Ci sono interviste… E interviste.
E quella con Katherine Waterston è una di quelle che non si dimenticano.
Abbiamo incontrato Katherine a Venezia, durante la Mostra del Cinema, dove ha portato il film “The World to Come”, con Vanessa Kirby e la regista Mona Fastvold, nel quale interpreta Abigail, una donna del 1800 che vive con il dolore della perdita di sua figlia e che scopre di nuovo la vita grazie all’amore di un’altra donna, Tallie.
Dopo aver visto il film avevo molte domande da farle: le parole del suo personaggio Abigail, con la sua voce e il suo sguardo, avevano un’intensità che non spesso ci capita di osservare. Un’intensità che ti lascia un po’ con il fiato sospeso mentre guardi il film e che ti porta a provare un’empatia quasi unica nei confronti del personaggio. Silenzi, espressioni, dialoghi perfetti ma soprattutto parole non dette: tutto è cadenzato dalla sua voce e, ancora una volta, dall’intensità con cui Katherine riesce a farti provare quelle emozioni, quasi con un pizzico di dolore. Ma del quale sei grata, perché riesce a farti capire la vera essenza del film e di quella donna che interpreta, facendo collocare sentimenti ed emozioni dentro di te.
Intensità è la parola per descrivere anche Katherine, una donna che vuole creare davvero qualcosa di speciale con il suo lavoro, vivendo nel momento e cercando sempre quella piccola connessione con il mondo.
Katherine è divertente, profonda e unica.
Katherine è la nostra Cover Story e speriamo con lei di aver fermato una piccola diapositiva nel tempo, tra sabbia e mare, della quale non ci dimenticheremo.
Prima di tutto, ho amato il film. Credo davvero tu sia stata fantastica in ogni momento. Quando hai letto per la prima volta il libro o la sceneggiatura, quale è stato il tuo primo pensiero su Abigail?
Quando ho iniziato a leggere la prima pagina, c’era prima una breve descrizione e poi la sua battuta iniziale, un voiceover. Non si vede nel film, ma la prima battuta era: “Di notte, mi domando spesso se coloro che mi hanno conosciuta bene mi considerassero una collina parlante la cui visuale non ripaga la salita”, il che significa: “Mi domando, se deludo le persone, lo sforzo necessario per conoscermi, ne vale la pena?”. Quindi questa donna di notte, mentre è sdraiata a letto, non si domanda: “Cosa ho ottenuto dalla vita?” ma “Cosa le ho offerto? Ho dato qualcosa di valore a qualcuno?”.
Quando ne parlo mi vengono i brividi perché mi ha colpito molto. È un pensiero così specifico e così devastante! Questa persona è così piena di fame e desiderio di muoversi dentro e fuori dal mondo, di essere stimolata, istruita, di avere uno scopo. Tutte cose che la maggior parte delle persone desiderano per sé stessi in un certo senso, ma niente di tutto ciò è alla sua portata e lei non pensa: “Povera me!”, ma: “Poveri quelli che mi conoscono!”. Quando ho letto questa cosa, non ero nemmeno ad un terzo della pagina, ho capito che avrei voluto fare questo film.
L’interazione tra Abigail e Tallis sembra quasi una danza. Si cercano e, allo stesso tempo, stanno entrambe scoprendo qualcosa di nuovo. Come è stato eseguire questa coreografia con Vanessa [Kirby]?
Penso spesso alla recitazione come se fosse un match di tennis: dovresti tenere la palla in aria, beh se non se stai cercando di vincere il match, ma il concetto è questo, si prende la forza e la potenza che una persona ti dà e si tenta di restituirla, mantenendo vivo e attivo questo scambio. Vanessa è una persona che riesce a fare questo. Tutti i momenti felici in cui ho recitato sembravano una danza in qualche modo: ci si deve muovere insieme, rispondere l’uno all’altro, e sicuramente è quel che è successo con lei. Riguardo quello che stavamo cercando di ottenere attraverso questa storia particolare, si tratta di due persone che stanno tentando di comunicare tra loro, ma che non hanno necessariamente tutti gli strumenti che vorrebbero avere o un modo per capire quello che stanno provando.
