Quando intervisti Daniela Collu non è mai solo un’intervista. È sempre una piccola avventura. Con un finale di riflessione. Soprattutto se lo fai subito dopo esserti letta tutto d’un fiato il suo nuovo libro “Un minuto d’arte” dove in modo ironico, intelligente e, sì possiamo dirlo, unico, spiega l’arte a tutti. Con un linguaggio democratico e incalzante ci fa scoprire curiosità su opere di cui, ne sono sicura, nemmeno voi sapete nulla. O quasi.
Ci porta a cena con Dalì, a mangiare polpette, ad essere affascinati dalla profondità dell’arte contemporanea, ci mostra cos’è la sensualità e, allo stesso tempo, ci fa scoprire qualcosa di lei, proprio attraverso tutta quest’arte. L’arte l’ha salvata, l’ha fatta sentire a casa, l’ha fatta crescere e le ha fatto capire il colore delle cose, anche quello delle parole.
Daniela con questo libro diventa ancora di più un’amica con la quale possiamo crescere a suon di pennellate, risate e scatti.
Insomma, grazie a questo libro (che abbiamo amato dalla prima all’ultima pagina) l’abbiamo conosciuta un po’ di più e a nostra volta le abbiamo chiesto qualcosa in più su di lei, senza dimenticarci dell’intervallo musicale che l’ha portata a condurre X Factor. E possiamo proprio dirlo che l’ha fatto alla grandissima. Punto.
“Sono certa non ci sia bisogno che io dimostri come l’arte, in ogni sua forma, sia il mondo intero e il suo racconto, di come descriva tutto quello che l’uomo è, e anche quello che non sa di essere, di come abbia permesso di comprendere spesso cose che il pensiero e la parola non avrebbero saputo spiegare”. Cos’hai compreso tu del mondo, attraverso l’arte?
Tre quarti delle cose che so e che riesco a spiegare. Ho un cervello che ragiona per immagini, l’altro giorno durante una seduta di analisi sono riuscita a mettere a fuoco un avvenimento chiave dell’infanzia grazie a un dipinto di Munch. Una foto di Wolfgang Tillmans mi serve per raccontare il timore di parlare e non essere compresi. Nessuno come Borromini, per me, racconta l’ambizione di rompere i limiti. Gli artisti sono il mio veicolo di conoscenza, io attraverso di loro do una forma alle cose che so.
Alcuni aneddoti legati all’arte dici che ti hanno cambiato la vita. Ce ne puoi raccontare uno?
Uno su tutti, forse il più sostanzioso: sono andata a visitare una mostra di Jenny Saville al MACRO di Roma da semplice curiosa a 22 anni, è una artista inglese del gruppo degli Young British Artist, e sono rimasta folgorata da queste tele gigantesche con corpi iperrealistici e deformi allo stesso tempo, le pennellate corposissime, il colore dato a spatola, la verità dei nudi. Un anno dopo ho fatto richiesta per uno stage al Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese perché sapevo che avrebbero inaugurato con una sua mostra ed ero affascinata all’idea di vederla lavorare. Mi hanno chiamata, mi hanno assunta e ho lavorato nei musei del Comune di Roma per otto anni. Grazie Jenny per il mio primo stipendio fisso!
“Gli artisti sono il mio veicolo di conoscenza, io attraverso di loro do una forma alle cose che so”.
Qual è il museo da cui ti sei sentita più accolta?
Sicuramente la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Quando avevo diciassette anni ci andavo ogni giorno, l’ingresso era gratis per i minorenni e mi portavo i compiti da fare per la scuola. Facevo le mie versioni di greco ma mi bastava alzare gli occhi e avevo Schifano e Tano Festa davanti, Balla e Boccioni, mi sembrava di aver trovato il mio posto nel mondo.
Se la tua vita in questo istante fosse un quadro, quale sarebbe?
Un Jackson Pollock, sembra un casino senza senso, ma vi assicuro che è tutto calcolato e se tutto va bene, è un capolavoro.
Il tuo piatto di polpette preferito?
