Catturare immagini è un’arte sottile, nonché uno degli stratagemmi più efficaci per comprendere la vita in tutte le sue manifestazioni e conservarne gli attimi in archivi potenzialmente sempiterni. Il bello della fotografia è che dura per sempre. Le istantanee offrono la possibilità di guardare le cose, le persone e la vita in generale da una nuova prospettiva, mettendone in risalto dettagli che magari prima non avevi mai notato, donando vita eterna a eventi, congiunzioni, momenti, sentimenti di cui sei testimone nel corso della tua esistenza.
A distanza di anni dalla sua invenzione, la fotografia si è, prevedibilmente, evoluta e ha imboccato percorsi nuovi e sofisticati, acquisendo altri significati e poteri, e assumendo nuove forme. La “fotografia cinematografica” è esattamente questo: l’evoluzione della fotografia e il suo ingresso nel mondo del cinema, l’arte di catturare immagini e trasformarle in film o, in altre parole, in immagine cinematografica. I direttori della fotografia sono tra gli artisti più visionari che esistono, il cui ruolo è quello di “non distogliere lo sguardo”, citando Akira Kurosawa: loro non si limitano a guardare, poiché osservano, catturano, controllando luci e lenti della cinepresa, ciò che i loro occhi esperti ritengono degno di essere immortalato, e ne fanno le fondamenta di un film. In molti casi, a rendere un film visivamente godibile è la maggiore o minore sensibilità del suo direttore della fotografia, il che giustifica la vitalità del ruolo che la fotografia ricopre nel determinare il successo e l’apprezzamento critico di un film. Più affascinanti, oneste e uniche sono le inquadrature e i fotogrammi che costituiscono un film, maggiore sarà il suo appeal e più ampio sarà il pubblico di esperti e amatori che lo apprezzeranno.
Siete a corto di esempi validi di ciò di cui abbiamo parlato finora? Recuperate con la nostra selezione di dieci film del 21esimo secolo con la migliore fotografia!
“Il favoloso mondo di Amélie” (2001)
Fotografia di: Bruno Delbonnel
L’incantevole favola diretta da Jean-Pierre Jeunet, al secondo posto nella lista de “I 100 migliori film del cinema internazionale” di Empire, è una piccola produzione francese che racconta la storia di una ragazza “fuori dal comune” e il suo percorso verso la scoperta di una personalissima idea di felicità. Il film, per l’appunto, parla proprio della felicità in sé, del suo significato secondo Amélie (Audrey Tautou) e tanti altri uomini e donne al mondo a conti fatti, il tutto rappresentandone l’essenza attraverso immagini quasi tangibili e colori vividi. Quando la 22enne Amélie, senza madre e con un padre anaffettivo, cameriera in un locale a Montmartre, incontra Nino (Mathieu Kassovitz), impiegato di un sexy shop, intuisce presto che la felicità può derivare anche solo dal semplice atto di amare ed essere amati amando gli altri o, almeno, questo vale per gli esseri umani che condividono con Amélie una grande sensibilità e immaginazione.
“Closer” (2004)
Fotografia di: Stephen Goldblatt
Tratto dall’opera teatrale di successo di Patrick Marber, questa versione per il grande schermo diretta da Mike Nichols rende “fotografia cinemafografica” una storia di relazioni romantiche e cinismo intrinseco. Tra scorci di strade, gallerie d’arte, appartamenti di Londra e ambigui night club illuminati da luci al neon, le vite di due donne e due uomini si incastrano per opera del fato: Alice (Natalie Portman) e Dan (Jude Law) si incontrano per puro caso innamorandosi all’istante, ma quando Dan incontra Anna (Julia Roberts), le certezze di tutti quanti sembrano crollare; la situazione si complica quando Dan incontra Larry (Clive Owen) su una chat di incontri e finisce per organizzargli involontariamente un incontro con Anna. Quattro incontri accidentali conducono ad una sequenza contorta di relazioni accomunate da un’egoista e disillusa concezione dell’amore.
