Film, serie tv, opere teatrali… Alistair Petrie ha fatto tutto e avremmo voluto continuare a fargli domande all’infinito!
Con questa intervista scoprirete l’amore di Alistair per il palcoscenico, l’esperienza sul set di “Sherlock” e “Rogue One: A Star Wars Story“.
Un’ultima cosa, non perdetelo di vista, dato che lo vedremo presto in una serie di Netflix e sul grande schermo con un film biografico! E, a quanto pare, abbiamo acconsentito ad aiutarlo a mettere insieme una produzione teatrale del suo spettacolo preferito “Tango At The End of Winter” per il prossimo anno…non sembra una brutta idea 🙂
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La tua carriera è iniziata a teatro. Da bambino, quale era il tuo rapporto col teatro?
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Dal momento che mio padre era nell’esercito, ci trasferivamo ogni tre anni e per questo non ho avuto un approccio particolare al teatro, sicuramente non con un teatro professionale. Detto questo, il momento in cui ho deciso di fare l’attore è stato quando vidi mia mamma in una produzione amatoriale di “Toad of Toad Hall”. Faceva una piccola parte con una sola battuta, ma quando la disse il pubblico rise fragorosamente. Mi guardai attorno, sbalordito. Fu magico. Ricordo persino la battuta: “He called me Fatface!” (“Mi ha chiamato Facciagrassa”).
“…il pubblico rise fragorosamente. Mi guardai attorno, sbalordito. Fu magico”.
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Qual è stato il momento in cui ti sei sentito più libero sul palco?
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Sentirsi liberi sul palco capita quando le battute sono così radicate nella tua mente che non c’è più bisogno di pensarci e quando si entra istintivamente in sincronia con le persone con cui si recita. È allora che si è “abbastanza” liberi per poter giocare, ascoltare cose nuove ed essere sorpresi da ciò sta per arrivare. Quando si è assolutamente immersi “nel momento”. Stranamente, mi sono sentito maggiormente libero quando stavo lavorando a “Brand” con Ralph Fiennes. Mi dimenticai una battuta, dovetti fermarmi e ricordarmi dove ero. Ralph mi fissò in attesa, il pubblico era in apnea. Non mi ero mai sentito così calmo. E alla fine… me la ricordai. Non sono sicuro di cosa abbia significato questa esperienza.
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Hai recitato in molti spettacoli teatrali, da “Enrico IV” di Shakespeare alla produzione “Shakespeare in Love” del West End. C’è un progetto teatrale a cui ti piacerebbe partecipare?
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Sì. Uno dei miei attori preferiti è Alan Rickman. Uso il presente perché il suo magnifico lavoro sullo schermo rimarrà sempre con noi, quindi lui “è”, per me, ancora qui. Lo vidi nel West End in un’opera teatrale di Peter Barnes tratta da un libro di Kunio Shimizu intitolato “Tango At The End of Winter”. L’opera è ambientata in un cinema abbandonato e tratta del dire addio, del salutarsi per l’ultima volta. L’ho visto a 20 anni la sera dell’ultima rappresentazione; i camion erano parcheggiati fuori dal teatro pronti a rimuovere il set. È stato il lavoro più potente che abbia mai visto. Alla fine ero in lacrime. Lo voglio rifare. Disperatamente.
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Qual è il tuo più grande obiettivo, da attore, quando calchi il palcoscenico?
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Il mio principale obiettivo quando vado in scena è quello di assicurarmi di essere pronto e concentrato a raccontare la storia. Faccio sempre attenzione agli speaker mentre il pubblico prende posto prima della performance –anche dopo mesi di repliche. Tengo a mente che, anche se lo abbiamo fatto dozzine e dozzine di volte, il pubblico è lì per la prima volta. Questa è una motivazione piuttosto forte. Il mio obiettivo personale è quello di fare in modo che il mio cervello e la mia bocca lavorino all’unisono, ci sono volte in cui non succede e ogni parola che esce dalla mia bocca mi fa trasalire.
“Il mio obiettivo personale è quello di fare in modo che il mio cervello e la mia bocca lavorino all’unisono”.
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Per quanto riguarda il ruolo del Maggiore James Sholto nella terza stagione di “Sherlock” della BBC, com’è stata l’esperienza con una serie così famosa e amata? Eri un fan della serie anche prima di unirti al cast?
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“Sherlock” è popolata dalle persone più fantastiche presenti nel settore. É un affare di famiglia! Lo showrunner Steven Moffat e la produttrice Sure Vertue sono sposati, Mark Gatiss è il miglior amico di Steven, e hanno tutti lavorato con la stessa troupe in progetti precedenti. Ero preoccupato nell’entrare in una squadra così ben consolidata, ma mi hanno accolto come un fratello di ritorno da un lungo viaggio. Abbiamo riso tantissimo. E vorrei anche menzionare il fandom di Sherlock. È immenso, entusiasta e mi ha abbracciato come se fossi uno di loro. Sapere dell’effetto positivo dello show su così tante persone in tutto il mondo è commovente. “They rock!”
