Selezionato nella categoria Venezia Classici, “Thank You Very Much” è un documentario che punta il riflettore sulla leggenda del mondo comedy Andy Kaufman: un artista originale protagonista di un documentario altrettanto originale. Abbiamo incontrato il regista e il produttore, Alex Braverman e Josh Safdie, per capire come siano riusciti a portare la straordinaria vita di Kaufman sullo schermo attraverso una precisa selezione di materiale d’archivio e interviste.
Abbiamo discusso di cosa li abbia spinti a creare il documentario, delle sfide che hanno affrontato e delle incredibili scoperte che hanno fatto sulla vita e la personalità di Kaufman, dai suoi indimenticabili momenti al Saturday Night Live fino ai suoi numerosi alter ego e inaspettate avventure nel wrestling agonistico.
Una cosa è certa: il film è prezioso quanto il suo soggetto, svelando filmati rari, intuizioni personali e storie inedite che rivelano il vero Kaufman e la natura della commedia, per quanto possa essere difficile per tutti definirla.
Attraverso un viaggio nel processo di realizzazione del documentario, Alex e Josh hanno condiviso le loro esperienze nel condurre interviste con amici, familiari e collaboratori di Kaufman, scoprendo come l’artista sia riuscito a ridefinire la commedia come nessun altro prima e dopo di lui.
Andy Kaufman è stata una figura molto enigmatica e controversa, a cui piaceva confondere finzione e realtà, un comico che non avrebbe mai pensato di diventarlo davvero. Come avete affrontato la sfida di rappresentare la sua complessità nel documentario?
A: Penso che sia proprio la sua complessità a renderlo interessante, aiutando noi registi a farci le nostre domande. Penso di aver semplicemente affrontato la sfida ponendomi domande: perché era quello che era, dal punto di vista performativo o relazionale, cosa lo ha aiutato a capire chi era e cosa ha aiutato noi a capirlo, che rapporti aveva con le altre persone, quelle con cui lavorava o quelli della vita privata. Per me non è stato complicato. Non sapevo all’inizio che ne avrei fatto un film, quindi è questo che lo rende emozionante e interessante.
J: Alex ha avuto accesso a molti materiali d’archivio unici e mai visti prima che dipingevano un ritratto più accurato di un uomo che si rifiutava di dipingere un ritratto della propria vita. L’unica cosa che raccontava di sé stesso era il fatto che fosse attratto dall’interpretare i suoi personaggi, in un certo senso. Ogni personaggio è in realtà una rappresentazione di una parte di sé. Penso che il materiale d’archivio lo dimostri davvero, comprese le sue debolezze. Dal punto di vista della produzione, Lauren [Belfer] e Alex hanno fatto un ottimo lavoro nel reperire tutto il materiale possibile. Sai, il padre di Alex ha prodotto il Carnegie special, quindi la consapevolezza che il genitore di un mio vecchio amico era al Carnegie show, e che quindi è stato testimone oculare di tutto, mi ha entusiasmato. Ricordo che quando l’ho sentito per la prima volta ero super contento; lo si vede in “Man on the Moon”, ma per me era comunque incredibile che la sua famiglia fosse lì, quindi penso che anche questa testimonianza sia stata un ottimo punto di partenza per raccontare la storia.
Considerati gli sviluppi culturali e sociali dal suo tempo fino ai giorni nostri, come pensate che Andy Kaufman sarebbe percepito se avesse vissuto nel contesto attuale? Come potrebbe essersi adattata la sua arte all’era moderna?
J: Probabilmente sarebbe stato “cancellato”, giusto? [ride]
A: Probabilmente gli sarebbe piaciuto…
J: Effettivamente se il personaggio del “wrestler” fosse stato sdoganato oggi, nel senso del “suo wrestler”, che non ha nulla a che vedere con la WWE, che a quel tempo era il wrestling originale, e se pensiamo che lui era un attore di sitcom che faceva costantemente battutacce sulle donne, oggi Andy lo avrebbero bruciato vivo, la società lo avrebbe messo al rogo. Ora, nel contesto del movimento di liberazione delle donne, e penso che questo valga per qualsiasi movimento radicale progressista, è utile considerare quali siano le vere intenzioni dietro ogni azione e parola. Non so se gli sarebbe piaciuto essere “cancellato”, perché non credo che gli sia piaciuto essere cacciato dall’SNL!
A: Ci ho pensato molto su, perché durante il processo di realizzazione del film, abbiamo discusso spesso di ciò che stava accadendo all’epoca e ho realizzato che a lui andava bene qualsiasi cosa purché non sentisse di essere stato tradito. La faccenda del SNL era stata un tradimento, mentre se la gente non capiva la sua comicità, si trattava di una reazione onesta, se si offendeva per le sue battute, era uno scambio onesto… Chissà se gli sarebbe piaciuto essere “cancellato”, ma penso che avrebbe trovato un modo per ottenere una reazione onesta in ogni caso.
J: La “cancel culture” non esiste qui in Italia, vero?
