Per me, il triennio delle medie (dal 2007 al 2009, specifico) è stato un incubo sotto molteplici aspetti. Per intenderci, ero talmente sfigata che non avrei potuto far parte neanche delle Las Populares de Il Mondo Di Patty, eppure sognavo di essere Antonella delle Las Divinas (a distanza di 20 anni, so ancora il balletto di “Gasolina” a memoria). Penso a quanto desideravo essere come i “fighi” della scuola, che diventare popolare sarebbe stata la mia massima aspirazione nella vita… Oggi, con tanti anni e tante sedute di psicoterapia alle spalle, vorrei abbracciare la me di 11 anni e dirle di tenere duro perchè quelle “aspirazioni” sono vuote e non serviranno assolutamente a nulla per il futuro. Anzi, è andata meglio così. Con l’occasione, vorrei anche darle una pacca sulla spalla di incoraggiamento, perchè la moda di quegli anni non risparmiava nessuno: figo, sfigato, outsider… Nessuno si è salvato, tanto che se adesso ripenso a come ci vestivamo da adolescenti nei primi anni 2000, non posso che domandarmi: “Ma perchè ci volevamo così male?”.
Quando ero in quinta superiore e vedevo quelle di prima, notavo già che c’era stato, anche se a distanza di pochi anni, un cambiamento nel modo in cui le nuove generazioni approcciano la moda, cambiamento confermato tutt’oggi da quel che vedo sui social. C’è una maggiore consapevolezza, un desiderio di essere sì comfortable, ma comunque sapendo cosa ci valorizza, quali sono le cose da evitare e quali invece le tendenze che meritano di essere seguite. Sicuramente i social hanno contribuito a creare una moda più democratica (anche grazie a fenomeni come Vinted) che permette di scoprire la propria individualità e stile, sempre sperimentando certo, ma con uno sguardo più conscio rispetto a noi adolescenti dei primi anni 2000 che pensavamo che mettere un abito sopra ad un paio di jeans fosse un’idea geniale.
Si può quasi dire che siamo stati una generazione sperimentale, che i nostri “errori” sono serviti alla formazione di quella consapevolezza che i nuovi adolescenti dimostrano in maggior misura. Non che non ci siano casi eclettici anche ora, ma la concentrazione del gusto dell’orrido ai nostri tempi è stata davvero notevole. Perchè veramente la maggior parte di noi andava in giro conciati in quel modo in quegli anni: complice l’inizio della globalizzazione, l’ascesa del fast fashion e fenomeni come Disney Channel, che dall’America sconvolgeva il mondo intero a ritmo delle canzoni di High School Musical e grazie ad icone come Hannah Montana, Lizzy McGuire e il cast di Camp Rock, sfido a trovare un adolescente di quegli anni che possa affermare con assoluta sincerità: “Io non ero così”. E quel che è “peggio”, è che noi volevamo disperatamente vestirci così. Abbiamo implorato i nostri genitori di comprarci certe cose per essere parte della massa a livello di vestiario. Chissà quante risate si sono fatte le mamme alle nostre spalle pensando a quanto ci saremmo pentiti di certe scelte che non possiamo dimenticare neanche volendo, perchè sono o immortalate nelle foto gelosamente custodite dalla famiglia o, peggio ancora, hanno solcato i mari di internet grazie a fenomeni come MSN e Netlog, diventando quindi scolpite nella pietra. Ricordiamoci infatti che, in questa smania di uguaglianza, scattare centinaia di foto con i Motorola o flip phone dei propri look per condividerli sui primi social, intasando Facebook con album dai titoli imbarazzanti come “Giornata Paxxa al Parko Kn La Bff <3”, era la prassi.
Insomma, se si potesse aggiungere un capitolo al libro “Storia della Bruttezza” di Umberto Eco, sarebbe sicuramente dedicato alla moda anni 2000. Giusto per rigirare il coltello nella piaga ed essere sicuri che nessuno ripeta gli errori del passato, facciamo un “bel” walk down the memory line per irrobustire la nostra self-confidence attuale e sorridere dei noi adolescenti del passato insieme alle nostre mamme. Anche, e soprattutto, per ricordarci che possiamo usciremo migliori. Almeno, questa è la speranza, stilisticamente parlando (e non solo).
