Una sera di qualche settimana fa ho visto “Age Out” che, già con il suo trailer, la sua musica, e le sue immagini, mi faceva sperare che fosse uno di quei quei film che ti smuovono, che ti fanno sentire qualcosa nella pancia e che ti fanno venire voglia di fare mille domande.
L’ho visto. E così è stato.
Un film fatto di una fotografia incredibile, ritratti di persone che ti fanno scoprire parti dell’umanità e anche di te stesso. Perché alla fine il cinema deve anche essere questo, giusto? Un ritratto dell’umanità, che ci apre nuove dimensioni, che ci fa vedere qualcosa che è diverso dalla nostra e che, quindi, ci fa crescere.
Il regista A.J. Edwards voleva descrivere un perdono impossibile e voleva catturare l’umanità in questo, nella sue tante sfaccettature. Sono rimasta colpita dalla sceneggiatura (sempre scritta da A.J.) e dal suo modo diretto, dolcemente lento e reale di descrivere qualcosa che ci rende tutti vicini, per non parlare di alcune scene visivamente spettacolari.
A dare ancor più valore a questo film sull’emancipazione, voglia di crescere ma poca voglia di prendersi le proprie responsabilità, è stato anche il feeling tra gli attori, che mi ha lasciato una sensazione di verità: Tye Sheridan, Imogen Poots e Caleb Landry Jones hanno portato sullo schermo energia, empatia e anche un po’ di tristezza.
Quando un film ti lascia così per qualche giorno, quando avresti troppe domande e vorresti parlare con chi l’ha pensato, creato e diretto, allora vuol dire che c’è qualcosa di davvero speciale.
A.J. Edwards non è solo il regista e scrittore di questo film, ma anche un’anima generosa che mi ha fatto il piacere di rispondere a quelle tante domande.
Ho amato tantissimo il film, credo sia davvero unico. Come è nata l’idea?
Grazie mille. L’ispirazione iniziale è stata “Delitto e Castigo” di Dostoevsky, volevo trasportare le tematiche e i personaggi del racconto nella contemporaneità. A differenza del romanzo, il protagonista non è uno studente che vive da solo, ma un giovane che esce dall’affidamento a discapito del consiglio altrui. Ho pensato che sarebbe stato un catalizzatore interessante di conflitto.
Ti è dispiaciuto non esserti occupato del montaggio del film?
Ero presente durante la post-produzione. Il montaggio è un processo che mi piace tantissimo.
Perché hai deciso di girare in questo formato?
Il direttore della fotografia Jeff Bierman ed io siamo ispirati da fotografi americani che scattano con le camere a pellicola come William Eggleston, Larry Sultan e Stephen Shore. Le loro composizioni sono squadrate, colorate e incentrate sulla profondità piuttosto che sul movimento da sinistra verso destra. Il formato quadrato in 4×3 del film richiama quel concetto.
“L’ispirazione iniziale è stata ‘Delitto e Castigo’ di Dostoevsky”.
Nello scrivere questo film, quali sono state le tue ispirazioni?
Gli attori sono stati una grande fonte d’ispirazione mentre scrivevo, è un aspetto di cui sono grato. Condividevo i passaggi con Tye e lui mi diceva cosa ne pensava. Durante lo sviluppo della sceneggiatura, Imogen è stata essenziale per aggiungere alcune sfumature al suo personaggio, Joan.
Quali sono state le emozioni che hanno caratterizzato il processo di scrittura?
Il pathos dei personaggi di Tye e Imogen mi ha sicuramente commosso. Sono entrambi soli seppur in modo diverso. Il loro percorso nel cercare di creare una connessione rappresenta lo slancio del film.
“Tutti hanno un obiettivo, una storia di successo”: qual era il tuo obiettivo nel dar vita a questo film?
Il mio obiettivo è quello di fare qualcosa di buono per gli attori e che renda giustizia alla loro arte. Come molti registi, sento anche una grande responsabilità verso i produttori. Dopo tutto, voglio lavorare ancora.
