Perché una ragazza dovrebbe sparire nel nulla? Perché un giovane dovrebbe piegarsi e stringersi nell’angusto recinto della sua mente, diventando prigioniero di sé stesso invece che padrone? “Burning” è avvincente, misterioso, a volte così profondo da spaventare: è una storia che affronta la tematica della ricerca di sé stessi in maniera criptica, quasi sezionando il cervello umano e la sottile linea tra reale e irreale.
Lee Chang-Dong riprende la trama dal racconto breve “Granai Incendiati” di Haruki Murakami, contenuto nella raccolta del 1993 “L’elefante scomparso e altri racconti”, che si concentra su una misteriosa scomparsa e sul segreto di uno dei personaggi. Chang-Dong va invece più in profondità e crea lo spazio per sviluppare un ulteriore immaginario, dando al contempo alla storia il suo tocco inconfondibile, che già aveva incantato pubblico e critica con “Poetry“.
Nel film, originariamente in lingua coreana, troviamo Yoo Ah-in nei panni di Lee Jong-su, il protagonista, un ragazzo passivo e debole. Un giorno Jong-su Hae-mi (Jeon Jing-seo), una vecchia compagna di scuola, gli affida il compito di prendersi cura del suo gatto mentre lei si trova in Africa. Non vedremo mai l’animale, sintomo già di una realtà-non-realtà, ma Jong-su fa come gli è stato chiesto nella casa vuota. Quando Hae-mi ritorna, però, è in compagnia di Ben: un uomo apparentemente di successo, magistralmente interpretato da Steven Yeun, che confessa a Jong-su il suo segreto. Eppure, forse, niente è come lo vediamo.
Drammatico, thriller e a volte horror, “Burning” è una storia ricca di dettagli che mettono in risalto il mondo illusorio creato da Chang-dong, in una narrativa magistrale e in qualche modo straniata e straniante, che gli è giustamente meritata una nomination per la Palma D’Oro e un posto in prima fila per la corsa all’Oscar come Miglior Film in Lingua Straniera.
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Sono passati otto anni da “Poetry”, cosa ti ha fatto dire “Sì, voglio fare questo adattamento di “Granai incendiati” di Murakami”?
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Durante questi otto anni mi sono interrogato molto: che tipo di film voglio fare e che genere di film farò per il mio pubblico? In realtà, non sarebbe stato necessario pensare così a lungo e prendermi così tanto tempo: avrei potuto facilmente realizzare film che la gente voleva vedere, con un tocco del mio stile personale in modo che potessero essere anche apprezzati dalla critica, ma volevo fare un film che sentissi mio e mi rappresentasse, è tutto ciò di cui posso parlare e che posso fare.
All’epoca stavo pensando alla rabbia delle persone: tutti quelli che conoscevo erano arrabbiati, indipendentemente dalla loro religione, nazionalità o dalle loro differenze. Quindi la storia scritta da Murakami ha creato un filo conduttore con le mie stesse domande e con la mia storia.
“Volevo fare un film che sentissi mio”.
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L’intero film parla della tensione tra tre persone, e a volte appare come una storia di fantasmi. E nel mezzo, c’è questa sequenza molto bella, in cui si fermano a ballare durante il crepuscolo. Come hai approcciato la struttura del film e come hai girato questa particolare sequenza?
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Dopo la scena della danza, qualcosa doveva cambiare. Questo è quello che ho sentito, e il pubblico può percepire che stiamo andando verso un’altra direzione. La scena stessa è nel mezzo, a livello di trama, e rappresenta anche un quarto del film. Un sacco di gente pensa che questo film sia un thriller che ha il proprio punto focale nel ritrovamento di Hae-mi, ma era questo che stavamo cercando: volevamo concentrarci di più su altre domande, come cosa stesse facendo e cosa stesse cercando.
Volevamo girare la scena della danza dopo il tramonto, così da poter enfatizzare i confini cromatici tra oscurità e luce, che si uniscono proprio come si uniscono realtà effettiva e realtà surreale. E quando si guarda la scena, si può vedere la bandiera coreana, che rappresenta la politica. Si possono vedere lo sporco, l’erba e gli elementi naturali, mentre dall’altra parte si possono invece persino distinguere le macchine che passano. Quindi è una scena che raggruppa tutti i tipi di vita intorno a noi, e qui Hae-mi sta cercando il significato della vita. Sta ballando con una sorta di voracità, con intensità. Abbiamo provato a filmare quella scena senza alcuna luce artificiale. Inoltre, volevo che questo momento particolare mostrasse la libertà che sta attraversando Hae-mi, la spontaneità. Questo è il dettaglio più importante che volevo catturare nella scena.
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Riguardo al protagonista, Jong-su: ci sono frammenti della sua rabbia, frammenti della sua alienazione, il suo mondo sembra contorto, e in qualche modo trasmette una sensazione di disagio. Come hai lavorato al personaggio?
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Yoo Ah-in, che ha interpretato Jong-su, è molto conosciuto nell’industria cinematografica coreana, ha interpretato moltissimi personaggi con caratteri molto forti ed è sempre stato un grande successo. Al contrario, Jong-su è un personaggio molto passivo, e di solito tende a non mostrare le sue emozioni: quindi ho pensato che potesse essere un contrasto interessante e che potesse essere affascinante. Ma, alla fine di questo film, questo personaggio passivo che ha immaginato così tanto dentro di sé fa esplodere tutto quello che si era tenuto dentro. Parla attraverso le proprie reazioni, la sua esistenza traccia una linea parallela: così io e Yoo abbiamo parlato a lungo e lui ha detto: “Scopriamo insieme come funziona questo personaggio, come possiamo ottenere le sue espressioni e renderle al meglio”.
Così abbiamo iniziato a cercare insieme l’io del suo personaggio.
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“Volevo che questo momento particolare mostrasse la libertà che sta attraversando Hae-mi”.
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La storia di “Granai incendiati” è un adattamento dal racconto breve di Murakami: cosa volevi ampliare della trama?
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La storia di Murakami contiene solo un mistero: se e perché il fienile viene bruciato davvero, dov’è la ragazza. Tuttavia, il finale rimane aperto e non ha una vera conclusione. Mi piaceva, quindi volevo espandere quel mistero in quelli che invece mi appartengono, mostrando al contempo i problemi di tutti i giorni.