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“Il segno dei tre” è stato un episodio molto intenso, incentrato sul tuo personaggio! Come hai sviluppato il tuo personaggio e come hai lavorato con Martin Freeman (John Watson) e Benedict Cumberbatch (Sherlock Holmes)?
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Siccome l’episodio era basato sul matrimonio di John e Mary – in particolare sul discorso del testimone fatto da Sherlock – e per come erano strutturate le riprese, ho assistito a delle impressionanti prodezze recitative che pochi hanno la possibilità di vivere, tra cui 8 giorni con Ben che doveva ripetere più e più volte un discorso di 40 pagine di fronte a un pubblico di artisti e attori. È stato a tutti gli effetti un atto unico che ha dovuto imparare e ripetere senza sosta (senza il tempo per le prove prima delle riprese) mentre noi stavamo seduti ad ascoltare. Dopo 7 giorni, conclusa la parte più corposa, siamo andati a cena e Ben era felice e sollevato. La carta dei vini quella notte è stata felicemente tartassata. È stato favoloso poter assistere a tutto ciò. Conoscevo Martin da prima, è un attore davvero brillante e intelligente. Quando li vedi recitare fianco a fianco sono un duo davvero formidabile.
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Il momento più bello durante le riprese di “The Night Manager”?
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Più che il miglior momento di “The Night Manager”, ci sono stati circa 1000 migliori momenti. Ne ho amato ogni dannato secondo. Una volta, nell’hotel in cui alloggiavamo, ho battuto Tom Hiddleston a ping-pong. Avevamo anche degli spettatori: Jo Laurie, la moglie di Hugh, che era in visita, e Natasha Little, che interpretava mia moglie sullo schermo. Quindi c’erano dei testimoni. Nello sport [Tom] è super competitivo, e lo sono anche io! È stata una vera cannonata. Ci sarà la rivincita. Sono pronto!
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Hai interpretato il Generale Davits Draven in “Rogue One: A Star Wars Story”. Qual è stata la tua prima reazione leggendo la sceneggiatura ed entrando in un questo immenso universo immaginario?
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Non abbiamo mai ricevuto la sceneggiatura di “Rogue One”…era tutto molto segreto. Ci venivano date le nostre scene un paio di giorni prima, le giravamo e poi dovevamo restituire i copioni alla fine della giornata. Una volta, durante una prova, ho visto Felicity Jones con una sceneggiatura completa in mano. Ero inorridito! “Come diavolo l’hai avuta?!” le ho chiesto. Mi disse che aveva dovuto promettere di rinunciare ai suoi diritti per tutta la vita, passata, presente e futura!
“Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza” è stato il primo film che io abbia mai visto al cinema, nel 1978. Sono quel ragazzino che si è alzato, è salito sul palco ed è entrato nello schermo. Che privilegio!
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Pensi che vedremo ancora General Draven nei prossimi film di Star Wars?
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Se me lo chiedessero, correrei lì come un fulmine…
“La cosa migliore della recitazione è che non si smette mai di imparare”.
“La cosa peggiore? È un’industria costruita sul rifiuto”.
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Con quali attori o registi ti piacerebbe collaborare in futuro?
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Sono stato fortunato ad aver lavorato con alcuni dei migliori. Ma ce ne sono ancora moltissimi che…ricevono regolarmente le mie e-mail! Sullo schermo, farei pazzie per lavorare ancora con Marc Munden. E ovviamente anche con Ron Howard, che è un narratore eccezionale. In teatro con Marianne Elliott: è la regina.
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Per te, qual è la cosa migliore e quale quella peggiore della recitazione?
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La cosa migliore della recitazione è che non si smette mai di imparare. Non smetti mai di incontrare persone interessanti, energiche, creative e divertenti. Ci sono sempre cose nuove da scoprire, nuove storie da raccontare, temi da approfondire, nuove emozioni da esplorare. Inoltre adoro uscire con altri attori. Con loro rido tantissimo.
La cosa peggiore? È un’industria costruita sul rifiuto. Per tutti, qualsiasi sia la fase della propria carriera, la delusione che si prova quando non si ottiene quella parte che si vuole disperatamente, è uguale. Sia chi è appena uscito dalla scuola di recitazione, che qualcuno con tre Oscar, tutti hanno una storia o più da raccontare sul “rifiuto”.
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Qual è il tuo Rêve (sogno) per il futuro?
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Il mio sogno per il futuro? Buona salute, bambini felici. Progetti interessanti. Buon vino, un buon pettegolezzo. Un mondo politico più gentile e sano di quello con cui abbiamo a che fare.
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Cosa c’è nel tuo futuro?
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Una serie di Netflix, un film biografico, 4 mesi a Cape Town, un panino veloce e poi potreste aiutarmi ad imbastire una produzione teatrale di “Tango At the End of Winter” per il 2019. Affare fatto? (Affare fatto.)
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