“Il pathos dei personaggi di Tye e Imogen mi ha sicuramente commosso“.
Sei influenzato da un artista del nostro tempo?
I miei coetanei mi ispirano maggiormente.
Ci sono alcune scene senza dialoghi tra i personaggi. Come è stato dirigere gli attori in quei momenti? Come ti sei approcciato a loro per creare la giusta atmosfera?
In quanto regista, creare un’atmosfera libera da giudizi o errori è molto importante. Desideri che gli attori si sentano liberi di sperimentare, commettere errori e risolvere i problemi. Se una scena finisce senza dialogo, è perché sul set o durante la post-produzione abbiamo deciso che il comportamento e la fisicità erano sufficienti per esprimere l’emozione desiderata.
Un film come “Aging Out” si incentra anche sull’estetica. Come hai trovato l’equilibrio tra la tua regia e la straordinaria fotografia di Jeff Bierman? In che modo si è sviluppata la vostra collaborazione?
Jeff ha girato parte del mio primo film. È molto premuroso, lavora duramente ed è divertente. Dopo quella prima esperienza, sapevo che volevo collaborare nuovamente con lui. Io e lui parlavamo la stessa lingua in termini di immagini che volevamo ottenere. È anche senza paura, il che non si può dire di molti altri direttori della fotografia. Jeff è disposto a esplorare e sperimentare.
La scena del motel è incredibile. In alcune parti sembra che la camera sia un personaggio a sé stante, nel modo in cui spia le stanze del motel e dalle finestre, anche quando Richie e Swim non ci sono. Perché hai deciso di girare la scena in quel modo e cosa volevi rappresentare?
Grazie. Sono molto orgoglioso di quella scena della rapina. Molto è dovuto al lavoro con la Steadicam di Orlando Duguay. Volevamo che lo spettatore si sentisse il più possibile immerso nella rapina, come se il pubblico ne sperimentasse l’orrore insieme a Richie. Stai correndo al fianco di qualcuno e non puoi impedire loro di fare questa cosa orribile. Il motel era perfetto a sua volta come location, non eravamo su un set. Le persone, le camere, tutto era vero. Ci hanno permesso di catturare alcune situazioni di vita che non si vedono spesso. Questa sensazione ha sicuramente aggiunto un tocco in più al risultato finale.
Uno dei produttori esecutivi del film è Gus Van Sant: ti ha influenzato in qualche modo?
Gus Van Sant ha avuto una grande influenza su di me fin da quando ero molto giovane. “Mala Noche”, “Belli e Dannati”, “Da Morire”, “Will Hunting – Genio Ribelle”, “Elephant”, “Last Days” sono tra i miei film preferiti. Sono grato per il suo sostegno a questo film.
Il film parla anche dell’assumersi la responsabilità delle proprie azioni e di quanto questo sia difficile. Perché hai ritenuto che fosse importante esplorare anche questo argomento?
Il film racconta il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. È lo sviluppo di un ragazzo che diventa un uomo. L’ultima tappa della maturità è la responsabilità, la consapevolezza delle proprie azioni. Alcune persone non arrivano mai a quel punto. In un certo senso, il film ricorda la storia di Pinocchio. Parla di qualcuno che diventa una persona: resistere alla tentazione, capire il proprio rapporto con gli altri, assumersi la responsabilità delle proprie azioni, ecc.
“In quanto regista, creare un’atmosfera libera da giudizi o errori è molto importante”.
Hai lasciato spazio di improvvisazione agli attori?
Sicuramente. Accolgo con favore i contributi degli attori, dei capi reparto e di tutti coloro che hanno una buona idea. Mi piace essere sorpreso e vedere le cose prendere un percorso diverso, migliore di quello che avevo immaginato.
Caleb Landry Jones trasmette un’energia incredibile sullo schermo, fa quasi paura in un certo senso. Come è stato “giocare” con questa energia?
