Mi è sempre stato detto che l’arte non si può definire in modo univoco, e sono pienamente d’accordo: arte è tutto ciò che noi riteniamo tale e, in un mondo che corre veloce anche su internet e sui social media, il concetto stesso di arte è in continua evoluzione e personalizzazione.
Tra le forme d’arte più social-friendly troviamo quella delle illustrazioni satiriche, un mezzo per condividere una risata, un messaggio e per attivare collaborazioni tanto inaspettate quanto uniche, come può testimoniare l’illustratrice ed artista Angelica Hicks.
Angelica, mezza italiana e mezza inglese, nata a Londra ma trasferitasi negli Stati Uniti, nel suo curriculum vanta, tra le altre, una collaborazione con Gucci per una linea di t-shirt, una con il MET Museum per i gadget del MET Gala 2019 e una con il brand di cosmesi femminista Queendom. Si può sicuramente dire che ne ha fatta di strada da quando ha iniziato a disegnare tra una sessione di studio e l’altra in biblioteca (e dopo aver capito che no, lavorare nelle gallerie d’arte non fa decisamente per lei)!
Da fan della sua estetica giocosa, “alla Zoolander” come l’ha definita lei stessa, e delle sue illustrazioni satiriche che non risparmiano nessuno (alcune delle quali racchiuse nel libro “Tongue in Chic: The Fabulous Fashion World of Angelica Hicks”), siamo andati a trovarla a New York, dove ci ha aperto le porte del suo appartamento ricco di personalità, di dipinti sui muri e, ovviamente, di disegni e oggetti d’arte realizzati da lei e dalla sua famiglia di creativi.
Scoprite anche voi il “Fabulous World” di Angelica!
Quando hai realizzato che la creatività e l’illustrazione erano le strade che volevi seguire nella vita? Forse nella scelta è coinvolta anche la tua famiglia…
In realtà, la mia famiglia non c’entra; quando andavo a scuola pensavo: “Oh mio Dio, mamma e papà sono dei creativi, non voglio essere come loro, io sono diversa”. Tutti hanno sempre pensato che avrei seguito le loro orme e mi chiedevano: “Farai qualcosa di creativo come tua mamma e tuo padre?” E io rispondevo: “No”. Così ho provato a studiare economia, ma non ero brava, sognavo di diventare un banchiere, un sogno parecchio strano lo ammetto, [ride] e invece poi sono andata all’università e ho studiato Storia dell’Arte.
Ho pensato che trattandosi di un approccio accademico mi sarei concentrata sullo scrivere, e non sulla creatività non essendo la scuola d’arte. L’università mi piaceva, ma mi sono resa conto che la biblioteca non era il posto per me, mi sentivo un po’ vincolata dalle parole, o meglio, credo che le parole non siano il mio unico mezzo espressivo.
Sono sempre stata brava a scuola, ma non avevo la forza di volontà di rimanere in biblioteca, quindi credo di aver iniziato a disegnare per riuscire a sopportare più facilmente il tempo che trascorrevo in biblioteca. Mi svegliavo la mattina e dicevo: “Posso fare un disegno prima di andare in biblioteca”, e allo stesso modo poi avevo una scusa per tornare a casa e fare qualcosa di produttivo. I miei disegni derivano da qui.
Mi è sempre piaciuta molto New York, venivo qui durante l’estate perché mia zia vive qui, e mi ci sono trasferita dopo la laurea per trovarmi uno stage. Mi è sempre piaciuta molto questa città mentre non mi è mai piaciuta Londra, probabilmente perché essere mezza italiana e mezza inglese è una combinazione bizzarra; Londra è una città piuttosto difficile, soprattutto se sei inglese: socialmente, culturalmente… La trovavo strana.
Sono venuta a New York e ho pensato di trovarmi un lavoro nella pubblicità o simili perché i miei disegni, soprattutto all’inizio, erano molto incentrati sulle parole che giocano con le immagini, quindi il piano era quello di essere una copywriter creativa in un’agenzia pubblicitaria, ma non avevo realizzato che ottenere un visto sarebbe stato così difficile. Nessuno avrebbe rischiato di darmi un lavoro senza la garanzia che avrei ottenuto la VISA.
