Tlon: una realtà più unica che rara in Italia e nel mondo, con un compito importante, quello di rendere la filosofia accessibile e raggiungibile, presente ma mai incombente nella quotidianità di tutti noi. “Factory, scuola di filosofia, aggregatore di comunità, casa editrice, e libreria teatro”, i fondatori di questa accademia di immaginazione sono Maura Gangitano e Andrea Colamedici, due grandi pensatori e brillanti esseri umani che abbiamo incontrato in occasione del FeST di Milano.
Quale miglior occasione del festival delle serie tv per parlare del ruolo chiave dell’approccio filosofico nelle nostre fruizioni quotidiane? Per prendere la vita con leggerezza ma anche con serietà.
Natura, social media, fanatismo, scoperte e condivisione di riflessioni per imparare insieme a “degnificare la vita” e ad affrontare meglio la realtà dell’assenza di senso della nostra esistenza: uniti nella passione e nella non-ortodossia, per non diventare mai dei “Dolores Umbridge”.
“Formazione filosofica per la fioritura personale”: un motto, quello di Tlon, che vuole essere ancora una premessa e una promessa di possibilità. In che modo il vostro percorso personale è fiorito insieme alla vostra realtà educativa nel tempo?
M: Nel nostro caso si è trattato di un percorso di consapevolezza, con un risvolto anche nella nostra vita personale e nel nostro rapporto personale: tante cose di cui abbiamo scritto e parlato derivano dai nostri dialoghi e dalle nostre comprensioni, quindi in questo senso va molto di pari passo. Poi, rimane sempre una parte fatta di letture, di riflessioni che condividiamo e quindi c’è una fortissima connessione e c’è una sovrapposizione totale.
Con Tlon, ci dimostrate che ogni giorno è possibile trovare spunti filosofici per fermarci a meditare e a provare a comprendere meglio quello che ci circonda. Del vostro lavoro, trovo affascinante non solo che portiate argomentazioni basati su qualcosa di empirico o su emozioni, ma anche su cose più concrete, attuali e talvolta impensabili. Quale pensiero c’è alla base di questa “selezione”?
N: L’idea che non esista nulla su cui non valga la pena portare attenzione e che la curiosità sia etimologicamente la capacità di prendersi cura delle cose. Quindi noi vogliamo sollecitare la curiosità delle persone, spingendole a pensare che tutto sia degno di attenzione. Questo porta a “degnificare” la vita, a riconoscere che non esiste un momento in cui tu sei slegato dal resto. Per esempio, qui abbiamo una pianta di fianco a noi: la prima cosa che ho fatto è stata cercare di capire se fosse vera o finta, cercare di capire che pianta fosse, e anche se fosse stata finta, che storia raccontava; questo porta ad affrontare meglio l’assenza di senso dell’esistenza che oggi è più palese che mai. Istituzioni e valori nel corso della storia sono stati edifici concettuali che ci hanno accompagnati a sostenere il peso della vita. Oggi è tutto crollato, però la meraviglia è rimasta, la bellezza delle cose è rimasta, il problema è che è difficile da sostenere, e dobbiamo inventarci delle nuove storie, ed è una bella opportunità perché abbiamo la possibilità di raccontare delle storie personali in cui rapportarci a tutto questo.
Quindi il nostro è un invito alla meraviglia, inteso proprio come invito della scoperta e della disposizione al viaggio, all’incontro e alla relazione con le cose e con le persone.
Approccio filosofico e social media: un binomio forse vincente, forse pieno di insidie. Come vivete il rapporto con questo mezzo di espressione e comunicazione?
M: Noi usiamo molto spesso i social per criticarli. Mettiamola così: i social sono un luogo digitale in cui le persone entrano in connessione, quindi è importante portare lì anche la filosofia, perché noi crediamo che la filosofia abbia bisogno di essere portata alle persone; però, sono anche un luogo di grande tossicità. Nel nostro caso, quello che facciamo è anche avere più canali di comunicazione, quindi i social sono un modo per raccontare e parlare di alcune cose e suscitare delle riflessioni. Poi ci sono i libri, ci sono gli incontri dal vivo, e c’è anche l’attività editoriale, ovvero il nostro lavoro di editori di altre persone, e tutti questi danno una risposta diversa perché permettono una connessione diversa. I social possono essere una propedeutica per farsi delle domande, per osservare le cose in un certo modo, e anche un primo contatto, quindi puoi arrivare anche a molte più persone e poi molte di queste vorranno approfondire. In questo, comunque, rimangono utili, perché ti permettono di vedere che le cose non sono esclusivamente come le vedi tu. Quindi anche per noi negli anni sono stati un’occasione per scoprire dei punti di vista diversi dai nostri, che invece facendo le nostre solite letture e frequentando i soliti luoghi culturali non avremmo intercettato.
