Dopo sette anni, fa il suo ritorno a Venezia anche Gipi, presentando il suo lato più scanzonato.
Gipi, all’anagrafe Gian Alfonso Pacinotti, è uno dei migliori fumettisti italiani, riconosciuto internazionalmente per il suo lavoro su carta anche con premi prestigiosi come il Premio al Miglior Album al Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême e diventando il primo a ricevere una candidatura al Premio Strega con un romanzo a fumetti. Con Venezia Gipi ha già un passato avendo presentato nel 2011 il suo primo film “L’ultimo terrestre”, e quest’anno è stato selezionato nella sezione Sconfini per il suo “Il ragazzo più felice del mondo”.
Tratto da una storia vera, Gipi racconta sé stesso, la sua ossessione per le storie e come la sua passione travolga le persone a lui vicino. Tutto parte dalla scoperta che la lettera che l’aveva spronato ad andare avanti vent’anni prima era stata scritta da un anonimo fan che si fingeva un quindicenne per collezionare tavole dei suoi fumettisti famosi. Gipi allora decide di scoprire chi sia e di andare con tutti i suoi colleghi a far passare una giornata indimenticabile a questo fantomatico ammiratore.
Il film ha un tono molto comico, per quanto ne escano venature riflessive e intimiste, con un racconto metacinematografico e in fondo un po’ fumettistico con brevi salti temporali e spaziali. L’abbiamo incontrato nel giorno della prima de “Il ragazzo più felice del mondo” per fare due chiacchiere sulla pellicola, sul mondo del fumetto e del suo modo di vedere il mondo.
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Le tue tavole sono spesso cupe, con il tuo acquerello che è sempre magistrale. Nei tuoi film invece, soprattutto questo, hai un tono molto più scanzonato. Qual è la differenza fra “Gipi regista” e “Gipi fumettista”? E come decidi quale media usare per raccontare una storia?
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È la storia a decidere quale media usare. Se la storia nasce nella mia testa come fumetto sarà fumetto, se nasce come qualcosa di video o cinema andrà in quella direzione. In questo caso volevo fare un film scanzonato, allegro, che poi ha anche un risvolto un po’ più complesso, ma volevo proprio fare una cosa allegra.
E io ce l’ho quel lato lì. Nel fumetto ho sempre fatto più fatica a farlo emergere, ci sono riuscito un po’ ne “La mia vita disegnata male”, ma di solito mi incupisce un po’, ma perché è il tipo di lavoro: sei lì da solo al tavolino, e secondo me non mi fa bene alla testa. Mentre invece lavorare con gli amici come abbiamo fatto per “Il ragazzo più fortunato” è gioia e quindi è più naturale secondo me far uscire la parte più allegra.
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Uno degli aspetti che ho apprezzato maggiormente del film è la sua continua rottura della quarta parete e il tono completamente metacinematografico. Visto che i tuoi lavori hanno spesso elementi autobiografici, mi chiedevo se il film in realtà ci faccia capire come Gipi vede il mondo tutti i giorni.
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(ride) Non lo so come lo vedo il mondo. Sicuramente se da tutta la vita inventi e racconti storie, immagino che dopo un po’ i confini delle due parti si confondano parecchio.
Però nel film si mescolano in quel modo perché era giusto secondo me per la storia.
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Nel 2014 hai condiviso la copertina di XL di Repubblica con Zerocalcare, e ora ti ritrovi a Venezia nello stesso anno in cui esce il film tratto dal suo “La profezia dell’armadillo”. Siete spesso visti come due dei volti migliori del fumetto italiano, ma in che momento è secondo te ora il fumetto d’autore in Italia?
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Secondo me siamo a buon punto. C’è tanta gente brava e i libri a fumetti fatti bene vendono un sacco di copie. Poi ovviamente dipende anche da caso a caso, non puoi mai dare un giudizio su un sistema. Io vedo un sacco di roba bella, ci sono tanti autori che mi piacciono.
Credo fermamente nel talento e nell’affermazione del talento, credo che se sei bravo a fare quello che fai, prima o poi si nota, e non mi sembra che ora ci siano ostacoli a questo nel mondo del fumetto italiano, anzi, ci sono un sacco di case editrici che si sono accorte che i fumetti vendono.
Poi è chiaro che ha anche degli effetti collaterali e magari vengono pubblicati fumetti che non sono pronti per essere pubblicati solo nella speranza di fare il colpaccio, ma quello è normale, è una regola del mercato.
“Credo fermamente nel talento e nell’affermazione del talento, credo che se sei bravo a fare quello che fai, prima o poi si nota…”
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E sempre a proposito di copertine, sempre in quell’anno hai disegnato la bellissima copertina di Dylan Dog n. 337, “Spazio Profondo”. Cosa ne pensi dell’idea che sta girando ultimamente di riproporre Dylan Dog in versione cinematografica o seriale? Ti piacerebbe nel caso dirigere il progetto?
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Dirigerlo non lo so, ma sono molto curioso della serie e spero facciano un bel lavoro. Secondo me potrebbe essere un bel lavoro, l’ambientazione si presta, ma vediamo.
Io spero sempre che chi fa le cose le faccia bene, perché io sto meglio quando vedo una cosa che mi piace rispetto a quando ne vedo una che non mi piace. Tifo per chiunque inventi qualcosa di nuovo e provi a raccontare, e spero sempre che faccia le cose al meglio.
“Tifo per chiunque inventi qualcosa di nuovo.”
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In questo film abbiamo visto le tue doti cantautorali, ma in passato hai collaborato con “Le luci della centrale elettrica” per il loro album d’esordio “Canzoni da spiaggia deturpata”. Qual è la musica che ti stimola maggiormente la creatività o meglio, cosa ascolti mentre crei?
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Radio 24. Una talk radio dove parlare esclusivamente di economia della quale non capisco assolutamente niente, perché se metto la musica mi porta via la testa e non riesco a stare nella storia.
Invece questo parlare – che a volte per me è davvero incomprensibile quando parlano dei bond eccetera, cioè ho la terza media, per me è una tragedia – mi aiuta. Quando disegno in silenzio sento le voci e quindi mi spavento, mi sembra di essere matto. Invece quello mi tiene a bada le mie voci e io posso rimanere concentrato sul disegno.
La musica mi rapisce troppo, mi viene da battere sul tavolo invece di disegnare e quindi non la posso usare.
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Qual è il tuo prossimo progetto?
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C’è un libro a fumetti che ho iniziato adesso, spero sia vero perché finché non vado un po’ avanti non so se è un fuoco di paglia o meno, e probabilmente un’altra esperienza nel cinema della quale ora non posso dire niente…
Photo Credits by Johnny Carrano.