“Revolutionary Road” (2008)
Fotografia di: Roger Deakins
Un’apparentemente perfetta, ma in realtà disfunzionale tipica famiglia Americana degli anni ’50, composta da una moglie soggiogata e insoddisfatta (Kate Winslet) e un marito frustrato e adultero (Leonardo DiCaprio) con due figli, alle prese con la vita domestica e lavorativa. Gli eventi e l’esistenza di questa coppia di sposi, tratti dal romanzo omonimo di Richard Yates, sono filtrati attraverso gli occhi sensibili e il genio narrativo del regista Sam Mendes e del pluripremiato direttore della fotografia Roger Deakins: viaggiando tra salotti ordinati, angoli di uno squallido quartiere del Connecticut e apparentemente rassicuranti sale da ballo e ristoranti, diventiamo testimoni dell’ipocrisia e bigottismo dell’America di quegli anni e della tendenza delle persone a nascondere le verità domestiche più scomode dietro le tende di una serenità recitata, simbolo del naufragio del sogno Americano.
“Il cigno nero” (2010)
Fotografia di: Matthew Libatique
Bipolarismo, disordini alimentari e allucinazioni raccontati e spiegati in maniera inedita: il tutto attraverso la forza evocativa della danza classica e di tutto il mondo che la circonda. Sale da ballo, teatri, dietro le quinte, e sessioni di prove si fanno cornice di una schietta rappresentazione del contrasto tra la vita di Nina (Natalie Portman) a luci accese, e la realtà non detta che sguscia fuori dal buio quando le luci calano, in un’esistenza travagliata, dominata dalla sete di successo e dal potere ingestibile dell’amore e delle pulsioni sessuali. Il plurinominato e pluripremiato thriller diretto da Darren Aronofsky racchiude tutto questo, al ritmo delle musiche di Ciaikovskij e al passo della fotografia nominata all’Oscar del fedele collaboratore di Aronofsky, Matthew Libatique.
“Drive” (2011)
Fotografia di: Newton Thomas Sigel
Tratto dal romanzo omonimo di James Sallis, il dramma d’azione con Ryan Gosling, Carey Mulligan e Oscar Isaacs, diretto da Nicolas Winding Refn è una sequenza dal ritmo incalzante, fluida, mozzafiato di eventi ricchi di colpi di scena, come preannunciato dal contesto di partenza della storia. Gosling è un autista di Los Angeles che lavora nel cinema come stuntman, ma, quando cala la notte, si trasforma in un abile ladro, sfruttando la sua abile guida per infrangere la legge; Mulligan è Irene, moglie del carcerato Standard (Isaacs), entrambi invischiati in un pericoloso giro criminale. Tra relazioni illecite e traffici illegali, le vite dei tre protagonisti finiranno per intrecciarsi in una serie di svolte (reali e metaforiche) enigmatiche e ipnotiche.
“The Tree of Life” (2011)
Fotografia di: Emmanuel Lubezki
Questa storia misteriosa ed ermetica può essere anche definita una profonda riflessione sull’esistenza umana e sul significato dell’universo, trasposta in fotografie cinematografiche estremamente evocative. Il film filosofico diretto da Terrence Malik tratteggia le sue speculazioni sulla vita e sul cosmo sullo sfondo delle vicende di una madre (Jessica Chastain) e di un padre (Brad Pitt) che vivono sulla propria pelle l’esperienza più traumatica e insopportabile che potrebbe toccare ad un genitore: la perdita di un figlio. Il lutto è dipinto come la reazione ad una folgorazione, una sequenza di immagini dolorose e disturbanti, magistralmente combinate dal pluripremiato direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, in un universo di colori e luci ammalianti. In questo modo, i personaggi e le loro vite si fanno contorno dei potenti scenari naturali che quasi costituiscono una propria dimensione parallela.
