Noir napoletano degli anni Settanta, istantanea di una città piovosa e pericolosa, fatta di vicoli e angoli bui dove nascondersi, “5 è il numero perfetto” racconta la storia di Peppino Lo Cicero, un sicario di seconda classe della camorra in pensione, che pensa di aver messo via la pistola una volta per tutte, ma si ritrova costretto a premere ancora una volta il grilletto in seguito all’assassinio di suo figlio.
Il protagonista del film, l’unico italiano in concorso, quest’anno, alle Giornate degli Autori, sezione indipendente della Mostra del Cinema di Venezia, è Toni Servillo e noi abbiamo avuto il grande onore di intervistarlo e chiacchierare con lui del suo personaggio, dell’esperienza di lavorare in un film tratto da una graphic novel e dell’ambientazione Napoletana.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Il regista del film è anche un famoso fumettista e il film è tratto da una sua graphic novel che ha avuto molto successo: è stata un’esperienza particolare per lei lavorare a questo tipo di progetto? Il regista le ha dato delle indicazioni su cosa fare o cosa non fare per non alterare l’atmosfera da fumetto?
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Ci siamo subito trovati d’accordo sul fatto che non avevamo nessuna intenzione di fare una trasposizione cinematografica del fumetto ossia, in termini più chiari, un passaggio dalla dimensione bidimensionale a quella tridimensionale. Avevamo tutti la consapevolezza, non soltanto noi, ma anche coloro che hanno prodotto il film, che già nella graphic novel fosse contenuto, dal punto di vista visivo, un evidente taglio di natura cinematografica e, soprattutto per quel che riguarda il lavoro degli attori, c’era un evidente profilo di personaggi molto ben costruito, una qualità dei dialoghi molto efficace, in alcuni momenti mi permetto di dire anche commovente, e una vicenda interessante, per cui è come se dalla graphic novel, che aveva avuto un enorme successo, ci venisse già consegnata una prima stesura di sceneggiatura, per questo abbiamo pensato a un vero e proprio film.
“È come se dalla graphic novel ci venisse già consegnata una prima stesura di sceneggiatura.”
A proposito dei personaggi, cosa ha trovato di interessante in Peppino Lo Cicero nel momento in cui ha letto la graphic novel e la sceneggiatura?
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Ho trovato affascinante l’idea di raccontare un uomo in là con gli anni… In un epoca di grandi storie di boss della malavita lui, invece, è un piccolo gregario della malavita, per quanto killer spietato, che sta andando in pensione (ride) con l’illusione di avere la coscienza a posto. Invece dei fatti drammatici, come l’assassinio a tradimento del figlio, lo costringeranno a fare un bilancio della sua esistenza che si rivelerà non positivo; sentirà la sua coscienza tutt’altro che a posto e dovrà ricominciare da capo avendo a disposizione soltanto due gambe, due braccia e una faccia. C’è un momento in cui il personaggio dice: “Che cosa brutta rendersi conto di aver sbagliato tutto” e questo è un po’ il cuore e il motivo che mi ha fatto affezionare al personaggio.
“Che cosa brutta rendersi conto di aver sbagliato tutto”.
Il film è un quadro originale della Napoli degli anni Settanta, un affresco accurato di tutti i suoi elementi più caratteristici, il caffè, la Madonna, le processioni… Quanto c’è della sua Napoli in questo film?
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Non c’è la mia Napoli, c’è quella di Igort, che in molti casi corrisponde anche all’idea che ho io di Napoli, ma che non coincide perfettamente per ragioni di differenze di personalità, però ancora una volta troviamo una città mondo che si offre come palcoscenico privilegiato per delle storie affascinanti. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che dei registi non napoletani scelgono Napoli come ambientazione delle loro storie.
Nell’immaginario collettivo, Napoli è la città del sole, invece nel film vediamo una Napoli sempre piovosa…
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C’è un romanzo che si chiama “Malacqua” di Nicola Pugliese, che è uno tra i più belli scritti su Napoli e già il titolo è eloquente: parla di una Napoli in cui piove continuamente, quindi non è una novità. Tra l’altro credo che, statisticamente, Napoli, che è la città del sole, sia la città italiana in cui cadono all’anno più millimetri d’acqua (ride), siamo perfettamente dentro una dimensione scientifica. Dal punto di vista emotivo invece il desiderio di Igort era quello di sfuggire da “’o’ paese d’ ‘o sole”, di raccontare un film dove la città è fatta di ombre, di luoghi in cui nascondersi e di vicoli in cui sgattaiolare resi più impervi dalla pioggia.
Tra le mie scene preferite ci sono quelle delle sparatorie, sembrava che danzaste, che seguiste una sorta di coreografia omicida: vi siete sottoposti a una preparazione particolare? C’è stata la possibilità di improvvisare?
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Ci siamo preparati, a me era già capitato di utilizzare qualche arma, ma mai con questa intensità, quindi abbiamo imparato ad essere meno maldestri nell’averle tra le mani e soprattutto abbiamo impostato la scena con il regista come se fosse un vero e proprio balletto, per giocarci un po’, per trattarle anche con un po’ di ironia dato che siamo oberati dalla violenza con cui vengono raccontate. Penso che qui sia cascata anche una delle passioni di Igort, che è quella per il cinema orientale, dove si vedono delle lotte coreografiche veramente straordinarie.
Qual è il suo numero perfetto?
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Non ho una passione per la cabala, non ho dei numeri perfetti, ma in questo momento il mio numero fortunato è sicuramente il cinque (ride).
Photos by Johnny Carrano.