Se siete degli Instagram addicted come me, non potete non esservi ancora imbattuti in uno dei post irriverenti di Siduations, dove abiti couture e celebrità vengono inseriti per mezzo di Photoshop in contesti “normali” (come il supermercato o la metro) o in situazioni di attualità con un pizzico di ironia, e tanta creatività.
Ammetto che, nel tempo, questi post mi hanno strappato più di un sorriso, oltre ovviamente ad aver generato in me la domanda: come nascono questi collage? Quali sono le ispirazioni e gli input alla base di tali “situazioni”? Non ho dovuto attendere troppo a lungo per avere una risposta: mentre eravamo a Los Angeles siamo andati a fare un salto casa di Sidney Prawatyotin, aka Sid, aka la mente geniale e creativa che si cela dietro Siduations.
E quando dico “un salto“, intendo dire che ci siamo fermati più a lungo del previsto per ridere e chiacchierare del più e del meno prima di passare alla nostra intervista, durante la quale Sid ci ha raccontato del suo percorso iniziato a New York come fashion PR e sfociato “per caso” nell’aver appreso come usare Photoshop da solo una volta trasferitosi a Los Angeles. Abbiamo anche parlato di creatività, di “editoriali con un budget limitato” (non collage, sia chiaro), di cosa sia strano, divertente e normale in termini di ispirazioni (o meglio, situazioni), del rapporto odi et amo con i social media e di moda, ovviamente.
Siete pronti a immergervi nel mondo di Siduations?
Quando hai realizzato di voler diventare un creativo? Il tuo background nella moda si è rivelato utile a questo proposito?
Sono sempre stato creativo, credo [ride]. Sono sempre stato attratto dalla fotografia, dal design (avevo anche una linea di abbigliamento, United Bamboo) e la creatività mi aiuta a rimanere sano di mente, perché il mondo sa essere fottutamente preoccupante a volte. Sono sempre stato attratto dalla creatività, anche da bambino avevo una folle immaginazione: non uscivo con molte persone, stavo per lo più da solo, certo avevo un fratello e una famiglia, ma mi sentivo molto diverso da loro, forse perché i miei genitori vengono dalla Thailandia, quindi non sono americani, ma mi hanno avuto a New York. Era un tipo di relazione diversa, molto tradizionale, ma sono di New York e sono andato alla scuola cattolica pur non essendo cattolico (credo che i miei genitori siano buddisti), quindi assorbivo tutti questi stimoli, e niente aveva davvero senso.
Ecco perché rimuginavo molto sulle cose e mi ritrovavo a fingere, inoltre sono cresciuto gay ma non sapevo se fosse un bene o un male, non sapevo come comportarmi con i miei genitori, con la società, con tutto… l’unico sfogo che avevo era quello creativo, anche se non capivo bene cosa significasse in quel momento.
Ero molto attratto dalle arti visive, questa è la mia creatività. Non avevo mai pensato alla creatività finché non me lo hai chiesto, non ci avevo mai riflettuto, è qualcosa che è sempre stato nella mia testa. E questo mi ha poi condotto su strade diverse; in occasione di un discorso, un amico mi ha chiesto se avrebbe dovuto presentarmi come artista, ma non lo sapevo perché non mi sento tale: tutto quello che ho fatto nella mia vita è successo per caso. Quando avevo la linea di abbigliamento, non è stata frutto dei miei studi, ho imparato da solo, con i miei amici. Credo che Siduations sia, per non dire graphic design, un mio personale utilizzo di Photoshop, ho imparato da solo.
Mi sono messo in gioco per conto mio. Mi piace poi la fotografia, non pubblico foto da nessuna parte, ma mi piace sperimentare con diverse camere o applicazioni, non ho mai seguito l’apprendimento tradizionale, ed è per questo che se qualcuno mi chiede se sono un artista dico, “Non lo so…” [ride]. Non sono un influencer, qualcuno mi ha definito tale ma non mi faccio foto, o meglio le faccio solo per le storie, perché poi scompaiono [ride].