Poi c’è anche questo tremendo rischio nell’esprimere quei sentimenti, quello che attraversa chiunque quando non sa se il sentimento sarà ricambiato, ma in questa situazione ci sono dei paletti leggermente più alti, perché nessuna delle due ha mai espresso un sentimento simile per un’altra donna. Quindi c’è della paura, ma penso che, più che paura, sia semplice scoperta, e penso che questo aspetto del copione sia così bello, non sanno sempre cosa dirsi, proprio come nella vita reale!
“Quando ne parlo mi vengono i brividi perché mi ha colpito molto”.
È vero, è così reale e umano! Abbiamo sentito subito una connessione…
…Ottimo! Non si sa mai, è meraviglioso sentire che ciò per cui abbiamo lottato duramente abbia dato i suoi frutti, anche solo in una certa misura; ce l’abbiamo fatta perché le persone stanno rispondendo e sentono di potersi relazionare con questi momenti in cui non sempre si capisce quello che si prova, non sempre si sa cosa dire. O meglio, sai cosa dire ma non lo dici, e tutte quelle altre complessità tipiche di quando ci si innamora.
Nello specifico, quando dici: “Sono diventata il mio dolore”, pensiamo che sia una frase molto potente. Molte persone che hanno vissuto il trauma di perdere un bambino ci si possono identificare. Pensi che questo film potrebbe aprire un dibattito sulla depressione, o essere più aperti a riguardo?
Sì! Girare questo film è stata un’esperienza molto interessante, perché abbiamo girato seguendo le stagioni: abbiamo fatto una prima sessione estiva, poi abbiamo avuto una piccola pausa perché dovevamo aspettare l’inverno, quindi abbiamo girato la sessione invernale. Stranamente, allo stesso tempo stavo girando uno show televisivo che richiedeva una sessione estiva e una sessione invernale.
Stavo girando questo show televisivo con Jude Law nel quale il suo personaggio ha perso suo figlio, e così stavo recitando tra questi due mondi che avevano dei temi paralleli e, mentre in uno sono un genitore che può solo immaginare quello che il suo amico ha passato, nell’altro ci sono completamente dentro, provando quel dolore. È stato uno strano esercizio muovermi da un ruolo dove ho potuto incarnare pienamente questo dolore a un altro in cui non riuscivo a comprenderlo fino in fondo. Come risultato dell’interpretare entrambi quei ruoli allo stesso tempo, ho sentito un sentimento di profonda empatia per le persone che hanno vissuto queste orribili tragedie nella loro vita; oltretutto, quando ho iniziato questo lavoro mio figlio aveva cinque mesi, è un sentimento che mi ha toccata da vicino.
Quando hai un figlio, diventa il tuo tutto, ma come si fa a dare un senso alla tua vita quando quel che è “tutto” non è più con te?
Senza questo bambino non c’è nient’altro, e come si fa a trovare un significato, o uno scopo, o una gioia nella tua vita senza quella cosa che ti ha completamente riempito, quella persona che è diventata tutto per te? Ovviamente, era uno stato psicologico incredibilmente doloroso da mantenere. Il copione mi era stato inviato proprio quando sono rimasta incinta, quindi durante tutta la mia gravidanza e nei primi mesi di vita di mio figlio ho vissuto con l’idea di perdere un bambino. È stato un momento molto pesante per me, vivere questa gioia e, allo stesso tempo, avere nel mio subconscio la consapevolezza di ciò che potrebbe succedere.
Parli del perdere una figlia, ma penso che quel che sei riuscita a fare sia stato dimostrare un dolore universale.
Grazie. Questo è il motivo per cui gli attori vanno nel panico quando ottengono dei lavori simili, perché cerchiamo di rappresentare questi orrori universali. Se cammini per strada, tutti hanno perso qualcuno, ed è qualcosa che mi colpisce nel profondo mentre invecchio, ossia considerare che tutti, anche la persona che ti urla contro perché non gli piace il modo in cui hai parcheggiato, se ne vanno in giro con questo dolore e lo gestiscono in modi diversi, lo affrontano in modi diversi. Questo è parte del motivo per cui raccontiamo queste storie, perché pensiamo che raccontare queste stories sia importante, è perchè ci unisce e ci ricorde di muoverci un po’ più gentilmente nel mondo perchè le persone stanno soffrendo. Sentiamo la responsabilità di farlo per bene.
“…ci unisce e ci ricorde di muoverci un po’ più gentilmente nel mondo perchè le persone stanno soffrendo”.
Il film parla anche di reprimere i sentimenti e Abigail cerca di farlo tutto il tempo, ma possiamo comunque percepire tutte le emozioni, ed è fantastico. Come sei riuscita ad esprimere questo contrasto?