CALZATURE
Partiamo dal “basso” del look che forse, e sottolineo forse, era la parte messa meglio. Noi avremmo voluto le calzature fashion come quelle delle cantanti, e invece ci ritrovavamo davanti ai cancelli di scuola come pedoni di un’immensa scacchiera. Non lo dico a caso, perchè le slip-on a scacchi della Vans erano ai piedi di chiunque, maschi e femmine indistintamente. In inverno, qualcuno azzardava gli UGG alti (che sarebbero poi esplosi come tendenza qualche anno dopo), ma la norma in generale era: comodità assoluta. Proprio per questo, le scarpe da ginnastica regnavano indiscusse anche al di fuori dell’ora di motoria: le già citate Vans, le Nike Air Max Silver, le Converse… E, parlando di All-Star, chi aveva la fortuna di conoscere qualcuno in America o di andare in America personalmente, lasciava tutti a bocca aperta sfoggiando le All-Star alte fino al ginocchio, come Antonella delle Las Divinas, per rimarcare la propria superiorità sociale. Una fortunata ragazza le aveva nella mia scuola ed io, a distanza di 20 anni, ammetto senza vergogna di bramarle ancora come cimelio storico. Sempre per rimanere nel tema “comodità”, l’altra scarpa che amavo alla follia e che sto considerando di ricomprare era la Kawasaki: le monocromo erano lo standard, ma si vedevano anche quelle a fumetto o con i fogli di giornale che erano bellissime, su questo non accetto critiche. Altro modello in voga era quello delle scarpe grosse, “a carro armato” come le chiama mia mamma, quelle da SK8 che Avril Lavigne sfoggiava in ogni video musicale e che hanno portato alla consacrazione, ad esempio, delle Etnies. Ok, forse ritiro l’affermazione di inizio paragrafo. Anche se, il peggio è in arrivo…
ACCESSORI
Oggigiorno sappiamo che il minimalismo è la chiave della raffinatezza anche quando si tratta di gioielli: ne è una testimonianza, ad esempio, la tendenza dello stile Old Money. A quei tempi invece, più accessori si avevano addosso, meglio era. Non bastava avere gli zaini (Eastpack) carichi di libri e quaderni: no, noi dovevamo portarci appresso anche il peso delle aspettative sociali e riempirci di accessori appunto per sperare di essere cool abbastanza. Largo quindi alle regine indiscusse di questo settore a quei tempi: le borchie. Sulle cinture, sugli zaini, sulle scarpe… Una vera e propria infestazione di borchie argentate e colorate per sembrare dei ganzi. Aggiungiamo poi le cinture con le fibbie a forma di personaggi animati: io, come molte ragazze, avevo quella delle Supercicche, ma anche qui largo alle possibilità. E ancora, forcine, cravatte (usate randomicamente), bracciali, collane, scalda muscolo con stampe e colori bizzarri, orecchini fluo e chuncky che non azzeccavano nulla con l’outfit e la diffusissima collana con la targhetta militare per i ragazzi e quella con il proprio nome scritto in corsivo per le ragazze. E vogliamo parlare dei choker, o ancora meglio, dell’invasione di teschi e di dettagli a tema Hello Kitty? Chi più ne aveva, più ne mettava! Non possiamo poi non menzionare gli amatissimi occhiali da sole (anche qui, che problemi avevamo con i colori fluo?!) modello Aviator della Ray-ban o a mascherina che, abbinati ad un cappello fedora o newsboy ci davano automaticamente il pass per essere ammessi a Camp Rock. Ma, ehi, we rocked!
ABBIGLIAMENTO
Il gran finale, il tasto dolente, ma anche il vero protagonista di questo articolo: il look, che prevedeva rigorosamente pantaloni aderenti a vita super bassa per mostrare il logo degli slip: una pratica aberrante. Come abbiamo potuto permettere che diventasse la norma? Promemoria per tutti con l’occasione: impedire alla vita bassa di tornare alla ribalta; Miu Miu ci sta provando, ma il fronte della moda deve essere compatto sul “no”. Smarcato il punto più orrido della lista, da qui è tutta in discesa. Più o meno. Perchè l’altra grande domanda, oltre a quella inerente ai colori fluo, è: che problemi avevamo con le stampe bold e il mix and match di pattern che non c’entrano assolutamente nulla tra loro? Dai leggine galaxy alle magliette a righe, dal tartan colorato che ha invaso camicie e pantaloncini passando per il total denim (grazie Britney Spears e Justin Timberlake)… Seriamente, cosa cercavamo di esprimere? Anche Hollywood da questo punto di vista, cosa stava passando per far sfilare le loro giovani star sui red carpet con questa moltitudine di pattern e la già citata, agghiacciante trovata di far indossare dei vestiti corti sopra ai pantaloni?! Per non parlare dei nomi dei brand presenti sul retro dei jeans con font decisamente appariscenti o delle tute in ciniglia che stanno veramente bene solo a pochi selezionati. Altro che Taylor Swift poi nell’aver sfoggiato i cardigan sempre e comunque, e sempre e comunque in look senza senso. Ma vogliamo chiudere “in bellezza” ricordando i tempi d’oro di nomi come Hollister, Abercrombie, Subdued e Victoria’s Secret, con le loro file fuori dagli store, complici nell’aver portato alla ribalta standard di bellezza irrealistici che non hanno sicuramente aiutato la formazione dell’autostima nella nostra generazione; per fortuna, hanno perso il loro appeal nel tempo. Infine, per davvero questa volta, un minuto di silenzio per quei brand di cui non si sente più parlare come A-Style, Playboy, Monella Vagabonda, Paul Frank, Baci e Abbracci, Angel Devil… Gone, but never forgotten: per fortuna o sfortuna, a voi il giudizio finale.
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