Quindi, in questo senso è un luogo in cui a volte ci si sente sopraffatti dal caos, però col caos permette di incontrare delle persone e delle idee che altrimenti non si incontrerebbero.
Dal vostro intervento di oggi al FeST, cosa vi aspettate che noi pubblico ci portiamo a casa?
N: La cosa a cui terrei di più è l’idea di guardare la serialità televisiva come uno strumento per creare una mitologia personale attraverso cui affrontare con coraggio e curiosità l’esistenza. Perché questo possono fare le serie: essere forme di intrattenimento sarebbe veramente triste, sarebbe come fare le parole crociate sul Vangelo. Di fondo, nelle serie c’è tutto un lato di crescita personale, di sviluppo, di analisi, e non sta soltanto nella produzione in sé ma anche nel modo in cui ci si rapporta alla produzione, nella disposizione a fruire di una narrazione, con l’idea che “quello che sto per vedere potrebbe cambiarmi la vita”. Guardare con quest’occhio la produzione culturale permette di avere delle epifanie anche con “Friends” o con “Una mamma per amica”.
Tlon è una realtà incentrata sulla filosofia, una casa editrice, una libreria teatro e molto di più. È un polo culturale innovativo e diverso, in continuo movimento, proprio come il mondo, proprio come noi esseri umani. A quale altro cambiamento vorreste contribuire, a modo vostro?
N: Alla percezione della questione ecologica. Credo che quello sia uno dei punti fondamentali su cui vorremmo contribuire a generare comprensione: la vicinanza dell’apocalisse, la profondità negativa della nostra impronta ecologica, la comprensione di quanto sia necessaria una decrescita, tanto esteriore quanto interiore. Penso che questo sia uno dei cardini su cui ci stiamo muovendo con una parte delle pubblicazioni della casa editrice, su cui giocoforza bisogna andare, perché altrimenti rischiamo di ordinare bene le serie sul Titanic e nel frattempo andiamo giù.
E rispetto alle serie tv invece? In che modo scegliete cosa guardare e a cosa prestate particolare attenzione di solito?
M: Io guardo solo le serie tv che sono abbastanza sicura mi piaceranno tantissimo, quindi sono molto selettiva. In genere, hanno a che fare molto con i mondi fantastici, guardo quelle e i documentari, quindi guardo ricostruzioni di storie vere oppure storie del tutto inventate. Di solito cerco qualcosa che mi stupisca, che sia diverso da quello che ho già visto; quindi, se devo guardare qualcosa che ho già visto, guardo una serie che conosco, magari una serie degli anni 2000. Mi interessa che ci siano delle domande esistenziali, è un po’ questo quello che cerco.
N: Io invece provo un fastidio fisico per il re-watching, non sopporto l’idea di guardare due volte la stessa cosa, o anche leggere un libro due volte, mi dà fastidio l’idea di rileggere qualcosa, anche se poi quando lo faccio vedo che sono un’altra persona e che quindi sto leggendo un’altra cosa, ma per arrivare qui devo superare la mia barriera istintiva. Il discorso è che hai la percezione di starti perdendo tutto il resto dello scibile che c’è là fuori, ma invece certe volte da un re-watch di “Lost” puoi imparare molte più cose che guardandoti l’ultima stagione appena uscita di “Stranger Things”.
L’ultimo binge watch che avete fatto.
N: L’abbiamo fatto insieme ultimamente con “Woodstock”.
M: Anche “Sampa” e “Only Murders in the Building”. Io in realtà quando decido di vedere una serie, guardo le puntate in poco tempo ma non tutte insieme.
In uno dei vostri post, avete parlato del prendersi cura di sé, inteso come perpetuo atto di accettazione della propria persona. Per voi invece, cosa significa sentirvi a vostro agio nella vostra pelle?
M: Per me significa non sorvegliarla, cioè non cercare di averne il controllo, cosa che invece oggi veniamo costantemente costretti a fare.
N: Sì, significa non accorgermene, io mi sento a mio agio nella mia pelle quando mi accorgo di non avere una pelle, quando mi sento nella condizione di dimenticarmi di me. Mi ricordo di me quando mi dimentico di me, quando non ho l’ansia di dover dimostrare qualcosa, di non dover dire la risposta giusta. Tipo adesso, per un attimo mi sono distratto ed ero contento: l’importante è distrarsi da sé, altrimenti viviamo in un’ossessione costante di noi stessi che ci porta poi a sperperare una quantità incredibile di energie.
Invece, sentirsi a proprio agio nella propria pelle significa perdersi, incontrare una persona che ci faccia spostare il centro della tua attenzione da te a lei.
Qual è stata l’ultima cosa che avete scoperto di voi stessi?
N: Che adoro le gonne e i vestiti. Mi sono comprato una camicia da notte “da uomo” e ci sto benissimo, è una sensazione incredibile indossarla, con le gambe fresche. Ho scoperto che non ho nessun problema ad andarci in giro, mi piace un sacco e lo faccio.