E stavo ancora realizzando questo tipo di disegni quando Porter Magazine mi ha chiesto di farne alcuni per loro; quella collaborazione non è finita molto bene, perché è stato allora che ho capito che avere il controllo creativo è un aspetto piuttosto importante. Da allora, sono stato molto fortunata con i miei lavori; ora il brief che mi viene dato è: “Vogliamo che tu faccia quello che vuoi” e penso che sia molto importante nel mio lavoro godersi quel che si sta facendo, così da produrre il miglior risultato possibile in libertà. Poi faccio anche dei lavori come quello che sto facendo adesso per il Rockefeller Center, dove ci sono delle linee guida. Ho bisogno di queste linee guida, ma ciò che non mi serve è quello che mi è capitato con alcuni lavori precedenti in cui mi dicevano: “Fai quello che vuoi,” e poi mi lasciavano degli appunti.
Questa è la storia di come ho iniziato a dedicarmi alle illustrazioni.
Com’è nata la tua estetica giocosa?
Penso derivi dal fatto che ho visto molte illustrazioni all’inizio, e me lo ricordo bene: c’erano illustrazioni di moda che presentavano tutte dei corpi allungati, peggio di Barbie, erano letteralmente delle donne-stecchino ed erano dotate di quell’aura “aspirazione“, da sogno, erano piuttosto noiose.
Mi è sempre piaciuta l’estetica dei fumetti – mi piace la moda ovviamente, l’apprezzo, ma trovo le tendenze monotone, una fashion week e poi un’altra… Ho pensato allora che sarebbe stato divertente applicare un punto di vista “alla Zoolander” sulla moda, così ho iniziato a satirizzarla: con i miei disegni iniziali soprattutto, attraverso il gioco di parole, prendevo in giro la moda, ma in modo inclusivo.
Ero anche curiosa di sapere in che modo l’ironia si è rivelata una chiave di successo d’interpretazione della moda.
L’ironia e l’umorismo rendono le cose accessibili nei termini della comunanza, del tipo: “Potresti non avere un cappotto, ma puoi avere uno scherzo”. Penso che sia un approccio migliore rispetto all’analizzare eccessivamente la storia.
“Ho pensato allora che sarebbe stato divertente applicare un punto di vista ‘alla Zoolander’ sulla moda.”
“Potresti non avere un cappotto, ma puoi avere uno scherzo”.
E riguardo i social media…
I social media sono stati molto utili.
Anche quando il mio account Instagram era privato, quando lo seguivano solo i miei amici circa 5 anni fa, il mio approccio era comunque divertente, l’ho sempre pensato in questi termini e mi è sempre piaciuto scrivere anche una piccola didascalia che fosse divertente a sua volta. Poi ho iniziato a usarlo per condividere il mio lavoro, nello stesso modo in cui vedevo altri illustratori di moda fare per mostrare i loro lavori.
Ho iniziato a caricare i miei disegni perché ero anche in grado di taggare i brand, è strano da ricordare perché non sono certa che ci fosse una qualche motivazione specifica dietro la condivisione su Instagram, sicuramente non mi ricordo di aver pensato: “Potrebbe essere il mio lavoro”, non la pensavo in questi termini, piuttosto pensavo: “Forse qualcuno lo vedrà se lo pubblico su Instagram”, è self-service, nello stesso modo in cui pubblichiamo qualsiasi contenuto sui social media nel tentativo di ricevere un like o di suscitare una risata. E poi alcune persone hanno iniziato ad apprezzarli, a condividerli o commentarli, la gente diceva: “Wow, sono davvero belli, mi piacciono molto” e allora ne ho condivisi sempre di più. Poi ho iniziato ad ottenere dei lavori tramite Instagram e ho pensato: “Ok, questo è abbastanza figo”, perché non c’è bisogno di andare alle feste o di incontrare persone, si può semplicemente stare seduti, guardare il telefono e fare quello che devi restando a casa.