Non proprio, sai, ho sempre pensato che fosse più una cosa americana.
J: Sì, giusto, immaginavo. Ma Andy era un artista americano davvero importante. Poteva esistere solo in America, la patria della televisione, della Coca Cola, del gelato… Non credo che abbia mai indossato i blue jeans, o forse sì, anzi ho visto qualche foto in cui li indossava in effetti, ma il fatto è che con tutti i nuovi mezzi che abbiamo oggi per manipolare e capire cosa è reale e cosa è falso, sarebbe stato interessante per lui lavorare. Prendi YouTube: sul 40% delle cose che mettono su YouTube e che non sono vecchi film o cose del genere, la prima domanda che ci poniamo sempre è se si tratta di un contenuto vero o falso. Su Twitter, TikTok o Instagram questo è il dibattito contemporaneo. L’anno scorso è uscito un film intitolato “Tàr” e alla gente non è piaciuto che non fosse basato su una persona reale, e per me questa cosa è assurda! Come può essere una controversia?! Quindi, penso che Andy sarebbe stato felice di avere tutti questi nuovi mezzi con cui divertirsi, e anche il makeup e il trucco prostetico sono diventati super realistici oggi. Nathan Fielder ne è un esempio, ovviamente anche Sacha Baron-Cohen e gli imitatori di Elvis, quindi penso che sarebbe stato molto felice di sapere che avrebbe avuto tutte queste nuove piattaforme per creare.
“Penso che sia proprio la sua complessità a renderlo interessante, aiutando noi registi a farci le nostre domande”.
Il legame personale con l’argomento può svolgere un ruolo significativo durante la creazione di un documentario. C’è un momento particolare o un’intuizione sulla vita di Andy Kaufman che vi ha colpito a livello personale?
A: Non saprei spiegare perché, ma è successo che quando stavo frugando nell’archivio e mi sono imbattuto nel video in cui il padre di Andy racconta la storia di “On the Road”, ho dovuto fare una passeggiata intorno all’isolato e smettere di fare quello che stavo facendo per un attimo. Se hai un rapporto difficile con i tuoi genitori, ma anche se ne hai uno bello – e mi sento molto fortunato ad averne io uno buono con i miei – la generosità di tempo e di attenzione che viene comunicata in quel momento ti colpisce, ed è stata oltremodo commovente per me. Sapendo che suo figlio stava attraversando un momento difficile, e nonostante vivessero su pianeti diversi, suo padre ha dedicato un po’ del suo tempo per leggere quel libro, connettersi emotivamente con suo figlio e, all’improvviso, da quel momento in poi padre e figlio si capiscono e lui inizia a coinvolgere i suoi genitori nei suoi sketch. Questa per me è stata la scoperta più commovente e bella.
J: In generale, penso che questo concetto delle maschere che indossiamo abbia avuto un grande impatto su di me, perché io stesso ho attraversato così tante fasi diverse della mia vita in cui dovevo essere persone diverse, semplicemente spostandomi tra diversi contesti socio-economici e diverse cerchie di amici. Ero un atleta in un ambiente, un comico in un altro, ero un regista, ero un imprenditore, ho avuto tutti questi volti diversi e spesso cercavo di manipolare la realtà. Da bambino, volevo sempre raccontare storie e, nella mia mente, più dettagli aggiungevo a una storia, più realisticamente sarebbe stata interpretata da un adulto o da un amico. Guardando Andy, guardando il film, nella sua complessità, ho iniziato a realizzare queste cose che stavo facendo inconsciamente, e che siamo un ritratto composto da tutte le persone che abbiamo deciso di interpretare, e che non dovremmo vergognarcene. So che spesso ci imbarazza riconoscere di avere tutte queste personalità diverse, lo yin e lo yang, e a volte il nostro yang non ci piace perché è una parte di noi che odiamo. Questo concetto mi ha davvero colpito.
Un momento specifico che mi lascia a bocca aperta ogni volta che ci penso è un filmato che Alex ha scoperto in cui si parla davvero di una verità grandissima dal punto di vista umano, ed è il momento in cui Kaufman parla con Howdy Doody alla fine del film. Sta solo parlando di una scatola, ma in realtà l’argomento è la morte, e so che Andy nella vita reale attraverso i libri che leggeva eccetera ha iniziato a ossessionarsi con l’idea che tutto ha un’anima, ed è per questo che gli piaceva il succo d’arancia appena spremuto, perché pensava che non ci fosse un’anima nel succo d’arancia concentrato [ride]. In quel pezzo alla fine, Howdy Doody è vivo, parlano tra loro, e il modo in cui lo guarda riafferma la mia convinzione che le cose possono andare nel verso in cui vogliamo che vadano, e questo è molto bello secondo me. Trovo che il film sia molto bello nonostante alcuni aspetti molto brutti della vita di Andy.
“Siamo un ritratto composto da tutte le persone che abbiamo deciso di interpretare, e che non dovremmo vergognarcene”.
