In occasione del London Film Festival abbiamo visto “Wildlife“, un film meravigliso che ha aperto le porte dell’Olimpo della regia a Paul Dano, e ci è piaciuto moltissimo.
Scoprite cosa ci hanno detto Paul Dano e Zoe Kazan sul red carpet riguardo la trama a al loro lavoro con i protagonisti.
Dietro e Davanti la Cinepresa
“Wildlife” rappresenta la prima esperienza dietro la macchina da presa per Paul Dano, già conosciuto invece per le sue doti attoriali. Per muovere i primi passi nei panni del regista, Dano sceglie un dramma familiare dalle mille sfaccettature in cui ogni personaggio è tratteggiato da centinaia di pennellate dalle sfumature leggermente diverse, vivide e complesse. Riuscendo ancora a stupire, Paul Dano e Zoe Kazan, che ha collaborato la sceneggiatura, danno vita al romanzo di Richard Ford in modo magistrale.
Per il suo lungometraggio, Dano crea un bellissimo ritratto di umanità nel Montana degli anni ’60 attraverso gli occhi di un ragazzo che, osservando, svela gli strati dell’animo dei propri genitori, mettendo così a nudo una maturità fragile, danneggiata. Sulla scena troviamo un intenso Jake Gyllenhaal nel ruolo di Jerry, il padre dal carattere debole che si trova a dover cercare un nuovo lavoro ed una Carey Mulligan assolutamente brillante nel ruolo di Jeannette, una madre amorevole e una moglie in difficoltà. Lo spettatore veglia sul piccola città e sulla vita familiare attraverso gli occhi di Joe, il figlio adolescente di Jerry e Jeannette. Joe è il silenzioso testimone del decadimento del matrimonio dei genitori: un rapporto che si sgretola come una vecchia foto che, consumata dal tempo, perde frammenti di carta e colore inesorabilmente, pezzo dopo pezzo, dalla cornice al centro.
Così Jeannette inizia a mostrare un particolare interesse verso un ricco veterano di guerra e Jerry affonda ogni scena più a fondo nella propria infelicità, apparendo sempre più stanco e teso. Attraverso il figlio Joe (interpretato da Ed Oxenbould), vediamo tutto: la complessità di Jerry e Jeannette, le loro vite e lotte quotidiane, ma anche una raffinata e delicata rappresentazione di una piccola città del Montana negli anni ‘60. Gli occhi di Joe sono onesti, ma non ingenui. Tutto ciò che compone lo sfondo appare perfetto ma non irrealistico, riuscendo a fornire un’esperienza artistica indubbiamente intensa, bella nella sua cupa delicatezza, ma non patinata.
Cosa Ci Hanno Detto
Zoe Kazan
“Creare questo film è stato molto interessante, ma non so ancora se porterà ad un futuro da regista anche per me; come attrice, invece, cerco sempre di interpretare personaggi nuovi, che non ho mai interpretato prima”.
Le abbiamo chiesto quali fossero state le sfide del creare un adattamento del romanzo, e Zoe ha detto: “Il libro è raccontato nel punto di vista del figlio, ma al presente e guardando indietro, all’infanzia: quindi c’è una sorta di duplice realtà, una mancanza di consapevolezza da parte del bambino ed una consapevolezza invece da adulto. Quindi abbiamo dovuto capire come potevamo adattare quel particolare aspetto alla sceneggiatura e di tenere tutto ancorato al presente senza usare la voce fuori campo o senza escamotage di regia, e quella è stata la vera sfida. É stato divertente però.”
La storia si concentra che su una donna molto fragile ma allo stesso tempo forte, quindi abbiamo chiesto a Zoe come è riuscita a creare una connessione con il personaggio mentre lo scriveva: “Mi sono sentito profondamente connessa a Jeannette. Senza dubbio lei è una donna vincolata dall’epoca in cui vive e da cosa ci si aspetta da una donna in quel tempo come madre o moglie, quindi penso che stia cercando di crearsi una vita indipendente, di prendere una decisione che non le è stata imposta da qualcun altro”.
Avevamo la sensazione che il personaggio di Jeannette fosse in qualche modo intrappolato e alla ricerca di un modo di liberarsi. Zoe ha concordato, dicendo: “Penso che lo sia, che stia cercando di liberarsi, e tuttavia non ha gli strumenti necessari per riuscire farlo.”
“Penso che stia cercando di crearsi una vita indipendente, di prendere una decisione che non le sia stata imposta da qualcun altro”.
Paul Dano
Non potevamo non chiedere a Paul come ci si senta dall’altra parte della telecamera, e ci ha detto: “É stato sia molto difficile e molto divertente, avevo un bel gruppo di persone intorno a me e una delle parti migliori della regia è la collaborazione che si viene a creare: ottenere il meglio dagli attori e da tutti nel team, ed è difficile comprenderlo pienamente se non alla fine. Spero che la mia esperienza come attore mi abbia aiutato e abbia anche aiutato gli attori stessi. Perché essere il regista è un po’ come essere responsabili di tutti loro in senso genitoriale: devi solo creare lo spazio per loro in modo che possano dare il meglio, si tratta davvero di creare uno spazio e non solo di capire occasionalmente come lavorano. Mi sono divertito moltissimo con tutti loro, Carey e Jake, Ed, Bill Camp. Penso che ci sia stata davvero una bella collaborazione”.
Riguardo l’argomento scelto per il film, ha detto: “Il libro mi ha commosso: la storia mi ha ricordato me stesso, i miei genitori e i miei nonni. Quindi c’è qualcosa di molto personale, ma anche un po’ archetipico: la famiglia, il sogno americano, il tipo di storia in cui scopriamo chi sono i nostri genitori e impariamo che sono persone. In quel momento, comprendi che i tuoi genitori hanno un passato, che lottano e, nonostante abbiano avuto un’infanzia, un giorno si svegliano e sono adulti, e pensano ‘oh, le cose sono diverse da come pensavo’.”
Per quanto riguarda la sua fonte d’ispirazione, e se altri registi lo hanno ispirano nel corso degli anni, ha detto: “Certo, sono ossessionato dal cinema ed una grande svolta, per me, è stata scoprire il cinema straniero. Guardando la regia di quei film ho pensato: ‘c’è un’intera lingua che devo imparare’. Ho iniziato a esaminarli probabilmente a 20 anni, penso di aver iniziato a far parte di film indie americani quando ne avevo 16, mentre a circa vent’anni ho iniziato con il cinema internazionale”.
Un’ultima Cosa
Il film è stato presentato per la prima volta al Sundance Film Festival lo scorso Gennaio, dove ha ricevuto ottime recensioni e generato unanime entusiasmo sia nella critica che nel pubblico.
È un’opera senza dubbio commovente, ma in un modo molto delicato e non convenzionale: Joe è lo specchio di una realtà drammatica nella sua semplicità, nient’affatto inusuale e che ha coinvolto (e continua a coinvolgere) molte persone.
Sia come Jeannette, che a poco a poco perde i suoi sorrisi e le sue speranze, o come Jerry o come il silenzioso Joe, ognuno può trovare pezzi della propria storia nella narrazione. E questo, insieme agli attori che si mettono completamente a nudo per la storia e all’occhio di un Dano che è allo stesso tempo talento naturale e professionista certosino, riesce a dare vita ad un drama mozzafiato.