New York ti ispira a sua volta in qualche modo?
Una volta. Amavo New York, ma non posso dire che mi piaccia ancora, so di essere molto fortunata ad avere l’opportunità di vivere qui, ma sento che non mi ispira più, sono qui ormai da quattro anni. Sono stata in Italia la scorsa estate e la qualità della vita è un po’ più alta li, mentre qui non è così alta, è una città molto cara. Ci fai l’abitudine, ma non avevo realizzato quanto fosse grave fino a quando non sono tornata qui dopo essere stata via per tre mesi. A quel punto ho pensato: “Oh, è piuttosto cara”.
Detto questo, essere a New York ha aiutato anche il mio lavoro; non si tratta solo di incontrare persone, ma anche di essere incoraggiati, perché tutti mi chiedevano: “Che cosa fai? A cosa stai lavorando? Che succede?”, e hai bisogno di risposte a queste domande e quindi c’è sempre una certa pressione; sono sempre stata molto una persona concentrata e ho lavorato abbastanza duramente, ma sento che l’etica del lavoro di New York mi ha aiutata, soprattutto lavorando da casa, perché è considerata una cosa normale qui e questo aiuta.
“Sento che l’etica del lavoro di New York mi ha aiutata, soprattutto lavorando da casa, perché è considerata una cosa normale qui e questo aiuta“.
Parlando dei tuoi lavori, ce n’è uno di cui sei particolarmente orgogliosa?
Sono orgogliosa di tutti, ma uno in particolare…il MET. Quello è stato parecchio figo. Ero seduta a cena affianco ad una persona che lavora da Vogue che mi ha dato fatto una domanda, mi ha chiesto: “Saresti interessata a partecipare ad una riunione domani? Penso che sceglieremo te”, al che ho risposto: “Certo!”. Non avevo idea di cosa bisognasse fare effettivamente. Poi il giorno dopo mi hanno mandato un’email, e allora ho capito. È stato bello perché le indicazioni dicevano: “Queste sono le persone, fai a modo tuo”, e solo una di loro in seguito ha chiesto se si potessero cambiare gli abiti. È stato fantastico, sono state delle persone splendide con cui lavorare insieme. Mi ha resa molto orgogliosa come lavoro perché sai com’è, si tratta del MET. Poi ho realizzato un profumo per un brand di cosmesi che si chiama Queendom, ed entrambi sono usciti nello stesso periodo il che è stato parecchio bello.
Puoi parlarci meglio del messaggio che volevi trasmettere con le tue illustrazioni per Queendom?
Prima di tutto, mi hanno contattata prima che avessi fatto un qualsiasi lavoro: non avevo ancora realizzato alcuna collaborazione, perché ovviamente, una cosa simile richiede molto tempo, e ho pensato che fosse fantastico che mi avessero scelta. Kendall Jenner aveva ricondiviso uno dei miei disegni ed era l’unica cosa che era successa dal punto di vista lavorativo, a parte quello che stavo facendo per Porter Magazine, e che, naturalmente, era più un lavoro effettivo. Ho pensato che fosse veramente figo e autentico al 100%, mentre trovo fastidioso quando ad esempio i brand decidono di inserire un messaggio su una T-shirt, lo fa apparire trendy e questo è ciò che mi infastidisce di più, la moda che interpreta il femminismo come un trend.
“Mi ha resa molto orgogliosa come lavoro perché sai com’è, si tratta del MET. Poi ho realizzato un profumo per un brand di cosmesi che si chiama Queendom, ed entrambi sono usciti nello stesso periodo il che è stato parecchio figo“.
Così, quando ho ricevuto la proposta iniziale di Queendom, con la loro idea, mi sono piaciuti subito tutti i miei disegni che avevano tagliato e inserito, il che è stato lusinghiero, come a dire: “Vogliono davvero farlo con me”, perché qualcuno si è impegnato per fare quello che a volte devo fare su Photoshop, e so quanto tempo richiede.