Mi piace lavorare in modo tale da sentirmi libera durante le scene, cerco di liberarmi dall’idea di dove stiamo andando a parare: ovviamente ho le linee guida e la sceneggiatura, ma non voglio tentare di prevedere quello che non è ancora successo, quindi cerco di imparare tutto e poi di dimenticare tutto. È così che mi piace lavorare. Con questo progetto, ho sentito di dover essere particolarmente esigente nel calibrare la mia performance a causa del voiceover, che rivela molto sul personaggio.
Si doveva vedere un contrasto nella performance: il modo in cui si al mondo e il suo mondo interiore, quello spazio tra questi due mondi. Ero pienamente consapevole dei momenti della mia performance nei quali ho scelto di rivelare qualcosa a livello emotivo. È un grosso problema per Abigail, perché è abbastanza in trappola, abbastanza chiusa, timida, quindi sono stata molto attenta a questo aspetto, ho pensato: ”Ok, se devo mostrare qualcosa, lo farò per una buona ragione”, come quando Tally stupisce Abigail all’inizio perché le dice che risponde a suo marito, e Abigail non riesce nemmeno a immaginare di fare lo stesso; volevo dimostrare che questa persona si comporta in un modo che Abigail non ha mai visto prima, quindi volevo reagire, ma ero nervosa, mi sono chiesta: “Dovrei reagire, o sarebbe troppo? Dovrei tenermelo per il voiceover?” Ma stavo anche pensando che Tally deve capire che quello è un posto dove può tornare, quindi ci doveva essere un po’ di reciprocità, in modo tale che l’amicizia potesse crescere.
In alcune scene si ha la sensazione di osservare un dipinto. Se potessi dipingere o fotografare un momento del film, quale sarebbe?
Abbiamo svolto diversi lavori agricoli mentre giravano il film e Mona [Fastvold] ha trovato le giuste immagini da inserire poi nel film, tutto quel lavoro compare nel film per mostrare al pubblico che la vita di quelle persone è bloccata, che non cambierà mai, che hanno una certa quantità di lavoro da fare oggi e avranno la stessa quantità da svolgere domani. Per dare quella sensazione lavoriamo continuamente nella nostra fattoria, siamo sempre molto impegnati. Abbiamo girato molte scene all’alba, durante le quali lavoravamo nei campi mentre il sole sorgeva, o addirittura prima, proprio all’alba. In realtà non si vede nel film, ma c’era una scena in cui getto dei semi a terra e questi catturano la luce, si intravede una parte di quel momento nel film, quindi probabilmente sceglierei quello.
Come è stato lavorare con Mona ed essere diretta da lei? Forse mi sbaglio, ma penso che in ogni esperienza, e grazie alle nuove persone con cui si lavora, si porti sempre “a casa” qualcosa di nuovo. Che cosa hai portato con te dal tuo lavoro con Mona?
Quel che ho amato di Mona è che non ha mai avuto alcuna dimostrazione di ego sul set. C’è questa espressione in inglese: “Trattare qualcuno con i guanti di velluto”, significa che a volte devi preoccuparti dei sentimenti delle persone sul set, nel senso che se non sei d’accordo o metti in discussione qualcosa, allora devi prenderti molta cura di loro. Mona ed io lavoravamo sulle varie scene in modo molto intenso sul set e dopo potresti preoccuparti e chiederti: “Ci siamo fatte del male a vicenda?”.
C’è una sorta di elemento emotivo, ma subito dopo condividevamo queste cene meravigliose, alla fine eravamo due persone che avevano davvero capito che si lavora duramente sul set, ma che questo aspetto rimane solo sul set. Mi è sembrato avesse una facilità naturale nel muoversi tra il tempo libero e il duro lavoro sul set. È qualcosa che non avevo mai visto prima e, se mai dovessi dirigere qualcosa, vorrei lavorare proprio come lei: prima dai tutto e subito dopo ti godi un bel bicchiere di vino, e ti lasci andare.
“…eravamo due persone che avevano davvero capito che si lavora duramente sul set, ma che questo aspetto rimane solo sul set”.
Prima di incontrare Tally, Abigail non riesce a vivere il momento, perché pensa sempre al dolore del passato e alla sua disperazione per il futuro. Quanto pensi che sia importante, sia nella tua vita che a livello creativo, essere presente nel momento?