Ho anche recitato in un film, un mio amico ha diretto un film intitolato “Kids” negli anni ’90 che parla degli skater a New York City, c’è Chloë Sevigny nel cast, eravamo tutti ragazzini e lui ci ha filmati, voglio dire non è una storia vera, ma sembra un documentario, sono ancora vivo. [ride] Tutto questo per dire che sono sempre circondato da persone creative diverse, ma non intenzionalmente, ci siamo semplicemente trovati.
“Ero molto attratto dalle arti visive, questa è la mia creatività”.
Di quali fasi si compone la realizzazione dei tuoi collage irriverenti?
A New York ho lavorato come PR di moda per 15 anni, poi è sopraggiunta la mia linea di abbigliamento, United Bamboo; e prima che questa avesse successo, ho venduto la mia quota perché mi sentivo “annoiato“, così sono tornato a scuola per imparare a fare documentari, a fare riprese, ho imparato quello che era necessario, è stato divertente e poi mi sono detto: “Ok, anche questo mi annoia”. Allora i miei amici mi hanno chiesto se volevo tornare in United Bamboo perché avevano bisogno di aiuto con la pubblicità: non ho mai studiato per diventare un PR, avevo seguito un solo corso a riguardo ma era così diverso, eppure me lo hanno chiesto ugualmente perché ho lavorato in una rivista quando avevo 16 anni e sapevo come funzionavano le cose.
Essendo PR conoscevo molte persone nel mondo della moda e ho sviluppato dei contatti, e quando ho deciso di trasferirmi a Los Angeles mi sono reso conto che il PR qui è diverso, riguarda più che altro le celebrità, è una cultura: se non hai soldi, allora non potrai vedere una celebrità che indossa un tuo abito perché tutti hanno un contratto. Inoltre, è un tipo diverso di PR, così mi sono detto: “Ok, non ho mai studiato per fare il PR, sento di poter smettere senza troppi problemi” [ride]. È stato difficile perché l’ho fatto per 15 anni, ma non stavo davvero investendo in tale attività. E ancora una volta mi sono detto: “Ehi, tutto quello che ho fatto è successo per caso, posso iniziare una nuova vita qui”, non sapevo cosa volevo fare, ho dovuto imparare a guidare prima, anche se non l’ho fatto [ride]. Avevo alcuni amici qui che avevano bisogno del mio aiuto con il loro sito e invece di fare delle semplici modifiche, ho imparato a programmare, poi mi hanno chiesto se potevo aiutarli a cambiare i colori del loro sito web, e così ho fatto, ho imparando a codificare e a giocare con le immagini.
È allora che è arrivato Photoshop: mi divertivo con le immagini, spostavo le cose a sinistra, a destra, piccole cose come queste, ma giocavo anche con le app sul telefono, con diversi strumenti di Photoshop. Quando rimanevo bloccato nel traffico, scrivevo dei messaggi ai miei amici a New York, molti di loro lavoravano nella moda, quindi quello che facevo era caricare una loro foto su un’app, la tagliavo, e poi li “posizionavo” per strada, su una foto che avevo scattato del marciapiede, piccole cose del genere. E poi gliele mandavo scrivendo loro: “Mi manchi, vorrei che tu fossi qui”. Molti di loro hanno iniziato a pubblicare quelle foto sul loro Instagram e mi sono detto: “Oh è fantastico, è divertente, è strano”. Ne avevo fatti tanti che ho pensato di pubblicarli, ma non volevo pubblicarli sul mio profilo personale, non aveva senso, così ho creato Siduations e li ho postati lì.
“È allora che è arrivato Photoshop: mi divertivo con le immagini…”
“Ne avevo fatti tanti che ho pensato di pubblicarli, ma non volevo pubblicarli sul mio profilo personale, non aveva senso, così ho creato Siduations e poi gli ho postati lì“.
Dal momento che conoscevo già molti editor di moda e stylist, avevo già un seguito, non è stato difficile per me convincere i miei amici a seguire l’altra pagina. E poi la gente ha iniziato a condividerle e i magazine hanno iniziato a chiamarmi.
