Se vi capita di incontrare Benedetta Bruzziches, e di incontrarla a Caprarola, lo capirete subito: lì c’è qualcosa di magico. È come se il tempo si fosse fermato. Ma non perché la tecnologia non sia presente o perché le persone possano essere definite in qualche modo “antiche”. Anzi.
Lo percepite perché il tempo del rispetto per la Terra, per la gentilezza e la bontà non hanno mai cessato di esistere. Lì si seguono le stagioni, come ci insegna la mamma di Benedetta che dice di non mangiare pomodori a gennaio perché non è “normale”, ce lo dice il fratello Agostino che lavora a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno e ha sempre mille progetti in mente, che dà sempre il meglio, per essere un tuttofare brillante. E ce lo dice Benedetta che parla con così tanto amore della sua terra, delle persone che ci vivono, che ci mostra i luoghi dove disegna, in fronte ad un Lago, oppure quelli dei suoi libri dove impara immergendosi nell’avventura e nell’intensità delle vite dei Santi. Ma l’amore lei lo mette nelle sue creazioni, ed è per lei il modo di esprimere sé stessa e la sua vita. Ma in tutto questo, ciò che ci ha ancora più stupito, è il suo modo di comprendere le donne attraverso le sue creazioni, oltre che riuscire sempre a raccontare una storia unica e personale.
E allora dalle sue borse si respira tutto questo: un pizzico di follia, una collaborazione eccezionale tra persone che si vogliono bene, difficoltà, meraviglia, bellezza, una donna, una mamma dal cuore grande, un team che è una famiglia.
E penso sia proprio questo che ci ha spinto ad andare a Caprarola per due giorni, per conoscere Benedetta, perché, come dice lei, lo percepisci quando c’è qualcosa di speciale. E Benedetta Bruzziches quel qualcosa ce l’ha. Di molto, molto speciale.
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Hai vissuto a Roma, Milano, India…ma poi sei tornata qui a Caprarola. Quanto questo luogo influisce sulle tue creazioni e sulle tue idee?
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Stare a Caprarola è il 50% del lavoro. Innanzitutto, perché non è un luogo, è come un genio con cui io ho una relazione profonda. Gli antichi pensavano che ogni luogo fosse abitato dal genio del luogo che si chiamava Genius Loci, e questo genio poteva decidere di elargire doni e favori a chi lo abitava e a chi riusciva ad entrare in relazione con lui, insomma a chi gli stava simpatico. Io con il genio di Caprarola mi sento proprio un tutt’uno, sento che mi dà tantissimo: la terra dove sono cresciuta, una terra che mi ha sempre dato tanto. Io sono figlia di contadini e questa esperienza, questo rapporto con la terra mi è sempre tornato utile.
In famiglia mi è stato insegnato che c’è una stagione per seminare, una per dissodare la terra, lavorarla, faticare. E poi c’è la stagione in cui puoi raccogliere quello che hai seminato. Ed è così, è così anche in questo lavoro. E poi ci sono quelle annate che vanno male perché arriva la bufera che ti porta via il raccolto. Se non avessi saputo questo, probabilmente mi sarei fermata già tanto tempo fa. Caprarola mi dà tanto come terra ed è anche il luogo in cui mi sento a casa, il luogo della famiglia.
Infatti, le mie borse vengono fatte in casa, ci tengo che questo si sappia. Queste borse vengono fatte in casa con la bellezza e la cura di tute le cose che vengono fatte in casa, come la marmellata. Le mie borse “fatte in casa” assorbono proprio tutta quell’energia e quella cura delle cose fatte bene.
Caprarola però mi dà tanto anche per un altro motivo: per me è una famiglia allargata da cui io mi sento accolta e spronata. Il paese ti cura. Anche la relazione che hai con la morte qui è diversa, come le persone che piano piano se ne vanno, ti lasciano qualcosa, tanto. Questa vicinanza con la morte ti fa stare ancora di più dentro la vita. Questo paese ti mette davanti alle relazioni vere della vita e quindi anche a quella con la morte. E qua c’è tutto un altro ritmo. Ed è come se questo ritmo prezioso potesse entrare anche dentro alle cose che facciamo.
