto potente.
Cosa vorresti che le persone traessero da questa storia?
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Penso di aver sperato che questa storia potesse in qualche modo diminuire la distanza che sembra esserci tra noi, tra le persone che vivono nel mondo occidentale e le persone che vivono nei Paesi in via di sviluppo. Stiamo vivendo come se ci fosse un grande divario tra noi mentre in realtà non c’è: viviamo tutti la nostra vita e abbiamo le stesse ambizioni, speranze e sogni. Abbiamo, ovviamente, difficoltà differenti ma una delle cose che volevo fare con “Pili” era proprio raccontare la storia di una donna che è proprio come noi, e in cui possiamo rispecchiarci.
Volevo che le storie come “Pili” non ci risultassero estranee e diverse dalla nostra vita.
“È stata una scena molto emozionante e quando abbiamo finito molte donne erano commosse e hanno iniziato a piangere, perché le battute che Bello stava recitando erano le loro vite”.
Cosa puoi dirci del tuo prossimo progetto, “Keep On Running”?
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“Keep on Running” è un documentario sui maratoneti della Sierra Leone.
Ho iniziato a girarlo circa cinque anni fa. È iniziato su una storia abbastanza semplice che riguardava una squadra in difficoltà, perché il Governo in Sierra Leone non stanzia finanziamenti per gli atleti e tutto il denaro va al calcio. Quindi, sono rimasta piuttosto sorpresa quando ho trovato questa intera generazione di giovani atleti che si allenavano senza sosta e che avevano un talento incredibile, ma che non erano in grado di gareggiare nelle competizioni internazionali.
Per loro è persino difficile partecipare alle competizioni nel proprio Paese perché non possono permettersi i biglietti degli autobus per arrivare alla gara. Un mio amico di nome Jo Dunlop ha iniziato a supportare questi atleti e, quasi per caso, è diventato il loro manager.
Così ho iniziato a seguirli e si è sviluppata questa storia quasi epica sulla diserzione, ebola e corruzione.
Lo stiamo finendo proprio in questo momento e sarà presentato in anteprima quest’anno.
“…si è sviluppata questa storia quasi epica sulla diserzione, ebola e corruzione”.
C’è una storia che vorresti portare sul grande schermo ora?
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Il mio prossimo film si chiama “The Warning” ed è un thriller ambientato durante il blitz nella Seconda Guerra Mondiale: riguarda una donna che perde la nipote durante il blackout e deve trovarla prima che il raid si avvicini ma, nel frattempo, scopre questo mondo criminale sotterraneo che opera nell’ombra.
È un film sul quale ho voluto lavorare per circa dieci anni e sono molto contenta che stia finalmente per essere realizzato.
Come storyteller, qual è il tuo personaggio preferito di sempre?
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Harry Lime
interpretato da Orson Welles, l’antagonista de “Il Terzo Uomo”. È un personaggio davvero indimenticabile.
Qual è il tuo momento preferito della giornata per girare una scena?
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Il tramonto è un momento particolarmente bello per girare perché c’è un’ottima luce naturale, ma mi piace anche girare scene notturne e pensare a come sfruttare la luce per creare atmosfera grazie all’oscurità.
Cosa hai già spuntato dalla tua lista dei desideri?
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Aver realizzato il mio primo lungometraggio!
In più ho viaggiato molto grazie ai miei progetti, che è fantastico: penso di aver avuto l’occasione di vedere molti paesi in cui non sarei necessariamente andata se non fossi stata una regista.
Photos by Johnny Carrano.
Makeup & Hair by Chantal Ciaffardini.