Era il secondo anno che vivevo qui, a quel tempo c’erano nuove persone che lavoravano nelle riviste, pensavo che i miei amici avessero detto loro di contattarmi, ma questi mi dissero che mi avevano trovato su Instagram e che non sapevano che avevo lavorato nella moda. Conoscevo tutti nel loro ufficio, ma non conoscevo l’editor [ride], loro mi chiedevano: “Conosci il mio capo?” e io rispondevo: “Sì, pensavo che ti avessero detto di chiamarmi da Vogue”. Invece avevano scoperto il mio Instagram mentre era in metro, e avevano pensato che fosse divertente, per quel motivo mi avevano scritto, così ho iniziato a conoscere tutte le nuove persone che lavoravano nella moda. È stato divertente perché un sacco di gente pensava che mi stavo pavoneggiando ma io rispondevo: “No, non sono nemmeno sicuro al 100% di quello che sto facendo, non mi darei mai delle arie”, ma da allora il profilo è cresciuto molto.
“Devo dire che molte persone li chiamano collage ed si tratta di questo, anche se io lo chiamo editoriali con un budget limitato [ride]”.
Qual è il significato dietro al nome “Siduations”, a parte il fatto che giochi con il tuo nome?
Mi sono reso conto che quello che facevo era inserire le persone in situazioni diverse, e questo è quanto [ride].
Quando hai un’idea, potrebbe non essere l’idea più grandiosa del mondo, ma basta che abbia un senso: è come se Sid inserisse le persone in determinate situazioni.
Abbiamo già parlato di moda, ma come hai capito che l’ironia fosse una chiave di lettura di successo per interpretare questo mondo complicato?
Non lo sapevo, grazie! Sai, nessuno cammina a Los Angeles, quindi quando sei in macchina, e per strada non c’è neanche un pedone, ma poi ne vedi uno ed è vestito bene, allora stai assistendo a una situazione; una volta ero a Venice Beach, stavo ordinando un caffè alle 8 di mattina, era Settembre, quando fa ancora caldo ma è quasi autunno, e ho visto delle persone con le pantofole in pelliccia di Gucci, e mi sono detto: “È Venice Beach cazzo, perchè indossate le pantofole in pelliccia?” Queste persone avevano poi delle giacche in pelle, certo, avevano stile, ma c’erano 26 gradi, che senso aveva vestirsi in quel modo?! È così che trovo una situazione, per me è normale, ma capisco che sia divertente per gli altri.
Inoltre, sono cresciuto negli anni in cui i club andavano fortissimo e i miei amici si vestivano in modo assurdo e giravano per New York conciati così, quindi capisco che c’è dell’ironia, ma questo è il modo in cui sono cresciuto e questo è quello che ho visto; ho sempre messo in discussione il motivo per cui la gente trovi queste immagini strane, voglio dire, se i designer realizzano dei vestiti per le persone, perché non dovrebbero indossarli? Perché è così strano? Hanno bisogno di fare soldi, vogliono che tu li indossi. Dovrebbero metterli solo di notte? O dove altrimenti? Mi sono sempre interrogato a riguardo, poi durante le elezioni del 2016, che sono state un gran fonte di ispirazione per me, mi sono reso conto che siamo cosi divisi: ci sono i repubblicani e i democratici, i bianchi, i neri, gli ispanici, ci sono i ricchi e i poveri, e ho capito che anche la moda è divisa; alcune persone di questo ambiente non guardano le persone normali, o sembra che non lo facciano, sono molto elitarie, come se appartenessero a un club.
Così mi sono detto: “C’è così tanta divisione, ma so che sto facendo qualcosa per far sentire ogni persona inclusa”. Voglio fare in modo che nessuno si senta più in alto degli altri, voglio mettere le persone sullo stesso livello.
Come riesci a trovare un equilibrio tra la moda e il mondo “reale”, ad esempio quello della politica e simili?