È la cosa più importante nel mio lavoro, ma è anche difficile. La vita è un fonte di distrazione continua: sul set c’è la troupe in movimento, magari qualcuno starnutisce, o un aereo vola sopra la tua testa, succede sempre qualcosa. È una sorta di esercizio meditativo per tentare di non essere una persona pazza e delirante: vedi che c’è la troupe, non puoi cambiare questo fatto, non puoi “farla sparire”, devi semplicemente accettarlo e non farti distrarre, ed è essenziale per il mio lavoro. Di conseguenza, sul set sono spesso molto tranquilla tra una ripresa e l’altra, non riesco a guardare il telefono o a fare molto altro, non voglio nemmeno parlare con nessuno in tutta onestà, cerco solo di rimanere concentrata.
Alcuni dei momenti più belli nella storia del cinema sono quelli inaspettati e improvvisati che l’attore è stato in grado di sentire. Penso a “Un uomo da marciapiede”, dove Dustin Hoffman viene quasi investito da un taxi mentre sta attraversando la strada, ed è un vero taxi! Forse l’AP (Assistant Producer) che avrebbe dovuto tenere a bada il traffico non è riuscito a fermare quell’auto, quindi Dustin Hoffman non si aspettava quel taxi. Ho letto che, in quel momento, Dustin ha pensato tra sé e sé: “Stiamo cercando di fare un film, qui!”, ma è rimasto presente nel momento, nel suo personaggio, e ha tradotto il pensiero di Dustin Hoffman in quello di “Ratso” Rizzo, che era: “Ehi, sto camminando!”, ed è una delle frasi iconiche del film, dopo la quale colpisce il cofano dell’auto, è una reazione molto da newyorkese. È questo che vogliamo, è come catturare un fulmine in una bottiglia, è un momento della vita reale che filtri attraverso la lente del personaggio nel mondo che stai cercando di creare.
Questo è quello che speriamo di fare ogni giorno sul set e che probabilmente faremo quattro volte nell’arco di tutta la nostra carriera, è difficile. Per me, ciò che mi fa volere di più, è cercare di cogliere quei momenti, durante i quali la vita si manifesta. Penso che quando ci siamo baciate per la prima volta in questo film per me sia stato uno di quei momenti in cui mi sono sentita completamente libera, ma anche molto ancorata al mondo che stavamo cercando di creare, è una sensazione incredibile ed è molto rara per me.
Penso che, in quanto attrice, quando reciti in un nuovo film impari qualcosa di nuovo su te stessa. Cosa hai scoperto di te stessa?
Questo film mi ha fatto riflettere su come vivo la mia vita e su quanto do e rivelo agli altri, penso che ti porti a chiederti: “Quello che dai, è abbastanza?” E “Quanta responsabilità mi sto assumendo della mia stessa vita?”. Che grande rischio è piantare i piedi per terra e dire: “Questo è quello che sono” ed esserlo, essere te stessa.
Abigail, anche se è molto repressa, è in realtà sorprendentemente sicura di chi è; per una donna del suo periodo, ha una forte consapevolezza di ciò di cui ha bisogno, e non mette in discussione tali esigenze. Per esempio, la sua educazione è un’ancora di salvezza, sa che ne ha bisogno, ne riconosce il valore, non pensa: “Mi chiedo se sia frivolo il fatto che mi piaccia educare me stessa, mi chiedo se dovrei semplicemente essere una contadina”, ha i suoi desideri e non li mette in discussione e questo mi ha ispirata parecchio.
Questo film, forse più di tutto, ci ricorda che il nostro futuro è incerto, e il periodo che abbiamo attraversato quest’anno ce lo ha confermato ulteriormente. Non abbiamo modo di prevedere la durata della nostra vita quindi, per coloro che amiamo e a cui teniamo profondamente, l’oggi conta molto, perché non sappiamo dove saremo domani. Penso che questo film sia sorprendente in questo senso: le persone che ami sanno che sono amate? Basti pensare alla prima battuta che ho menzionato all’inizio dell’intervista:
“Stai dando quello che puoi al mondo?”.
“Che grande rischio è piantare i piedi per terra e dire: ‘Questo è quello che sono’ ed esserlo”.
Photos and Video by Johnny Carrano.
Makeup by Alexis Day.
Hair by Paolo Ferreira.
Dress and Shoes by Emilia Wickstead.