Susanna Nicchiarelli, regista e sceneggiatrice tra le più prolifiche in Italia, è ormai di casa alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. La sua ultima apparizione nel 2017 quando ha vinto il premio come Miglior Film nella sezione Orizzonti con “Nico, 1988”, ma quest’anno l’abbiamo ritrovata nei panni di Presidente della giuria che l’aveva premiata due anni prima, una sezione che, come dice lei stessa, ha qualcosa di particolare, che esplora nuovi orizzonti.
Durante la nostra chiacchierata Susanna ci ha raccontato della sua esperienza come giurata, del suo processo creativo e di come la sincerità sia alla base di ogni progetto per far sì che funzioni davvero.
Non ci rimane che attendere per vedere sugli schermi il suo nuovo film che inizierà a girare a breve: un’altra storia biografica, perché per lei raccontare contrasti e contraddizioni apparentemente irreali di persone realmente esistite, ha un sapore diverso.
Com’è stata l’esperienza come presidente della giuria Orizzonti? C’è qualcosa che ti ha ispirato particolarmente?
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Fra due mesi devo girare il mio prossimo film quindi, dal punto di vista personale, è stato un esercizio interessantissimo per me. Vedere film, confrontarmi con persone, e i giurati della mia sezione sono tutti molto in gamba: nel mio gruppo c’erano critici, registi, produttori, programmatori di festival. Eravamo in 5, un bellissimo gruppo. Vedere i film e riflettere su che effetto facevano su di me e discuterli con loro volta per volta, cambiare opinione, convincersi, convincere loro, difendere le cose che mi piacevano, e fare purtroppo anche qualche rinuncia, perché quando si fa parte di una giuria ci si deve comunque sempre rimettere alle decisioni della maggioranza.
Ecco, sono degli esercizi di riflessione sul valore del nostro lavoro, sulle potenzialità e sulla funzione di un film. Sono degli esercizi di riflessione che spaziano in mille ambiti. C’è quello estetico naturalmente, ma c’è anche quello politico, o semplicemente fino a che punto uno può trattare un certo argomento o trattarne un altro. Si parla sempre dei limiti della nostra arte, delle possibilità, delle potenzialità. Ovviamente io ho passato dei giorni meravigliosi perché ho parlato del mio lavoro che io amo, vedendo film tutti belli, tutti interessati e tutti che erano lì per un motivo.
Orizzonti è una sezione molto particolare perché è una sezione nella quale ci sono opere prime e seconde ma anche molti terzi, quarti film di autori affermati, tutti in qualche modo esplorano degli orizzonti nuovi, proprio come dice il titolo della sezione. Quindi, è naturalmente interessante anche la competizione principale, però Orizzonti è uno stimolo particolare perché poi molti sono film che non uscirebbero in Italia e che non avrei opportunità di vedere perché magari non hanno attori famosi o non essendo classificabili in un cinema più tradizionale sono visti, sbagliando secondo me, come film troppo difficili per il pubblico.
È stato un viaggio. Un po’ un viaggio anche attraverso il mondo perché ci sono film di tutte le nazionalità e quindi anche vedere come le stesse cose vengono trattate in maniera diversa a seconda della provenienza è uno stimolo in più. Anche noi giurati venivamo da parti diverse del mondo per cui abbiamo comunicato tra di noi dandoci gli strumenti per giudicare le cose a seconda della nostra provenienza.
Ci sono dei dettagli a cui presti attenzione in particolare mentre guardi il film? Delle cose che noti, appunti mentali?
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Prima di tutto ti lasci andare, come uno spettatore normale. È chiaro che essendo una persona che ama il cinema perché lo voglio fare, sono anche una persona che ama andare al cinema. Quindi, per prima cosa, tu ti siedi. Stai andando al cinema, come un giorno normale, un giorno qualunque. In realtà però stai anche riflettendo su quello che vedi. Ma io rifletto sempre su quello che vedo anche quando vado come una spettatrice normale. E questa riflessione è legata a tanti elementi che sicuramente sono legati molto la regia perché riguardano la direzione degli attori, la posizione della camera, il racconto, la scrittura.
È chiaro che se tu fai questo lavoro hai degli strumenti in più. Se un film magari ha delle stranezze, sei più in grado di capire se sono delle stranezze di sceneggiatura o di regia. Però la cosa interessante è che spesso sono proprio i film che ti sorprendono che hanno delle stranezze, delle diversità…quelli più importanti, quelli più ricchi perché non ci sono limiti. Non ci sono regole. Se ci fossero regole non sarebbe così bello fare questo lavoro. Quindi, tu non è che giudichi un film in base a delle regole. Ti lasci emozionare e rifletti sulle scelte che sono state fatte nel film, anche tecniche. Però non è che dai un giudizio nel senso “ha fatto una cosa che non si può fare”. Anzi, paradossalmente più il regista fa una cosa che non si può fare, più è interessante.