Il loro messaggio era così autentico e sincero, così come il metodo con cui avevano deciso di avvicinarsi al femminismo in quanto brand: per esempio, il 10% di tutte le vendite va alle organizzazioni di beneficenza associate alle cause che ciascuna icona femminista ha sostenuto; la cura che pongono nel loro lavoro è fantastica, perché si preoccupano non solo delle donne, ma delle cause effettive e il brand è così premuroso, genuino, non vuole spingere sulle tendenze. Il concetto di un marchio che cerca di avvicinarsi al femminismo con 10 donne provenienti da diversi settori e ispirare gli altri attraverso le loro storie è un modo molto interessante per mostrare direttamente quanto le donne siano favolose.
Hai una collaborazione dei sogni?
No, perché immagino che tutto possa succedere. Pensavo che sarebbe stata con brand di moda ad esempio, o con qualcosa che ha a che fare con cerotti, intonaci o beni per la casa, quel genere di cose. Ma non lo so, mi piacciono così tante cose. Qualsiasi collaborazione può essere un sogno.
C’è una donna, o più, che si ispira sia per la tua vita privata che professionale?
Una è Elsa von Freytag-Loringhoven, ho scoperto chi fosse all’università, era una proto-femminista, un’amica dei surrealisti e di Duchamp, penso fosse molto interessante perché non corrispondeva ai canoni di una donna di quel tempo, ha infranto dei limiti quando non si pensava nemmeno che potessero essere infranti. Lei mi ispira molto. Ed è uno dei motivi per cui l’università non è stata poi una così cattiva idea. [ride] Poi tante artiste, ovviamente anche Frida Kahlo, ho portato anche io un tutore posteriore, era meno medievale del suo ma mi ha fatta sentire vicina a lei. Inoltre, i bambini sono una grande fonte di ispirazione: mi piace quando posso dipingere con mio cugino Domino. L’immaginazione dei bambini non conosce confini.
E poi mia madre, che ha fatto tante cose e mi ha insegnato che puoi fare tante cose diverse e che non devi seguire un solo percorso o una sola carriera nella tua vita. Io e mia sorella siamo cresciute seguendo l’insegnamento: “Puoi fare qualsiasi cosa”, che penso ci abbia fatto desiderare di avere maggiore successo perché non era: “Devi essere la migliore,” ma: “Puoi fare qualsiasi cosa”.
Se potessi scegliere tre persone della cultura popolare da disegnare, chi sceglieresti?
Amo Lizzo, è bellissima, proprio come il suo messaggio. Sto cercando di disegnare o dipingere sempre più persone che trasmettono un messaggio forte e naturale. Poi Zendaya e Hunter Shaffer, sono ossessionata da “Euphoria”, una serie TV fantastica per i giovani e anche per i genitori. Penso sia una rappresentazione molto valida della gioventù, un po’ come “Skins”, ma più realistica.
Puoi
fare
qualsiasi
cosa.
C’è un disegno di cui sei particolarmente orgogliosa o che è stato particolarmente difficile da realizzare?
Difficile da realizzare no, non riesco a descriverlo, a volte mi siedo semplicemente e… Poi mi viene in mente, e da lì passo alla realizzazione.
Sono un po’ più orgogliosa di quelli dal significato profondo, come quelli che toccano un argomento politico, anche se, ovviamente, è possibile che poi arrivino i suprematisti bianchi a controbattere, non so da dove arrivino queste persone che mi seguono, probabilmente vedono il disegno per caso, e la mia reazione è sempre: “Se non ti piace, vattene via “, ma quei disegni mi fanno sentire orgogliosa perché mi sembra di assumere un ruolo più attivo con la mia arte; detto questo, sono anche i più difficili perché sono complicati da rendere coinvolgenti, la maggior parte del mio lavoro è umoristico, e quelli sono i lavori per i quali mando un sacco di messaggi a mia sorella chiedendole di aiutarmi: “Come posso assicurarmi che questo sia percepito in modo corretto?” Sono orgogliosa di questi, ecco.