Il Paese
ti cura.
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Artigianato, innovazione e sostenibilità. Come si muovono questi tre valori nel tuo Brand?
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C’è tanta innovazione in quello che facciamo e c’è il bisogno di rendere l’artigianato qualcosa di innovativo. Artigianalità e sostenibilità sono due parole che per me vanno a pari passo perché essere artigiani significa conoscere il valore delle cose fatte con le mani e quindi essere in armonia e questo è sostenibile. Voglio che le persone che lavorano all’interno del mio laboratorio e della mia azienda siano felici, che stiano bene. Per me è una cosa importantissima, sostenibile vuol dire che quando lo fai, ti fa stare bene.
Sostenibilità non è solo riferito ai materiali, quella è solo la scorza, la superficie. Sostenibile è il lavoro artigiano, quello che ti riporta ai tempi dell’umano, dell’uomo. Quello che ti fa star bene. In particolar modo noi abbiamo fatto un’esperienza di quello che significa sostenibilità. Siamo abituati a pensare al processo produttivo come ad un mondo in cui si produce e basta: produrre, produrre e produrre. Ma ha senso fino ad un certo punto.
Quindi ti voglio raccontare la nostra esperienza con Manù. È una cosa molto delicata da dire, di cui non parlo spesso, cerco sempre di far parlare la situazione da sola. Manù è la mia assistente down che è tutt’altro che down, è totalmente up.
..sostenibile vuol dire che quando lo fai, ti fa stare bene.
Questo è artigianato sostenibile: un artigiano in cui c’è spazio per tutti, in cui ognuno di noi, con le sue particolarità, talenti e doni riesce a trovare il suo spazio. Manù nella mia azienda è fondamentale allo stesso modo in cui è fondamentale Simona che si occupa di tutta quanta la ricerca dei materiali e dei contatti con i fornitori, così come lo è Massimo che si occupa di tutte le lavorazioni artigianali. Di quanto è importante mio fratello Agostino che si occupa di tutto il resto. Questo è il nostro grandissimo lusso: noi ci possiamo permettere che qualcuno nella nostra azienda si occupi di noi, dell’armonia, del benessere e dell’entusiasmo. È qualcosa che guarda all’uomo come a qualcosa di meraviglioso in cui la cosa più importante non è il prodotto ma quanto ciò che stai facendo può tirare fuori i tuoi talenti. Questa è la sostenibilità dell’artigianato.
Queste cose non le sa nessuno però, non le sbandieriamo. Un’altra cosa che facciamo sempre prima di spedire le borse e di far venire qui il parroco e farle benedire (ride) ma non lo sa nessuno!! Ma io so che quelle sono borse benedette, e in qualche modo questo si sente, ne sono convinta. E la conferma mi arriva da tante donne che mi dicono di riconoscerne il valore. Vale la pena secondo me risparmiare per avere una borsa come la mia o come quella che fanno tanti altri, che sia piena di valori.
La borsa è solo una borsa ma qui dentro c’è tanto altro.
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“Ariel: una borsa deve custodire un intero mondo”. Qual è il tuo mondo dentro Ariel?
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Allora, tu devi sapere che mie collezioni sono sempre nate da qualcosa che mi è succede. È un processo così complesso e così duro che poi comincia a far parte della tua vita. Così ho cominciato a fare le borse per scandagliare dentro di me quello che mi stava succedendo.
In particolare, Ariel è nata in un momento in cui ho iniziato a fare un corso sui “10 Comandamenti” e questo percorso è stata una delle cose più rivoluzionarie a cui io abbia mai assistito. Ovviamente mi ha aperto tante porte. La mia fantasia ha subito uno scatto, e Ariel rappresenta una bolla d’ossigeno, di quelle che si creano negli abissi marini per arrivare fino all’etere.