“Però la cosa interessante è che spesso sono proprio i film che ti sorprendono che hanno delle stranezze, delle diversità…quelli più importanti, quelli più ricchi perché non ci sono limiti”.
Sceneggiatura, e Regia in che modo si “differenzia” il tuo approccio ai personaggi quando rivesti questi ruoli?
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Il personaggio intanto lo scrivi. Io poi scrivo anche i film che faccio. Per cui prima lo metti nero su bianco, poi quando ti ritrovi con l’attore lo reinventi perché improvvisamente quel personaggio ha una faccia e soprattutto dietro quella faccia c’è una persona che ha una serie di riflessioni rispetto alla storia del personaggio. Magari la sua vita personale ha delle cose in comune con il personaggio che tu stai raccontando, per cui ti fornisce degli spunti, oppure conosce delle persone, e ha fatto delle riflessioni sul personaggio. L’attore ti dà sempre degli strumenti nuovi, per cui la sceneggiatura poi la cambi, la modifichi. Quindi sì, diciamo che c’è questa interazione. Tu il personaggio lo scrivi, poi però quando ti incontri con la persona che lo interpreterà, quello che si crea è una storia d’amore. Tu entri in questa specie di vortice e insieme fai il film.
Come scegli i progetti a cui lavorare?
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Io li scrivo i miei film, per cui trovo delle idee. Intanto è una cosa che ti deve interessare e commuovere. Questa è la cosa fondamentale, ed è quello che dico sempre anche ai miei studenti quando insegno cinema: dev’essere una cosa di cui vi importa, che vi faccia arrabbiare, o ridere, o piangere, o che vi faccia provare dei sentimenti. Perché ovviamente poi questi sentimenti vanno a finire nel film. Questo non vuol dire che i film devono essere sentimentali, melodrammatici, etc etc.
Vuol dire semplicemente che se è una cosa che ti fa provare delle sensazioni, se è una cosa che ti appartiene, il film viene un film sincero. E la sincerità di un film forse è la caratteristica più importante, quella che cerchi di più. Anche quando stai vedendo i film in un concorso. La sincerità è una parola che ricorre spesso quando parli dei film e quando ti accorgi che c’è una sincerità, che c’è una ricerca anche personale di chi ha fatto il film attraverso quelle immagini, quelle parole, allora lì secondo me sono dei film che funzionano, che arrivano, che cambiano anche qualcosa nella storia del cinema, che danno il loro contributo. E questo io lo dico sempre sia ai miei studenti che a me stessa. Cioè di non perdere di vista se stessi. Di non cercare di fare delle operazioni a me esteriori ma di fare sempre delle cose che mi coinvolgono.
“Tu il personaggio lo scrivi, poi però quando ti incontri con la persona che lo interpreterà, quello che si crea è una storia d’amore”.
“…dev’essere una cosa di cui vi importa, che vi faccia arrabbiare, o ridere, o piangere, o che vi faccia provare dei sentimenti”.
In Italia c’è spazio per i registi emergenti? E se sì, che consiglio ti senti di dare loro?
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Sì. Mi sembra che ci sia spazio. Il consiglio che io do sempre è quello della sincerità. Cioè di scrivere delle cose che interessano. Di non mettersi a tavolino dicendo “mi devo far venire un’idea”. Ma di agire più d’istinto, ecco. Perché secondo me poi alla fine lo spazio c’è, io ho questa impressione. La possibilità di chiedere finanziamenti, c’è interesse nelle opere prime, sempre. Però secondo me la cosa fondamentale è non cercare di imitare altri, quanto cercare di trovare ognuno il proprio percorso personale.
Il film che ti ha fatto innamorare del cinema?
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Ce ne sono stati vari in fasi diverse della mia vita.
Quando ero bambina, prevalentemente il cinema americano. Io mi ricordo “E.T. l’extra-terrestre” che ho visto a 6 anni e mi ricordo esattamente dov’ero e quello che ho provato quando l’ho visto al cinema. E lo considero tutt’oggi un film straordinario che mi ha parlato sempre in modo diverso a seconda della mia età e delle fasi di vita che stavo vivendo. Poi però c’è stata anche la scoperta degli autori, la scoperta di un cinema diverso, del cinema Europeo. E il cinema Europeo è stato sicuramente importante per me nei primi anni ’90, quando ero un pochino più grande. Quando avevo 15/16 anni ricordo “Undergound” di Kusturica, o “Pulp Fiction” come film importanti per me nella mia formazione di persona adulta.
Ho poi studiato in Francia e vivendo a Parigi, lì ci sono moltissimi cinema d’essai che fanno vecchi film. E lì per esempio ho scoperto Pasolini che non avevo mai visto in Italia, ho scoperto Truffaut. Ho scoperto lì, quando avevo 20 anni, un altro mondo. E queste sono state un po’ le tappe.