Che cos’è l’arte per te e cosa significa “arte” in questo momento?
Penso che arte siano diverse cose. Sta succedendo di tutto in questo momento, è un concetto che, negli ultimi anni, è diventato di tendenza. Non lo so, immagino che la moda sia arte, arte è arte, arte è cinema, ora sto realizzando che “arte” è un termine molto più ampio. Quando ero più giovane, non capivo la natura generale del termine “arte”, o forse il termine è diventato anche più generale nella sua natura. Mi sembra che sia tutto.
L’arte per me è tutto ciò che qualcuno realizza. E se la pensate in questo modo, in realtà è un termine piuttosto ampio: anche un selfie potrebbe essere arte, e probabilmente lo è, giusto? Credo che questo sia interessante, ma penso anche che l’arte ora stia anche rendendo le persone meno creative, in un certo senso.
L’arte in questo momento non si trova solo in un museo.
Hai mai avuto un epic-fail realizzando un’illustrazione?
Certo [ride]. I miei epic fail sono quando cerco di disegnare dei denti, le persone che disegno finiscono per diventare spaventose. Il massimo che posso fare è disegnare dei piccoli denti ma non un sorriso completo, quello decisamente non riesco.
Il libro sul tuo comodino in questo momento?
Non esiste, perché non leggo prima di addormentarmi. [ride] Ma un libro che ho letto di recente e che mi è piaciuto molto si intitola “Inappropriation“, di Lexi Freiman: è un commento molto divertente sulla cultura satirica dell’appropriazione, in pratica sulla differenza tra i problemi e i non-problemi della vita visti attraverso gli occhi di questa adolescente in Australia.
Qual è il tuo superpotere?
Beh, posso ridurre i volti delle persone a delle linee, questo è quello che faccio con le mie illustrazioni. Guardo qualcuno e riesco a disegnarlo, questa cosa mi piace molto. E quello che vorrei avere è volare o essere invisibile. Forse volare, perché essere invisibili non significa che tu possa camminare attraverso i muri. Qualcuno me l’ha spiegato non molto tempo fa. [ride]
Tra i tuoi progetti c’è anche un secondo libro?
Non saprei, ho alcune idee che mi emozionano molto ma poi sopraggiungono nuovi lavori, quindi me ne dimentico, e le idee che ho solitamente hanno una tempistica precisa: ne ho una in mente ad esempio, ma dovrebbe uscire sotto Natale, e di solito ci penso quando ormai è troppo tardi, ma vorrei riuscire a svilupparla in futuro. Dovrei regolarmi meglio con le tempistiche.
“Posso ridurre i volti delle persone a delle linee, questo è quello che faccio con le mie illustrazioni. Guardo qualcuno e riesco a disegnarlo, questa cosa mi piace molto“.
Se non fossi un’illustratrice, che cosa saresti?
Oddio, non saprei. Ma sai cosa non farei? Lavorare in una galleria d’arte, perché è per quello che mi sono detta: “Devo far sì che questo accada, devo far sì che la strada da freelance funzioni”, perché non sono tagliata per le gallerie d’arte. Dopo due stage, sapevo che non era il lavoro giusto per me. Inoltre, penso di non potermi occupare delle vendite e mi sono reso conto che lavorare in una galleria riguardasse essenzialmente vendere, e con il mio lavoro di commessa, ho capito che non ero molto brava.
Fai ridere le persone con le tue illustrazioni ma cosa ti fa ridere di più in assoluto?
Tutto. Alcuni dei miei amici sono molto divertenti, poi delle serie TV come “Curb Your Enthusiasm” e “Arrest Development-Ti Presento i Miei”, guardo anche molte stand-up comedy e ascolto diversi podcast, li adoro.
Photos & Video by Johnny Carrano.
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