Ahahahahha, quelle di mia madre ovviamente, magari fredde, da trovare alle tre del mattino quando torni affamata da una serata fuori con gli amici. Ma anche quelle di baccalà di certi bacari veneziani…
Parli spesso dell’arte come anche dimostrazione di sensualità. Cos’è per te sensualità?
Non ne ho ancora idea, a 38 anni suonati. Non ho ancora capito da dove passi la sensualità, a volte è proprio il fatto di non poterla trovare sempre nello stesso posto, negli stessi vestiti, negli stessi atteggiamenti che ce la rende così irresistibile e efficace. Credo che l’arte dimostri esattamente questo: ci viene logico pensare che la sensualità sia nei corpi nudi delle sculture, ma prova a guardare i fiori fotografati da Mapplethorpe e dimmi se non si muove qualcosa dentro. O le chiese del Barocco leccese, o i cellophane bruciati di Burri. Probabilmente la sensualità è in tutto quello che ci tocca corde interiori che altrimenti, razionalmente, non sappiamo raggiungere.
Qual è la reazione più strana o forte che hai sentito davanti ad un’opera d’arte?
Mi sono messa a piangere, a Parigi, davanti alla Zattera della Medusa di Théodore Géricault. Era la mia prima volta al Louvre, non ero pronta, vederla dal vivo è stata un colpo. E Guernica, so che sembra banale, ma Picasso fa questo effetto, oppure sei morto e non lo sai.
Quando parli dell’opera dei fratelli Chapman parli di attrazione e repulsione. Quanto queste due emozioni secondo te sono legate e separate in ognuno di noi?
Per niente separate, basta vedere la morbosità con cui stiamo attaccati ai dati della pandemia e con cui ci ossessioniamo su telegiornali e video virali. Credo che spesso l’arte ci abbia liberati nel nostro amore per il brutto, l’orrido, lo spaventoso, per quello che dovrebbe disgustarci e invece misteriosamente, ancestralmente ci attrae.
“E credo che più conosciamo le nostre pulsioni senza giudicarle meglio è, il senso di colpa non fa per me”.
La tua ultima “Sindrome di Stendhal”, metaforicamente parlando?
Artisticamente parlando non mi emoziono e stupisco da un po’, mi sembra tutto già trito e ritrito, o forse semplicemente sto invecchiando. Me ne torno volentieri ai miei amati anni 60, con Franco Angeli e Pascali, con Cy Twombly e Kounellis.
Parlando di Klimt, il “baciami il culo” migliore che hai detto nella tua vita?
Ahahah, questo mi inserirebbe nella categoria “artisti rosiconi”! Non sono una che porta rancore e mi dimentico i torti, in più chi fa il mio lavoro è abbastanza abituato a farsi portare in trionfo dagli stessi che non ti salutavano nei corridoi. Mi prendo le mie soddisfazioni e le mie rivincite, questo sì, ma niente dipinti di vendetta…forse perché non sono brava come Klimt?
Parli dei 5 elementi dell’architettura moderna secondo Le Corbusier. Ma quali sono i 5 elementi che non devono mancare nella tua di casa?
Divano comodo, frigo pieno, un pavimento bello per stare seduta, i fiori freschi e mazzi di chiavi in più da lasciare agli amici. Casa è sempre stata un porto di mare, mi piace così.
Il letto di Tracey Emin ci fa capire quanto una cosa così quotidiana possa rivelare di noi e di una condizione umana. Che ritratto faresti del tuo letto in questo momento?
Libri di poesie, calzini arrotolati, felpe e t-shirt che ho tolto durante la notte perché ho caldo, un peluche a forma di maiale e uno a forma di polpo. Da quando vivo sola la notte mi serve qualcosa da abbracciare.
Melancolia. Una brutta bestia. Come la affronti?
Non la affronto, la cavalco. La tristezza e quel senso di pesantezza esistenziale per me sono sacri, sono l’unica cosa che mi fa rallentare, stare in silenzio, prendere tempo per respirare. Credo che per me sia fisiologico, necessario alla sopravvivenza, perché ho ritmi disumani e la mia vita è anche molto piena di cazzate. E poi ho imparato che i sentimenti e gli stati d’animo passano, spesso anche velocemente, non ha senso combatterli, tanto vincono loro.
La tua ricetta preferita delle Cene di Gala di Dalì?