Cerco sempre di capire quando vedo un film importante per me e, secondo me, importante per la storia del cinema. Ce ne sono almeno 1,2,3 l’anno, tra tutti quelli che vedo. Poi ci sono tanti film che mi piacciono ma che non ritengo particolarmente significativi. Però ci sono anche dei film che mi cambiano come essere umano. Questo credo che succeda a tutti quelli che vanno al cinema. E il bello del cinema è proprio questo. Che è un’esperienza. Ed è un’esperienza che spesso ti cambia.
“E il bello del cinema è proprio questo. Che è un’esperienza. Ed è un’esperienza che spesso ti cambia”.
Una domanda must per noi: epic fail sul lavoro?
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Mi è successo quando facevo i backstage, che era il lavoro che facevo quando ero più pischella diciamo, prima di fare il mio primo film. E stavo facendo un backstage di una pubblicità di Gabriele Muccino. Lui fa sempre dei complicatissimi movimenti di macchina. Ed era un carrello che faceva il giro su sé stesso ma io non avevo assolutamente capito cosa facesse il carrello e mi ero messa, molto ingenuamente, vicino alla truccatrice e alla parrucchiera che sono quelle che stanno più vicino alla cinepresa perché poi si buttano dentro, aggiustano gli attori, ed escono fuori. Solo che non mi sono accorta che loro, quando si dava il motore, si abbassavano. Io invece sono rimasta in piedi con la mia telecamera e sono entrata in campo in pieno.
Poi era una pubblicità, quindi era tutto molto glam. E io con il mio vestitino, la mia felpetta, non c’entravo nulla. Ho visto la cinepresa che si girava verso di me, ho visto l’obiettivo e ho detto “ma se io vedo l’obiettivo, l’obiettivo vede me”. E quindi ho abbassato la telecamera. E nessuno ha detto niente. E poi ne hanno fatta un’altra. Al che io per un momento ho temuto: “ma non è che pensano che sia buona e non mi hanno vista?” Sono andata dall’aiuto regista che faceva anche l’editing davanti al monitor e gli ho detto: “Senti, ma non è che mi fai controllare?” Avevo sentito che numero di ciak era e ho visto che lo avevano scartato. Però erano stati carini nel senso che visto che evidentemente non era andato bene per altri motivi non avevano detto nulla e non mi avevano sgridata. Questa è stata diciamo una delle mie peggiori figuracce sul set.
Ci puoi svelare qualcosa sul tuo prossimo film?
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Adesso devo fare un film sulla figlia più piccola di Carl Marx che si chiamava Eleanor. Una donna in gamba che però aveva una storia d’amore e un rapporto con un uomo di tragica dipendenza e sottomissione. Quindi nonostante fosse una grande femminista, una politica, in realtà in casa viveva una situazione, insomma, in cui si faceva trattare da questo uomo – che non era uno che valeva un’unghia di lei – male. Non trattar male nel senso che la menava, ma la tradiva, diceva un sacco di bugie, le spendeva i soldi. E ho deciso di fare questo film su di lei perché trovo molto interessante la contraddizione, spesso di noi donne, tra quello che si è nel pubblico e quello che si è nel privato. E siccome anche quello che si è nel privato è profondamente politico, io ritengo che sia importante parlare di questo. Perché lei è una figura – sebbene il film sia ambientato nell’800 – modernissima.
Eleanor con lui non si sposa, non fa figli. Era una donna emancipatissima. Per cui trovo interessante e ironico questo contrasto.
“E ho deciso di fare questo film su di lei perché trovo molto interessante la contraddizione, di noi donne spesso, tra quello che si è nel pubblico e quello che si è nel privato”.
Cosa ti attrae così tanto dei progetti biografici?
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Mi attrae il fatto che sono veri. Mi attrae il fatto di misurarmi con la realtà. Misurarmi con la realtà è una cosa che, proprio dal punto di vista della scrittura, mi piace. Perché la realtà ti fornisce tantissimi elementi che spesso sono contraddittori tra di loro. Per esempio, quando tu costruisci un personaggio come quello di Eleonor Marx per iscritto, e poi capisci che sta con un uomo così, la prima cosa che ti dicono è che non è coerente. Invece non è vero, perché la realtà è piena di contraddizioni. La gente è matta. La gente si comporta in maniera completamente irrazionale.
E quindi tante volte per me, come è successo con “Nico”, avere la vita vera delle persone come fonte è molto più interessante, ti costringe a disintegrare in qualche modo il racconto, invece di far tornare tutto, che è invece quello che succede con il racconto più televisivo dove tutto torna, dove ci sono tanti eventi, c’è una struttura. Per esempio nelle serie: devi chiudere una puntata in modo che la persona che guarda abbia voglia di vedere la puntata successiva. Invece se tu prendi la vita reale delle persone, puoi prendere dei pezzi, delle fotografie. È una specie di mosaico molto più, secondo me, interessante da gestire dal punto di vista cinematografico. Detto questo, si può fare anche con i racconti di finzione. Però la realtà è talmente ricca di spunti.
Photos by Johnny Carrano.