“Birdman” (2014)
Fotografia di: Emmanuel Lubezki
Questa è la storia di un attore (Michael Keaton) sull’orlo del fallimento, deciso a reinventarsi tentando la messa in scena a Broadway dell’adattamento teatrale di un racconto di Raymond Carver. Il regista Alejandro Gonzales Inarritu unisce le forze con il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki per dare vita ad un unico piano sequenza che combini l’essenza del cinema, del teatro, dell’arte, dell’amore, della morte. Così, le psicosi dell’attore assumono la forma del supereroe che anni prima l’ha reso famoso in tutto il mondo, Birdman, l’uomo-uccello con cui lui dialoga, litiga, si sfoga, mentre noi spettatori ci domandiamo se il protagonista abbia perso la testa causa “sete di successo”, oppure se sia stato il cinema ad alterare la sua realtà e trasformarlo nel supereroe che preferirebbe di gran lunga essere piuttosto che sé stesso.
“Neon Demon” (2016)
Fotografia di: Natasha Braier
Il regista di “Driver”, Nicholas Winding Refn, dirige un film che parla di bellezza, mescolando dramma e horror sullo sfondo del mondo della moda. La storia è incentrata su Jesse (Elle Fanning), una sedicenne che approda a Los Angeles per tentare la carriera da modella, e che presto sperimenta sulla sua pelle l’ambiguità e i rischi delle relazioni umane nel backstage dell’industria della moda. Il gioco a cui Jesse partecipa diventa di scena in scena più pericoloso, mentre noi assistiamo inermi a episodi di gelosia tra colleghi, incontri sessuali inquietanti e servizi fotografici ai limiti della decenza, con un’estetica pop che ricorda le video installazioni degli anni ’70. Il risultato è un thriller seducente, grottesco, colorato al neon, sull’ossessiva ricerca della perfezione.
“Arrival” (2016)
Fotografia di: Bradford Young
Il dramma fantascientifico diretto da Denis Villeneuve segue una linguista (Amy Adams), contattata dalla CIA per aiutarli a decifrare il linguaggio degli alieni approdati in 12 astronavi sulla Terra, e comunicare con loro. Una serie di paesaggi tetri, ambientazioni interne ed esterne cupe, raggruppamenti di scienziati imbacuccati in tutte protettive che li fanno sembrare quasi meno umani degli alieni, diventano un’esposizione metaforica e dimostrativa della difficoltà delle persone a comprendere e comunicare tra loro, e di come ci ritroviamo spaventati di fronte a ciò che non conosciamo e non capiamo. Il film mette in scena “l’altro” e lo rappresenta nella maniera in cui alcuni di noi tendono ad immaginarlo, ossia come portatore di pericolo e morte, in altre parole, un’invasione aliena.
“La favorita” (2018)
Fotografia di: Robbie Ryan
La black comedy in costume diretta da Yorgos Lanthimos è una denuncia in chiave ironica della condizione e dello status quo delle donne nelle corti inglesi del 18esimo secolo. La regina è una cagionevole e lasciva Anna (Olivia Colman), una sovrana profondamente insicura e facilmente influenzabile. Lady Sarah (Rachel Weisz) è la sua manipolatrice numero uno, una doppiogiochista determinata che mescola amore e ambizioni politiche, ma deve contendersi il ruolo di favorita della Regina con la nuova arrivata, Abigail (Emma Stone), un’avida ragazza di campagna, più giovane e di classe sociale inferiore, ma con sete di potere e scalata sociale pari alle sue. Così, assistiamo ai divertenti orrori di una corte abitata da uomini ottusi e donne insaziabili, attraverso le stanza opulenti e gli esterni uggiosi di un Palazzo Reale singolarmente esibito.
#MENZIONIDONORE
“The Master”, fotografia di Mihai Malaimare Jr.
“Hugo Cabret”, fotografia di Robert Richardson
“Skyfall”, fotografia di Roger Deakins
“Lawrence Anyways e il desiderio di una donna…”, fotografia di Yves Bélanger
“The Revenant”, fotografia di Emmanuel Lubezki
“Nomadland”, fotografia di Joshua James Richards