Impossibile scegliere, tutte dalla prima all’ultima, del resto una cena con Salvador Dalì è il mio sogno impossibile da viaggio nel tempo e temo che sarei troppo emozionata per mangiare.
Se potessi andare ad una cena con qualcuno del passato, presente o futuro, con chi andresti? E perché?
Tolto Dalì, che ho già nominato, vorrei Basquiat ma anche Michelangelo. Del primo vorrei diventare amica, dal secondo farmi raccontare tutto, del lavoro, del suo tempo, della creatività, dei Papi.
“Se ce la vendete bene, compriamo anche la merda”. Quanta merda vedi in giro?
Santo cielo, il 95% è merda! Ma siamo talmente allenati ormai a guardare il dito e non la luna e i ritmi con cui digeriamo tutto sono talmente veloci che forse non ce ne accorgiamo nemmeno. Un progetto mediocre, se comunicato bene, si aggiudica comunque il favore del pubblico, è come se il contenuto non fosse più centrale, la confezione è tutto. Alla fine, quella storia del medium e del messaggio è vera, non c’è niente da fare.
E fossi una Guerrilla Girl, per cosa protesteresti in questo momento?
Dobbiamo stare nei posti di potere, voglio, bramo, esigo che le donne occupino i vertici della politica, delle aziende, delle istituzioni. Solo così si inverte la rotta e si cambia davvero la situazione su pari opportunità, compenso equo, aborto: tutte cose su cui sembra assurdo doversi schierare ancora nel 2020. E poi c’è la discriminazione sistemica, quella strisciante che è dura a morire: quella del linguaggio, del giudizio dei corpi, del valore della femminilità ancora troppo legato al focolare domestico, del sesso e degli stereotipi, lì servono madri, padri e insegnanti illuminati.
Quanto importante è per te essere coerente con te stessa? E quanto a volte non esserlo?
Lo è parecchio, coerenza e credibilità mi permettono di espormi sapendo di poter sostenere con le mie spalle quello che dico, e visto che non sto mai zitta e ho un’opinione su tutto, direi che è il minimo. Ma mi metto in discussione, cambio idea e chiedo scusa, se c’è bisogno torno sui miei passi. Se invece non c’è, sono la peggior schiacciasassi che tu possa incontrare sulla tua strada.
L’arte può salvare la vita. Come lo ha fatto con te?
Ha alzato l’asticella e mi ha regalato un orizzonte diverso e più ampio. Sono cresciuta in periferia, i miei genitori non hanno avuto la possibilità di studiare, non era scontato per me arrivare ad avere una formazione di questo tipo, in un ambito che non garantisce un posto di lavoro immediato, che è più legato alle passioni che alla costruzione di una carriera. E mi ha regalato un linguaggio nuovo, strumenti nuovi, universi paralleli e una via di fuga costante nella meraviglia.
Parli del filtro del ricordo con Bonnard. C’è un posto al mondo per te che riusciresti a dipingere senza averlo davanti agli occhi? Di cui ricordi ogni piccolo dettaglio?
Le case in cui ho abitato, certi mari, la faccia di alcune delle persone che ho amato, se posso allargarmi a “posti” metaforici.
Parlando invece della sensazione di non essere soddisfatti del proprio lavoro o di cercare di aggiungerne sempre un dettaglio in più per migliorarlo, ti è mai successo personalmente? Come superi l’insoddisfazione?
Facendo. Per me l’unica cosa è fare, lavorare, macinare chilometri, studiare e produrre, sbagliare buttare tutto e ricominciare dall’inizio. Di solito poi la soddisfazione arriva.
“…E mi ha regalato un linguaggio nuovo, strumenti nuovi, universi paralleli e una via di fuga costante nella meraviglia”.
La tua opera preferita di Robert Mapplethorpe?
I ritratti di e con Patti Smith, sono la testimonianza di un legame che va oltre le categorie, che è amicizia, amore, complicità artistica, e sono di una potenza commovente.