È qualcosa a cui penso sempre. Ad esempio: “Gucci ha fatto questo abito, deve essere indossato per forza a un cocktail party o un evento particolare? Perché non lo si può mettere al supermercato?” E la gente lo trova strano, ma cosa c’è di così strano? Assolutamente nulla, se non il fatto che non si vedono certi abiti al di fuori delle fashion week. A volte, quando inserisco un abito in un’immagine, mi rendo conto che chi lo indossa dovrebbe essere ad un evento mondano, ma dove altro potrebbe essere poi? Voglio che la moda sia per tutti, non solo per i ricchi. Mi sembrava qualcosa di così esclusivo, volevo che tutti ne facessero parte.
I social media si sono rivelati utili per il tuo lavoro?
È così che molte persone mi trovano per collaborare. Ho preso parte a dei progetti con Alexander Wang, Burberry, Moncler, Miu Miu, Opening Ceremony, Brandon Maxwell, e poi collaboro con i magazine, ho curato una rubrica mensile mese per Elle UK, L’Officiel… E tutto tramite messaggi privati su Instagram, il che è pazzesco, soprattutto perché non devo mai uscire di casa! [ride]
Ma mi fanno anche impazzire, uso i social media come una galleria; se le persone scrivono: “Questo lavoro è orribile” mi sta bene, perché mi aiuta a migliorare; una persona ad esempio mi ha detto riguardo a una foto: “Sembra così ritoccata”, allora ho dato un’occhiata e ho pensato: “Cazzo, è vero”.
A volte mi lasciano dei commenti positivi, altre invece negativi, questi ultimi non mi piacciono ovviamente ma sono utile per capire cosa devo fare. È bello avere un feedback perché sono sempre qui da solo, quindi quando commentano e mettono like ai miei post è un modo per dirmi su cosa mi devo concentrare la prossima volta.
Ma i social media mi mandano ancora fuori di testa; i like ad esempio, a volte posto una foto in un certo momento e non ottengo molti like, così penso: “Che faccio, la elimino? No, ho 43 anni, sono troppo vecchio per questo, lasciala lì, non importa, non pensarci”. Devo ricordarmi che sto usando questa piattaforma come una galleria, come un portfolio, e non come una gara, ma poi diventa un circolo vizioso. È orrendo, mi sembra di essere di nuovo al liceo. Ma Instagram è stato utile, perché lo uso come galleria; posto anche su Tumblr, non so se qualcuno lo utilizzi ancora, lo faccio nel caso in cui Instagram scompaia [ride].
“Instagram è stato utile, perché lo uso come galleria”.
Los Angeles ti ispira in qualche modo?
Tutto mi ispira, ogni città in cui vado, il vedere come vivono persone diverse, tutto è stimolante. A proposito di viaggi, il mio punto di vista è americano perché sono nato e cresciuto qui, ma ho anche un punto di vista thailandese: conosco queste persone, il loro modo di vivere, quindi è facile per me fare riferimento a qualcosa in una foto.
Ho trascorso un’estate a Parigi due anni fa, prima ci andavo una/due volte all’anno, ma trascorrere due mesi lì mi ha permesso di capire la cultura e qualcosa sul loro modo di pensare, e questo influenza un’immagine a sua volta perché gli americani capiranno il messaggio, mentre altre persone no.
Ad esempio, in Thailandia ho fatto una foto ad una “ladyboy“, che sono i transessuali in Thailandia, e l’ho postata perché lì lo capiscono, amano le “ladyboy” in Thailandia, non le prendono in giro, fanno parte della comunità; così ho postato questa foto e tante persone in America ne sono rimaste sconvolte, mi hanno scritto: “Come puoi fare questo? È orribile nei confronti della nostra comunità, di quella LGBT, e la parola ‘ladyboy’ è offensitva”. Ma in Thailandia non c’è una concezione così incasinata, quindi la gente del posto mi stava difendendo, qualcuno mi ha anche detto: “Questa è la mia vita, la amo, è esilarante.”
C’è stata una collezione/brand/designer di cui ti sei innamorato di recente?