Per cui parla del percorso di questa bolla delicatissima che arriva fino all’aria e quello che per me rappresenta è la borsa della Regina del Mare e soprattutto tu, quando la vedi, non capisci di cosa si tratta: non capisci nemmeno che si tratta di una borsa. La vedi e una parte dentro di te, una parte profonda che c’è in ogni donna, la Regina che ci abita, la riconosce e dice: “Quella è una cosa bella per me!”.
Una donna che vede Ariel è una donna la quale Regina interiore esplode, esce fuori. La domina. È una borsa che quando ce l’hai in mano ti obbliga come ad un certo tipo di portamento. La bellezza non è una questione di connotati, non è una questione di chili. La bellezza è una scelta. Chi se la mette la sceglie per risvegliarsi, per ricordarsi di essere bellissima.
È potente questa cosa, per me è una grande soddisfazione. Anche in un contesto in cui siamo tutti vittime del consumismo, quando vedi una cosa bella, la riconosci. La moda ci deve tirar fuori il meglio, e noi creativi dobbiamo essere in grado di fare questo.
La bellezza non è una questione di connotati, non è una questione di chili. La bellezza è una scelta.
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Penso che ci sia anche una linea sottile tra le tue borse e l’arte. Sei stata influenzata da una corrente artistica in particolare o dalla letteratura?
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Io adoro viaggiare e quindi adoro leggere. Adoro le vite dei Santi, degli artisti e quello ha influito tanto il mio lavoro. Come ad esempio il libro “Storia di un’anima” di Santa Teresa di Lisieux. Abbiamo tutti voglia di fare qualcosa che vada al di là del tempo, che sia carica di significato. Dire che il mio lavoro sia legato all’arte è una cosa che percepisci tu (ride). Se la percepisci, però, allora è vera.
Io vivo questo lavoro come una vocazione: ad un certo punto della mia vita mi sono trovata dentro quest’avventura e non penso che sia stato un caso, non è mai un caso. È un’avventura in cui cerco ora di crescere dentro. Perché poi alla fine, come in tutte le relazioni della vita, o le subisci oppure le vivi e le utilizzi per goderti la gioia del percorso. Quindi con tutte le difficoltà che questo lavoro si porta appresso, diventa proprio il tuo pellegrinaggio, la tua crescita.
Io racconto il mio cammino personale di donna attraverso le collezioni.
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Riguardo invece l’ultima collezione? Quali sono le ispirazioni e i materiali?
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L’ultima collezione è una collezione sull’intimità femminile, un lavoro sulla Venere che ci abita. Qui è stato interessante andare a vedere come tanti artisti del passato hanno raccontato la Venere che sta nella donna. Ad esempio, Matisse, a cui mi sono ispirata: mi ha colpito tantissimo il suo modo di vivere la femminilità. Quando lui rappresenta questo intimo venusiano lo fa in due modi: raffigura la donna che dorme, nel mondo dei sogni, quindi totalmente inarrivabile; oppure la raffigura mentre parla con le amiche, quindi in quell’intimità che puoi avere solo con un’amica.
INTIMITÀ
FEMMINILE.
In un’altra parte della collezione ho parlato di un altro aspetto della Venere che abita la donna, con due artiste bravissime che lavorano la porcellana nel loro piccolo laboratorio qui a Caprarola: Anna e Paola Marinuzzi. Con loro abbiamo sviluppato quello che doveva essere il substrato nella quale la Venere del Botticelli ha appoggiato i piedi appena è uscita dall’acqua. E quindi abbiamo realizzato in porcellana di Limoges tutta queste foglie e sassi.
E poi invece abbiamo raccontato la Venere in pelliccia di Roman Polański per cui abbiamo lavorato con la vernice, un altro aspetto della femminilità che invece è quello della seduzione.
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Puoi dirci il nome di una donna del mondo della moda, o anche non, del passato o del presente che ti ispira in particolare?
