Abbiamo intervistato Barbara all’inizio di quest’anno e ci aveva già fatto capire quanto fosse un’anima speciale.
Ma, dopo aver visto “Padrenostro” non potevamo non volerle parlare di nuovo, sapere cosa aveva da raccontarci di questo nuovo progetto che ci ha sciolto il cuore, mostrandoci qualcosa di umano e di davvero emozionante.
Nel film, presentato alla 77. Mostra del Cinema di Venezia, Barbara interpreta Gina, madre del protagonista Valerio, e racconta una storia vera, vissuta ed vista da Claudio Noce, il regista stesso del film. Siamo riusciti a catturare Barbara per qualche minuto, proprio prima dell’emozione della prima, per congelare quel momento del tempo, fatto di nostalgia, passione e una delicata attenzione.
Come è stato lavorare al tuo personaggio con Claudio Noce, ad una storia così personale? E quale è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura?
Quando ho letto la sceneggiatura mi sono domandata se avessi bisogno di conoscere la vera Gina. Poi ho pensato che nonostante i fatti realmente accaduti, quello che mi aiutava di più era guardarla attraverso gli occhi di Claudio, nei racconti che mi faceva di lei, quello che lo faceva ridere, quello per cui la ringraziava, di esserci sempre stata, di aver fatto tante volte da tramite tra il marito e i figli, una donna che ha scelto la sua vita e non l’ha subita, che ha tenuto insieme una famiglia nonostante la paura, pensando al bene di tutti senza sacrificare nulla di sé stessa.
“Una donna che ha scelto la sua vita e non l’ha subita.”
Come ti sei preparata per il tuo ruolo? È davvero intenso ma allo stesso tempo ci si relaziona profondamente con il personaggio come madre e donna.
Ho trovato ispirazione guardando i film e certe foto di vita privata di Cassavetes e Gena Rowlands, ma l’aiuto più grande è arrivato dai costumi pensati da Olivia Bellini, dalla parrucca realizzata da Massimo Gattabrusi e il trucco di Valentina Iannuccilli, una squadra che mi ha ascoltata, guardata e consigliata.
Se potessi fare una foto ricordo del set, di un momento vissuto che ti è rimasto, quale sarebbe?
Il giorno in cui abbiamo girato la scena dell’attentato, uno dei momenti più emozionanti del film.
Claudio mi ha fatto ascoltare una registrazione di sua mamma che raccontava tutto quello che era successo. Mi ha commosso come il suo ricordo fosse così nitido e lucido a quarant’anni di distanza.
Ho trovato la scena in cui il tuo personaggio chiama i suoi genitori e fa finta che vada tutto bene molto intensa e vera, come tante altre. Quanto di personale c’è in una scena come questa? Sono situazioni che spesso ci troviamo ad affrontare.
Non si smette mai di essere figli, anche quando si diventa grandi, l’abbraccio di un genitore ci fa sentire al sicuro, anche solo per un attimo. Ma ci sono dei momenti in cui è necessario proteggere i nostri genitori a loro volta dal male, essere forti, raccontare bugie, preservarli dal nostro dolore. C’è qualcosa di me in questo. Dico sempre che va tutto bene, anche se non è così.
Quando secondo te è importante raccontare questo tipo di storie sul grande schermo?
Questo film è una bellissima lettera d’amore di un figlio al proprio padre, alla sua famiglia, a quello che hanno vissuto, ma quel bambino che guarda suo padre chiedendogli di essere immortale, che lo guarda farsi la barba come fosse un dio greco, quel bambino che scopre la potenza dell’amicizia durante un’estate al mare, siamo tutti noi.
Quanto e come è stato magico essere qui a Venezia?
Essere a Venezia in questa edizione così silenziosa e concentrata rimarrà una delle emozioni più grandi della mia vita. Ritrovarsi in quella sala dimezzata a vedere un film tutti con le mascherine e distanziati, come dei sopravvissuti, commossi dalla speranza di poter ricominciare a raccontare storie, uniti in questo rito collettivo che è il cinema, una serata che non dimenticherò mai.