Con il tuo libro ci fai vedere anche quanto l’arte sia fatta di ribellione e rabbia. Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Licenziarmi dai musei, ahahahah! Credo che per quelli della mia generazione mollare il posto fisso e la certezza del contratto a tempo in determinato sia una specie di folle atto di coraggio, e nel mio caso ho avuto ragione. Per il resto non sono una ribelle, un filo controcorrente sì, ma difficilmente mi metto o resto in contesti o situazioni a cui poi dovermi ribellare. L’unica rivoluzione che metto in atto è decidere coscientemente e quotidianamente di essere molto felice.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa? E cosa ti ha fatto scoprire l’arte di te stessa?
Che si può parlare in tanti modi, si può mischiare i linguaggi e cambiare i registri, essere psichedelici e rassicuranti, e che si può mantenere il proprio valore e la propria identità anche spaziando. Un dipinto a olio su una pala d’altare e una performance di body art possono avere lo stesso effetto dirompente e inebriante pur essendo così diversi, tanto vale sperimentare.
“L’unica rivoluzione che metto in atto è decidere coscientemente e quotidianamente di essere molto felice”.
Nelle opere di alcuni artisti come Mondrian si parla di essenzialità. Cos’è per te l’essenziale?
E chi lo sa? io sono barocca e baraccona, casa mia è un bazar, mi piacerebbe avere una mente capace di ridurre all’essenza, ai minimi termini, io invece aggiungo, complico, moltiplico gli strati, sono affollata dentro e fuori. Perciò il quadrato bianco su tela bianca di Malevic, o anche le linee di Mondrian mi affascinano così tanto, deve essere bello saper partorire una perfezione così definita.
Se potessi “rubare” e avere in casa una delle opere di cui hai parlato nel tuo libro, quale sarebbe?
Cindy Sherman ovunque, in tutte le stanze e in tutte le pareti. Non mi stancherei mai.
Tra i pittori di altri tempi, chi per te potrebbe essere il più grande stilista dei nostri?
Io nei miei sogni sono una donna dei Preraffaelliti, vestita di organza color bosco, abiti lunghi fino ai piedi, capelli dorati intrecciati morbidamente, una specie di Florence Welch per Gucci.
Che medaglia ti sei data quando hai finito di scrivere “Un minuto d’arte”?
Giuro, non credevo di riuscire ad arrivare alla fine, senza musei, biblioteche, librerie e chiusa in casa con le sirene delle ambulanze in sottofondo. La pacca sulla spalla è per non aver rinunciato, rimandato a tempi migliori e per essermi fidata della mia memoria!
Ma parliamo anche di X Factor: una sfida “dell’ultimo minuto”. Quanto te la sei fatta sotto?
È stata una prova impegnativa, ma mi sono anche molto divertita. X Factor è un programma super popolare, e una macchina perfetta, per me era fondamentale non rovinare il lavoro di tutti, e non sporcare in nessun modo lo show a cui il pubblico è abituato. I commenti sono stati tutti positivi, anche da parte della stampa, sono felicissima di aver avuto la fiducia di chi mi ha scelto.
La parola arte che colore ha per te?
È bianca. Sempre e comunque.
Che cosa ti sei detta più spesso in questi giorni da quando hai saputo che lo condurrai?
Calmati, lo sai fare, se cadi dai tacchi ti rialzi e fai una battuta.
La musica è una forma d’arte. Se potessi fare un minuto d’arte su un’artista o un’opera musicale, chi sceglieresti?
Daniel Johnston, amo gli outsider.
Da quale artista faresti immortalare/dipingere questo momento folle della tua vita?
Se Damien Hirst mi aspetta post mortem, sarei felice di essere taglia a metà e messa in formaldeide, altrimenti una Mini-me by Maurizio Cattelan andrà benissimo!
Un Minuto D’Arte è ora disponibile
Photo and Video by Johnny Carrano.
Thanks to Other.
Thanks to The Fifteen Keys Hotel.
Makeup & Hair by Chantal Ciaffardini.
Styling by Sara Castelli Gattinarae Vanessa Bozzacchi
LOOK 1:
Maglione: Almeno Nevicasse
Shorts: Vivetta
Ankle Boots: Unknown Footwear
LOOK 2:
Maglione Joy Division: Hades UK
Gonna: Vivetta
Anfibi: Unknown Footwear
Anelli: Voodoo Jewels