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Ce ne sono tanti, come faccio a dirtene solo uno! Allora, prima abbiamo citato Santa Teresa di Lisieux. Una donna che sicuramente mi piacerebbe incontrare è Wislawa Szymborska, la poetessa polacca, la penna più tagliente del mondo. C’è poi una donna di cui sto leggendo ora i diari, Etty Hillesum, un’altra donna che sa utilizzare benissimo le parole. Sono molto affascinata dalle donne che sanno raccontare attraverso le parole quelle che sono loro crescite interiori, perché nella vita possiamo fare anche tanti viaggi ma possono rimanere soltanto tali… Lei parla della sua quotidianità ma si tratta di una delle vite più avventurose che abbia mai incontrato, vive le cose con molta intensità.
Stessa cosa per Santa Teresa di Lisieux, quella è stata una delle donne più cazzute, più passionali… Sono state donne che hanno tirato fuori la propria passionalità, che sono state e ancora sono delle rivoluzionarie. Un’altra donna che vorrei incontrare è Lauren Bacall, anche solo per imparare a muovere la testa come faceva lei: sono tanto affascinata da quel tipo di sensualità e come sapevano flirtare, era bellissimo! Poi lei ha avuto quella meravigliosa storia d’amore… (con Humphrey Bogart). Beh, poi Madre Teresa di Calcutta. Queste sono quelle che hanno lasciato un’impronta, che hanno cambiato la vita di veramente troppa gente per passare inosservate: quante donne hanno seguito il sogno di Madre Teresa di Calcutta, ad esempio, e hanno dedicato a lei la vita, a quel tipo di missione?
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Una curiosità: quali sono le cose che Benedetta Bruzziches ha nella borsa, anche i pensieri e gli oggetti che non devono mai mancare?
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Non te li so dire, ma posso dire quelli che mancano sempre invece. Le chiavi, per cui devo sempre scavalcare o arrampicarmi per entrare in casa. Mancano i fazzoletti poi: appezzo tanto le donne che li hanno sempre in borsa perché la trovo una delicatezza rispetto al mondo. Sicuramente ho sempre un diario e una penna, un paio di libri, non per forza ci sono i soldi perché sono davvero una dissociata dal denaro e questa non è una cosa positiva. Dovremmo imparare a portarci sempre dietro il rossetto.
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Adesso ti dico il nome di alcune tue borse e tu mi dici una parola, un aggettivo, una persona che ti viene in mente…
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La Carmen: la borsa dell’affetto, è nata per essere affettuosa. Carmen mi ha consolata quando ne avevo bisogno. Mi ero appena lasciata con il ragazzo ma dovevo per forza disegnare una collezione, quindi l’ho interpretata come un antidoto per superare la fine di una storia d’amore. Carmen era la prima fase della fine di storia d’amore, era la borsa che mi doveva recuperare quando stavo per crollare, quando sei nella fase in cui stai malissimo, in cui sei in piena crisi di pianto: Carmen rappresentava il letto e il divano, l’unico posto che frequento in quella fase, doveva riportarti proprio lì. Quando la tocchi ti accompagna, ti sa essere amica.
La Grande Onda: poesia, la regina anche.
Ariel: l’aria.
Brigitte: da Brigitte Bardot, per cui è irriverente.
Cabaret: dolcezza.
Princess: pure lì è una poesia, anche nel fruscio di vento che c’è sopra.
Smiling moon: Relazione. Perché è la relazione con nostra parte lunare.
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Il sogno per te è una parte importante, anche nelle tue creazioni che citano: “If you can dream it you can become it”.
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In parte è così ma non credo che dipenda tutto da noi. Veniamo messi in un percorso quindi con “If you can dream it you can become it”, ti viene proprio chiesto di ascoltare quella voce che hai dentro e di seguirla: spesso però non è una cosa facile, soprattutto oggi. Se sei un designer che vuole provare a emergere, è complicatissimo, anche se puoi sempre pensare sia possibile. Ti trovi in un percorso in cui devi accettare anche che questo tuo sogno in qualche modo ti scolpisca, e quindi quel sogno diventa un po’ qualcosa che ti cambia molto i connotati.