Balenciaga, Gucci, Valentino, Miu Miu, Prada, Loewe, JW… Non voglio dire che sono più fantasiosi perché tutti hanno un’immaginazione, ma sono persone che creano qualcosa che non ho mai visto prima. Le loro sfilate non sono solo una passerella, sono una vera e propria Disneyland. Poi dipende, la prossima stagione ci potrebbe essere un altro marchio che fa qualcosa di diverso, e non parlo solo dei vestiti, ma dell’atmosfera. Per me la moda significa fuggire, è una fantasia, voglio vivere un’esperienza. Finora, quando vado a Parigi, le sfilate di Vuitton mi fanno sempre sentire come se fossi in un mondo diverso.
Adoro le vecchie sfilate di McQueen, sembravano dei pianeti a parte. Ecco, questo è ciò che amo della moda, mi piace che tu possa pensare di essere lì. È una fuga, questa concezione risale anche a quando ero più giovane e mi sentivo solo, usavo le riviste come una fuga.
Che cos’è la moda per te?
La moda per me è come comprare un biglietto e viaggiare. E quando dico questo, intendo che il biglietto potrebbe essere costoso [ride], la giacca potrebbe essere costosa, ma se quando indossate quella giacca vi sembra di essere un’altra persona, o di raccontare una storia… É questo che intendo, è narrazione, è viaggiare in un posto diverso.
Qual è il tuo look da tutti i giorni?
Jeans e maglietta. Qualcosa di molto semplice, la mia regola è che devo essere in grado di indossarlo almeno tre giorni di fila perché non ho delle grandi entrate, non posso spendere troppi soldi nel vestire, considerando poi che non esco mai di casa. E poi, c’è così tanto fast-fashion ora e non è un bene per il nostro pianeta, quindi quando compro qualcosa, vado nei negozi di seconda mano, ai mercatini delle pulci oppure compro qualcosa di molto speciale. Ho bisogno di essere in grado di indossare qualcosa più d’una volta, ho bisogno di sentirmi a mio agio nell’indossarlo per 2 giorni di fila. In questo momento, tutti indossano qualcosa una volta e poi dicono: “Cosa ci faccio ora?” ma non è un bel modo di pensare.
Ne hai troppi di?
Idee [ride]. E tempo, ma mai abbastanza per far realizzarle tutte.
Cosa c’è in cima alla tua wish list di moda ora?
Stavo pensando alla Cap Bag di JW Anderson. È nella mia lista, anche se non ho una vera e propria wish list, ci sto pensando, non ne ho bisogno ma la voglio.
Qual è il tuo superpotere?
Vorrei potermi teletrasportare! E se non posso farlo nella vita reale, lo faccio tramite i miei collage.
Cosa ti fa ridere di più?
Mi piacciono gli scherzi e i blooper, soprattutto in contesti pratici. Come quando vedi uno spettacolo e tutto è perfetto, ma poi guardi i dietro le quinte e ti rendi conto che non lo è. Mi piacere vedere la gente imperfetta, non rido di loro, ma la trovo divertente. Recentemente, ero ad una festa e avevo delle scarpe alte, ad un certo punto sono caduto senza nemmeno camminare, è stato divertente, cercavo di darmi un tono e poi invece sono caduto all’indietro. È stato imbarazzante, ma divertente.
Cosa puoi dirci dei tuoi progetti futuri?
Vorrei pubblicare un libro, non so se sia possibile perché dovrei pagare i diritti di tutte queste foto, ma potrei farlo. Vorrei pubblicare un libro se non per venderlo almeno per me stesso, per rivedere i miei progetti. [ride] Vorrei anche uscire da Photoshop e scattare delle foto creative o dirigere un team che le scatti per me. Vorrei viaggiare di più per scattare le foto di sfondo. Quello che ho fatto ora è stato cercare online foto di supermercati, dei canale di Venezia, ma preferirei andarci personalmente e scattare io stesso le foto dei canali. Vorrei dirigere un team creativo, trasformare Siduations, mi piacerebbe imparare ad usare più app, più programmi, a fare video, a muovere le immagini, imparare di più.
E voglio essere felice, voglio divertirmi, credo che tutti lo vogliano, ma non voglio che questo diventi un lavoro; a volte lo sento come tale, e questo mette a repentaglio tutti i miei propositi.
Photos by Johnny Carrano.
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