Tu invece… le borse?
M: Sì, una passione che si è evoluta e si è raffinata. Poi, che mi piace molto leggere la storia, che è una cosa proprio da Corvonero [ride]. Ho anche scoperto che sono un’allodola, nel senso che per molti anni sono stata convinta di essere una che si svegliava tardi, ma in realtà i miei bioritmi sono molto diversi rispetto a quanto pensassi: mi piace svegliarmi presto, fare le cose presto, e ho anche scoperto che però non tutti funzionano così, quindi quando io alle 8 di mattina sono carica e voglio fare un sacco di cose, le altre persone magari vogliono dormire…
N: Dove “le altre persone” sono io [ride].
Il libro sul vostro comodino.
N: “Desiderio post-capitalista” di Mark Fisher.
M: “L’alba di tutto” di Graeber David, un libro sulla storia dell’umanità.
Si dice sempre che la vita va “presa con filosofia”: che cosa significa questo per voi?
M: Noi ci siamo voluti appropriare di questo luogo comune, perché effettivamente la vita andrebbe presa con filosofia, con leggerezza e sul serio contemporaneamente. La difficoltà sta in quel “contemporaneamente”, nel cercare di non identificarsi come facciamo di solito con tutte le cose che ci succedono, però nello stesso tempo prenderle sul serio ed essere anche responsabili di quello che sta succedendo, come per esempio nell’ottica ambientale, nei confronti di quello che abbiamo causato negli ultimi decenni.
Durante il panel avete parlato di natura e del rapporto dell’uomo con la natura, della natura come “ciò che ci rimette al mondo”. Cosa rimette voi al mondo e cosa sarà in grado di rimettere tutti noi al mondo dopo questo periodo difficile che stiamo vivendo?
N: La risposta più giusta ma anche più banale secondo me è: l’amore. Puoi dire tutte le cose che vuoi, ma alla fine è la capacità di sentire una relazione profonda con un’altra persona al punto tale da pensare che la vita valga la pena d’essere vissuta: è questo che ci fa scegliere nei momenti più difficili se restare in vita oppure no. Non credo che ci sia altro, penso dipenda molto da quanto una persona riesca a tessere reti di relazioni fruttuose, fertili.
Abbiamo anche parlato di fandom, dell’estremismo dei fandom ma anche del senso di comunità che i fandom restituiscono ai loro membri. Qual è il vostro punto di vista sul fanatismo e quanto pericolosa può essere l’immaginazione?
M: Per la costruzione della propria identità personale e del proprio immaginario è molto importante, e anche per sentirsi insieme delle persone simili, perché la nostra è una società in cui ci si sente spesso soli, abbandonati, ed è difficile riconoscersi. Il fandom invece ti dà un’identità. Il rischio, però, è che il tuo percorso poi si disperda e che quindi diventi una bolla in cui non conta più chi tu sei e tutto quello che è legato al fandom diventi un dogma, quindi qualcosa che non puoi mettere in dubbio. Per questo motivo, il problema poi diventa la mancanza del dubbio, del coltivarlo, e anche del coltivare la prospettiva rispetto a quella storia lì, a chi l’ha scritta, o nel caso della musica, ai cantanti, al fatto che non può esserci un essere umano così perfetto anche rispetto alle tue aspettative, perché sicuramente ti tradirà. Quindi, il problema del fandom è che spesso ha difficoltà a fare i conti con i tradimenti, ragione per cui molte persone poi decidono di abbandonarlo ad un certo punto. Però, quello che non si può abbandonare è l’immaginario.
N: Secondo me, uno dei punti più caratteristici ed importanti di un fandom è del mondo fandom in generale sono le variazioni sul tema, come su Wattpad, l’atto di immaginare finali alternativi, prosecuzioni della trama. Credo che sia una delle chiavi con cui trovare una vena aurea del fandom, perché altrimenti rischia di diventare il regno dei fanatici. Nostra figlia per esempio legge tantissime fanfiction e le scrive: leggere e scrivere fanfiction all’interno del mondo fandom è un ottimo modo, perché rinfocola l’amore per la serie però permette anche di impadronirsene e di capire che non vale la pena essere dei bigotti; lei, per esempio, adesso sta leggendo “Percy Jackson” e il fatto che Nico e Percy in una fanfiction abbiano una storia è qualcosa che la fa continuare ad appassionarsi a quel mondo e al contempo la rende meno ortodossa, meno bigotta, o immaginando quale sarebbe stata la vera storia tra Harry ed Hermione se lei non si fosse messa con Ron ed Harry non si fosse messo con Ginny Weasley;
questo ti permette di dire “amo Harry Potter e non divento Dolores Umbridge”.
Second picture by Rino Bianchi.
Thanks to FeST.