I sogni sono come le stelle, ti permettono di seguire una via. Se ci pensi, gli uomini nel passato si orientavano attraverso le stelle e quindi le utilizzavi per spostarti nel deserto, ma non sai nel deserto quello che incontri: quella stella ti guida soltanto, tu devi essere abbastanza folle da decidere di attraversare il deserto da solo con tutte quelle che sono le problematiche che potrebbero capitarti. Alla fine le stelle stanno in alto, tu non sai quello che ti aspetta. Uscire dal deserto, quello si che è un altro paio di maniche. Poi ci sono altre stelle, tipo le stelle comete, quelle che dobbiamo essere in grado di riconoscere nella vita perché ognuno ha la sua di stella cometa, ed è un grosso rischio pensare di averla persa.
I sogni sono come le stelle, ti permettono di seguire una via.
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Qual è il sogno di Benedetta?
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Il mio sogno è cambiato tante volte. È un sogno che cambia con me, a seconda delle scelte che faccio. Magari nel passato potevo pensare che il mio sogno fosse costruire una factory a Caprarola e riuscire a dimostrare che comunque ce la puoi fare anche senza quei mezzi che tutti quanti danno per scontato. C’è qualcosa dentro di noi che ci chiede di compiere la nostra vita ma non è qualcosa di per forza legato alla concretezza: ci sono persone che hanno solo i soldi per fare le cose e ci sono persone che invece hanno solo i sogni. A un certo punto ti ritrovi che prima volevi una factory con tante persone che ci lavorano dentro, poi vuoi cambiare il mondo attraverso quello che fai e comunque senti dentro di te l’urgenza di far sentire che ciò che hai dentro parli attraverso le borse, e alla fine ti rendi conto che forse la cosa più importante è che in tutto questo percorso tu ti riesca a prendere quello che ogni momento ti sta dando. Io non ho la velleità di voler diventare una multinazionale, per me la cosa più importante è sapere che sto crescendo come donna nel fare quello che faccio.
Sento di prendere tanto da quello che faccio, dalle persone che incontro, da quello che imparo… e molto più quello che prendo di quello che do. È una domanda che mi mette in crisi: come fai a dire ora qual è il tuo sogno? Adesso mi rendo conto che tutte le modalità in cui mi sono immaginata nel futuro in qualche modo non sono state avverate: ora mi ritrovo qui e momento per momento cerco di vivere al meglio quello che succede. Certe volte si tratta di accettare le cose per quello che sono, stessa cosa con i propri limiti, capire quali sono i compromessi a cui non puoi scendere, anche quello che fai in qualche modo prende una direzione sempre più precisa.
Un altro sogno?…
Airstream Motorhome di quelli prodotti tra gli anni ‘60 e ‘70. Ne ho trovati due in Inghilterra, uno lo rimetto a posto e ci vado a fare il giro dell’Europa! Oppure mi piacerebbe fare la Parigi Daquar o Parigi Pechino. Tutto quello che trovi per strada è materiale che poi puoi utilizzare per tirare fuori il genio: disegni collezioni, entri nelle case, incontri gli artigiani, produci pezzi sul posto…pensa che meraviglia! Per me che sono una creativa zingara, l’idea di fare un viaggio e di creare la collezione in base al viaggio, è proprio il sogno. E poi, e questa è la chicca, invitare persone sul camper e la sera ti fermi ed offri la braciolata a tutti: si deve sapere che Benedetta Bruzziches la sera offre la cena! (ride) Tutti intorno al camper. Un progetto di “moda on the road”.
Per me che sono una creativa zingara, l’idea di fare un viaggio e di creare la collezione in base al viaggio, è proprio il sogno.
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Vorresti aggiungere qualcosa?