Andy Kaufman è sempre stato considerato molto difficile da definire, sia come comico che come uomo in generale: voi alla fine avete trovato una definizione che gli si addica?
J: Originale. È un essere umano originale, non c’è nessuno come lui. Immagino che lo si potrebbe definire un artista. Non gli sarebbe piaciuto essere definito un comico, anche se era davvero divertente, e penso che sapesse di essere divertente, ma il concetto di essere un comico non gli piaceva, perché cela una sorta di insincerità, l’idea di salire sul palco e raccontare barzellette – anche se io amo i comici, non fraintendermi. Quindi, penso che un “originale” sarebbe la migliore definizione per lui. Quando sento che qualcuno è un originale, so che il suo posto sulla Terra è ben occupato, che trascende tutti noi.
A: Abbiamo intervistato James Brooks per il film, e lui diceva in continuazione che Andy era originale, lo chiamava “unico”, speciale. Io lo definirei tranquillamente un artista. Spesso quella parola mi suona strana, ma quando abbiamo chiesto a Laurie Anderson, “Ma voi avete mai discusso sul set del fatto che foste performance artist?”, lei ha detto: “No! Noi non lo siamo affatto”. Questo perché quando parliamo di performance art pensiamo, ad esempio, alle gallerie d’arte, mentre Andy era un artista serio e autosufficiente. Bob Zmuda nel film dice: “Era un artista e la sua forma d’arte era la sua recitazione”. Sono d’accordo.
Lo stesso Kaufman si è chiesto quale fosse la natura della commedia per gran parte della sua carriera. Credete che sia mai riuscito a rispondere a questa domanda? E voi personalmente come rispondereste?
A: Non saprei dire quale sia la natura della commedia, ma nel dialogo del film tra lui e Maharishi si parla delle cose che la gente trova divertenti; quando sei in una situazione e hai una certa aspettativa e finisci per viverla in modo diverso: secondo me è questo che intendevano quando parlavano di “contrasto”, quando inizi in un contesto e finisci da qualche parte, e passare dal primo contesto al secondo è la parte divertente.
J: Penso che sia un’ottima definizione. Far ridere è la cosa più difficile da fare, secondo me, perché una risata non la si può fingere. Possiamo manipolare le lacrime, ma la cosa più difficile da riprodurre è la risata, perché è pura e proviene da un posto che non conosciamo, ed è proprio questo che la rende così vera e unica. Penso che quando qualcosa è divertente, è divertente e basta. Quando Alex ci ha inviato l’audio della conversazione che Andy ha avuto con Maharishi, ne sono rimasto sconvolto, non potevo credere che la conversazione alla fine stesse virando verso il concetto della meditazione trascendentale, perché significava che lui aveva la consapevolezza o era interessato a capire perché la commedia o il concetto di qualcosa di divertente fosse vero per lui.
A: È un’ottima domanda, però, perché mi spaventa pensare a una versione di questo film senza quella scena…
J: Sì, e dove è stata per molto tempo?
A: Era sepolta in Iowa… [ride] Per me, è un po’ il cuore di tutto il film, quindi apprezzo che tu ce lo stia chiedendo. Questo mi fa pensare anche a ciò che Josh stava dicendo riguardo a dover essere persone diverse in diverse situazioni: mi ha colpito molto anche il fatto che le personalità di Kaufman, fossero esse positive o negative, erano sempre e comunque molto sincere, erano veramente autentiche versioni di lui, che aveva il coraggio di interpretarle tutte pubblicamente, senza mai dire, “sto solo scherzando”, o giustificarsi. Era molto coraggioso e ammirevole.
“Possiamo manipolare le lacrime, ma la cosa più difficile da riprodurre è la risata, perché è pura e proviene da un posto che non conosciamo, ed è proprio questo che la rende così vera e unica.”
A che punto eravate nella vostra vita e carriera quando avete deciso di fare questo documentario, e da dove è nata la scelta?
A: Ho lavorato a documentari per circa 23 anni e a ogni progetto che facevo, che io ne facessi parte o meno, seguivano conversazioni con amici che mi chiedevano sempre: “Quando farai qualcosa di tuo?”; in un certo senso, mi ferivano [ride].
J: [ride] Sai, all’inizio Bob Dylan cantava cover, e immagina se le persone avessero chiesto a Bob Dylan, “Quando scriverai qualcosa di tuo?”. Ma lui stava già cantando, si esibiva già!
A: Sì, lo so, penso di aver fatto un buon lavoro, sono fiero dei progetti a cui ho partecipato. Ma ad essere sincero, questa è la prima cosa che è davvero mia, e ci sto arrivando un po’ più tardi nella vita rispetto ad altre persone e ne sono davvero orgoglioso. È un argomento di cui non potrei mai stancarmi e sono molto grato di aver potuto lavorare con Josh, suo fratello Bennie e tutti gli altri produttori, come Morgan Neville, che è un leggendario documentarista. È il mio primo film e penso che sia un dato di fatto importante e mi sto divertendo molto.
Photos by Luca Ortolani