Caleb è fantastico. È sempre preparato e assimila il suo ruolo sia internamente che esternamente. Ogni regista che lavora insieme a lui lo può confermare. È anche un grande collaboratore, dall’inizio alla fine. Ha certamente accolto con favore l’improvvisazione e gli imprevisti, questo ha reso le cose ancor più emozionanti per me. Caleb è un vero artista.
Le location sono semplicemente incredibili, c’è un bellissimo equilibrio tra spazi industriali e natura. C’erano già nella tua mente e nel copione o li hai trovati in seguito?
Grazie. Sì, le mie radici sono Texane, la mia famiglia è di Waco, quindi conoscevo la maggior parte dei luoghi del film. È stato un piacere poter girare in quel modo.
Hai ritratto una moralità offuscata. Quanto è stato difficile? E in quale film, secondo te, possiamo ritrovare un esempio attendibile di moralità offuscata?
Anche se il film ha una morale centrale, come qualsiasi dramma che si rispetti, non volevo che fosse moralistico o didattico. Questo è un elemento importante da evitare. In termini di cinema morale contemporaneo, i fratelli Dardenne, Maurice Pialat e Pedro Costa sono veri maestri.
“È un grande collaboratore, dall’inizio alla fine. Caleb è un vero artista”.
La libertà è un altro argomento importante del film. Che cosa significa libertà, per te, in quello che fai?
Bella domanda! Nel film la libertà è centrale. Il personaggio principale fraintende l’idea di libertà, insistendo sull’avere la propria indipendenza all’inizio nonostante i pareri altrui contrari. Pensa che la libertà lo spinga a peccare e a sbagliare per colpa della tentazione. Deve trovare la propria strada per tornare sulla retta via.
La libertà artistica è tutto per me e sono stato molto fortunato a godermela con entrambi i miei film. Sono grato per questo sostegno.
Ho letto che hai sempre voluto ritrattare il “perdono impossibile”. Alla fine, Joan sembra dimenticare, in qualche modo. Pensi che sia possibile perdonare una cosa del genere?
È certamente possibile, ma sarebbe molto difficile. Questo per me è stato il fascino della storia. Volevo esplorare personaggi che mi sfidassero con le loro decisioni. Joan lo fa sicuramente prima della fine. Le persone possono discutere a riguardo.
Fin dall’inizio capiamo che il personaggio di Tye è pieno di rabbia ma, allo stesso tempo, ci mostra la sua anima fragile, il che mi ha fatto provare una certa empatia per lui. Quanta empatia pensi che sia necessaria per fare e vedere questo film?
L’empatia è molto importante per me. Cerco di creare personaggi umani e nobilitati. Anche se il tuo personaggio è un criminale, un adultero o un re corrotto, devi ricercare quel nucleo di umanità in loro. Shakespeare lo fa. Il che è raro oggi.
L’ultimo film che hai visto?
“La signora della porta accanto” di Truffaut.
La tua top ten dei film che hanno cambiato la tua idea si cinema o che ti hanno sconvolto?
Difficile! Facciamo piuttosto una lista dei dieci film che hanno ispirato “Age Out”?
- “Vigilato Speciale” (Grosbard)
- “Accattone” (Pasolini)
- “Revanche – Ti Ucciderò” (Spielmann)
- “Tirannosauro” (Considine)
- “Juvenile Court” (Wiseman)
- “Taxi Driver” (Scorsese)
- “Diario di un Ladro” (Bresson)
- “L’Enfant – Una Storia d’Amore” (Dardenne)
- “Belli e Dannati” (Van Sant)
- “Affliction” (Schrader)
Qual è stato il primo regista di cui ti sei innamorato? E l’ultimo?
Primo: Spielberg. Ultimo: Guadagnino.
A cosa stai lavorando adesso?
Un film che spero di girare questo autunno.
E quale sarebbe il tuo film dei sogni da dirigere?
Il mio armadio è pieno di idee. Scegline una qualsiasi e mi andrebbe più che bene!