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C’è una cosa di cui vorrei parlare. Ricevo veramente tantissimi messaggi di ragazze che vogliono iniziare a fare qualcosa, che hanno le idee: sono persone che vorrebbero fare qualcosa di bello e mi chiedono consigli, io in realtà non so bene cosa dire perché con il mio lavoro so che è veramente difficile. È un discorso delicato da strutturare per fare in modo che questo continui ad essere possibile, che tante altre persone come me e altri che sono da soli si possano lanciare in questo “Bronx”, che possano pensare di prodursi le proprie collezioni e di raccontarle in un posto in cui le piccole cose hanno sempre meno spazio, perché comunque siamo pesci piccoli che vengono mangiati dalle grandi aziende che si prendono tutto il mercato.
Odio chiamare le clienti consumatrici, chi indossa le mie borse sono le mie donne: da una parte infatti c’è tutta una parte di consumatori che sono totalmente condizionati dal marketing massivo delle aziende che troviamo dappertutto e che ci hanno quasi completamente tolto la facoltà di scelta. Il problema è che a monte non ci sono proprio le domande, non sappiamo perché compriamo, c’è qualcosa che ci ha ipnotizzato ma in realtà stiamo veramente scegliendo quella cosa lì? Non lo sappiamo, si tratta del mondo nebuloso del marketing, in cui è buono che ci sia tutta questa confusione perché si crea quella panacea in cui le consumatrici comprano senza alcun tipo di consapevolezza.
Dall’altra parte però c’è un bacino sempre più ampio di donne che hanno voglia di investire quello che è il tempo della loro vita sposando delle cause: non comprando semplicemente dei prodotti, stanno aprendo gli occhi per scoprire cosa c’è dietro a quello che stiamo acquistando. Questo significa dare linfa vitale a quelle piccole realtà che un domani potranno essere la vostra realtà, quella dei vostri figli: tu donna che scegli di acquistare una borsa di Benedetta Bruzziches sai che non stai tanto comprando solamente una borsa, ma che stai sposando la causa di un qualcuno che un domani potrà rappresentare un’opportunità anche per tua figlia, che vorrà intraprendere quel tipo di percorso lì in quello che è il mercato globale in cui siamo vittime del consumismo e del marketing che ci azzera la facoltà di scelta. Ci deve essere sempre qualcuno che vada a cercare quella cosa speciale e il perché viene fatta in un certo modo, perché racconta di una realtà che ancora resiste, che rappresenta la possibilità di sognare per i nostri figli.
Non si tratta solo di un prodotto, è una possibilità di insegnare e di rendere possibile quello che poi è una specie di miracolo, perché noi abbiamo iniziato senza soldi, abbiamo impegnato tutte le risorse e adesso siamo un’azienda che produce secondo me alcune delle borse più belle al mondo: ma non dico perché le faccio io ma perché le facciamo in tanti. E questa cosa è possibile in via del tutto miracolosa, è un sistema che appoggia su quella che è la solidarietà tra persone.
Non si tratta solo di un prodotto, è una possibilità di insegnare e di rendere possibile quello che poi è una specie di miracolo.
Tu oggi mi hai intervistata ad esempio, perché lo hai fatto? Perché hai visto una luce luminosa che ti ha fatto pensare “Ehi, io in questo miracolo ci credo”. Non siamo la multinazionale altissima e irraggiungibile di cui non conosciamo il volto, siamo una di fronte all’altra, è questo che deve tornare a succedere: ci si aiuta ed è una cosa bella. Questa è proprio una cosa importante: donne che ancora potete scegliere quando lo fate, pensateci bene, e pensate alle vostre amiche che magari si sono lanciate in questa avventura, o ai vostri figli che magari un domani vorranno fare una cosa come questa e potranno pensare che è ancora fattibile, perché queste realtà giganti ci stanno mangiando.
Noi piccoli ci dobbiamo aiutare tra di noi e io voglio rimanere piccola, voglio conoscere le persone con cui lavoro, voglio fare quella vendita una volta all’anno in cui le donne parlano direttamente con me; quando c’è il press day voglio parlare in prima persona con le giornaliste, le voglio conoscere tutte.
Voglio stare nella vita anche attraverso questo lavoro.